Capitolo quinto
Voltaire: il cammino verso la civiltà
La formulazione più esimia della storia come progresso è stata elaborata da Voltaire nell’Essai sur les moeurs et l’espirt des nations, ma ha riscontri di interesse letterario anche prima, ad esempio:
- Henriade (1723)
- Histoire de Charlses (1731)
- Siecle de Louis XIV (1752)
Questi modelli si riconducono nell’analisi di un singolo personaggio storico, in seguito Voltaire modifica il suo approccio storiografico dedicandosi allo studio di intere epoche e di più popoli.
Lo studio si concentra su “lo spirito, i costumi, le usanze delle nazioni principali, appoggiati dai fatti che non è permesso ignorare”. Già in Siecle de Lousi XIV è adoperato tale metodologia, difatti, l’analisi riguarda anche l’organizzazione amministrativa, le arti, la letteratura, le scienze, la religione; proponendo addirittura un confronto fra Francia e Inghilterra.
Nel Nouveuau plan d’une histoire de l’esprit bumain Voltaire dichiara che l’oggetto della sua indagine sono “i costumi degli uomini e le rivoluzioni dello spirito umano”, sostituendo il criterio dinastico dell’interpretazione storica il “quadro ei secoli” e della peculiarità dei costumi dei popoli. Si allarga l’interesse geografico alla Cina, all’India, alla Persia, al Medio-Oriente, ai Tartari, agli Ottomani. È storia dell’incivilimento dell’umanità.
Il secolo di Luigi XIV è un secolo felice e di perfezionamento culturale come quello dell’età di Pericle e Alessandro, di Cesare e Augusto, del Rinascimento. Voltaire sosteneva la visione della superiorità dei “moderni” rispetto agli antichi. L’epoca di Luigi XIV è la più felice addirittura, poiché determina un progresso realizzato nelle arti, nelle scienze e nella natura.
Nell’Essai sur les moeurs l’obiettivo è di mostrare il progresso europeo dopo la ricaduta nelle “barbarie” medievali. Voltaire esplicita la ricaduta nelle barbarie a causa delle popolazioni germaniche e delle dispute religiose, con la conseguente perdita del costume antico e dei suoi valori. La religione stabilisce un suo monopolio, al contempo provoca scismi, contese e continue diatribe. Il fanatismo e l’intolleranza connotano la religione conducendo allo sterminio delle popolazioni.
Il racconto voltairiano procede da dove si è interrotto il lavoro di Bossuet (Discours sur l’histoire universelle), proponendosi come sua continuazione, ma l’impostazione è differente. Qui non si subordina la storia profana a quella sacra ma i processi storici-culturali spiegano la crescita di un popolo, inoltre, Voltaire è critico verso una visione ebraico-centrica della storia.
Vi è una rivalorizzazione dei popoli cinesi e indiani. La religione cinese è quella più prossima alla religione naturale e addirittura la religione indiana è fondata “sulla ragione universale”. Voltaire esalta anche la religione persiana. L’intento è di criticare la religione ebraica, considerata al tempo la più antica e veritiera, in realtà assorbe molti contenuti anche da altre religioni; tutto ciò pone in evidenza l’inutilità delle lotte intestine del cristianesimo.
Il Cristianesimo occupa un posto centrale nella discussione voltairiana per il giudizio muta rispetto a Bossuet, poiché le diatribe hanno aperto a periodi di infelicità e di intolleranza religiosa ossia di “superstizioni insensate” fino al punto che la Chiesa si è sopraelevata al potere temporale ma sono anche secoli di distacco dal religioso fanatismo superstizioso.
La storia del Cristianesimo è violenta e legata al processo di istituzionalizzazione e mondanizzazione: già in epoca post-romana è sensibile la “sete di vendetta” cristiana, evidente nell’istituzione del papato fino alle Crociate come massima manifestazione del fanatismo. È “un ammasso di crimini, di follie e di sventure”, ma anche il Medioevo ha degli elementi positivi soprattutto il sorgere degli Stati Nazione come la libertà inglese, la monarchia spagnola e le città-stato del tempo. Nel Trecento si delinea un quadro simile alla Grecia antica in qui prevalgono Venezia, Genova, Firenze prospere economicamente e artisticamente.
Il capitolo “idea generale del secolo XVI” individua un mutamento dei costumi grazie all’industria manifatturiera e al commercio e alla filosofia di Copernico e Galilei. “lo spirito della filosofia”, che si contrappone a quella dell’autorità ecclesiastica, è promotore della tolleranza religiosa. Il teismo è via di pacificazione religiosa e sociale. L’ “Europa è incomparabilmente più civilizzata e illuminata” rispetto al periodo antico e medievale. L’Europa civilizzata si consolida in una pluralità di confessioni e di affrancamento del potere civile della chiesa.
Voltaire si dimostra cosmopolita nella sua disamina anche l’indagine dei Tartari, della Persia, di Gengis Khan, dell’Impero Moghul dell’India fino all’impero ottomano vero protagonista del medio-oriente.
L’eurocentrismo però si esplicita nella distinzione fra i costumi, la religione, il modo di pensare fra i due continenti però simili nello “spirito di guerra, di omicidio e di distruzione che ha sempre spopolato la terra”. Voltaire prende posizione contro il dispotismo orientale anche se riconosce una certo limite imposto dai costumi della classe dirigente. Però nel corso del tempo vi è stata la superiorità della civiltà cinese durante il periodo greco e romano ma il loro progresso si è arrestato a causa della tradizione e dalla lingua cinese.
Voltaire indaga anche i costumi dei “selvaggi americani” e al processo di colonizzazione europea, ma pone delle differenze: messicani e peruviani erano civilizzati invece in Brasile gli indigeni vivevano allo stato brado; ed evidenzia inoltre il processo di civilizzazione quacchero e gesuita nel Sud-America.
La filosofia voltairiana è però intrisa di una differenziazione razziale soprattutto con la popolazione “negra” poiché viene denotata la loro scarsa propensione al lavoro e alla filosofia e addirittura hanno vissuto per molto tempo in stato di ignoranza, pertanto sosteneva la loro disponibilità di divenire degli “schiavi di altri uomini”.
Anche se sono esposti contenuti di differenziazione razziale per i popoli continentali si evidenzia uno stadio generale di incivilimento dipeso dalle vicende storiche.
Nel 1765 sotto pseudonimo pubblica il saggio Philosophie de l’histoire poi posta come introduzione all’Essai sur les moeurs con l’intento di dedicarsi anche all’antichità. Era una messa in questione dell’attendibilità del Verbo del Vecchio Testamento e della storiografia di Bossuet. Voltaire rifiuta la cronologia biblica, considerando favole la pretesa di storicizzazione dell’idea di storia come salvezza escatologica. La storia antica ha un valore ipotetico e la storia cinese smentisce la cronologia biblica che poneva la creazione nel 4000 a.C.
Il nervo teorico voltairiano è la negazione dell’eccezionalità del popolo ebreo e della sua storia, non è apologetica religiosa ma è un tentativo di dimostrare la storia religiosa sorta sulla base del fanatismo e dell’intolleranza. La storia ebraica è storia di efferatezza e di violenza e di atrocità, dove ogni evento è ricondotto all’orrore e alle barbarie.
Voiltare si richiama a “un concorso di circostanze favorevoli” sia geologiche che sociali per la formazione di “una grande società di uomini raccolti sotto le medesime leggi”, la condizione primogenia dell’uomo pertanto è sociale a dispetto di quella rousseauiana. In questo processo di incivilimento primogenio si è introdotta la religione come un fattore di unione sociale dato che le prime manifestazioni religiose consideravano il dio come nume tutelare, poi in seguito si stabili il governo teocratico.
Il rapporto religione e civiltà assume un ruolo dirimente e di fondamentale importanza, e in tale contesto, il Cristianesimo è fonte di fanatismo e di intolleranza come la religione ebraica, l’incivilimento moderno si fonda sullo “spirito filosofico”. Il massimo grado di incivilimento si ha con la religione naturale data la sua netta separazione dal miracolo, che comprometterebbe la stabilità e l’ordine del creato.
La concezione voltairiana della storia si fonda sull’identità della natura umana e dello sviluppo delle società da una stadio selvatico a uno di incivilimento. La saldatura fra tali principi però non è agevole. Il presupposto dell’identità della natura umana è difficilmente conciliabile con un avanzamento progressivo dei popoli e la variabilità dei costumi.
L’identità della natura umana è da ascriversi alla ragione e al perfezionamento della razionalità fino a pervenire nell’elaborazione d una morale civilizzata uguale per tutti i popoli progrediti e permettendo di assumere un apparato morale e civile progredito. Ma dal carattere identico della natura umana può derivare anche fenomeno regrediti come il fanatismo, l’efferatezza, le guerra, la superstizione.
La natura è immutabile, invece, il costume dei popoli è variabile, vasto producente risultati e fenomeni diversi. La cultura è differenziazione nel corso dello sviluppo di qualsiasi popolo. Il costume non ha solo un valore positivo ma può essere anche il germe del male.
La perfettibilità del costume non è ininterrotta anzi può essere soggetta a regresso.
Capitolo sesto
Herder: l’individualità dei popoli e l’ideale dell’umanità
Herder si forma fra Koenigsberg, Riga e Buckenburg, ha un impostazione filosofica diversa da quella di Voltaire in Auch eine Philosophie der Geschiche zur Bildung der Menschheit. Interesse di Herder si concentra sullo studio del linguaggio, della poesia primitiva e dei canti di Ossian. L’intento programmatico di Herder è il recupero di un presunto “carattere nazionale” rivendicando uno spirito “gotico” in netta relazione con la stirpe e la lingua.
Vi è una rottura dalla visione illuministica, ossia, applica una rivalorizzazione del Medioevo, inteso momento aurorale. Il “carattere nazionale” dei popoli si riscontra nello studio dei canti popolari e della poesia primitiva “Volkslieder”. Herder coglie il carattere nazionale germanico nell’epica nordica come analogo è il rapporto della tradizione greca con l’Iliade e l’Odissea.
Herder era influenzato anche dagli studi di Hermann Samuel Reimarus (che considerò la speculazione religiosa ebraica mancante dell’immortalità dell’anima e di un’ aldilà) e di Lessing, però ne ribalta la loro visione sostenendo una priorità nel momento iniziale della società orientale.
Il problema dell’antichità si presenta come un oggetto della sua riflessione in Alteste Urkunde des Meschengeschlechts. Herder evidenzia come i popoli hanno costruito nel tempo le loro cosmogonie e le diverse tradizioni si esprimono in una lingua concreta e doviziosa di immagini. Herder ha come sue numi tutelari Hume e lo studio dell’orientalismo. Herder considerò il racconto biblico alla stregua di un racconto poetico.
La Genesi viene considerato il documento più antico dell’umanità, è un racconto mitico e la sua verità è verità storica: viene trattata come una lettura umana e come un primo insegnamento divino. È il recupero della centralità del popolo ebreo e delle sue vicende. Herder pone come punto di partenza della storia dell’umanità il libro della Genesi, in cui si coglie appieno l’unità originaria del genere umano. Herder rintraccia nel racconto biblico i primordi di una rivelazione sia della luce divina che del testo sacro indicano l’origine divina della natura e della storia.
In Journal meiner Reise im Jahr 1769 suddivide il processo storico in due “correnti” una orientale con uno sviluppo meridionale e l’altra settentrionale europea. La derivazione rimane però orientale. Indicò in tale scritto la terra dei patriarchi come la culla del genere umano e come sua età dell’oro. Ogni popolo è contraddistinto da un suo carattere peculiare: il Vicino Oriente si regge sulla pastorizia, gli egiziani sull’agricoltura, i fenici sul commercio, la Grecia sulla bellezza e la libertà e Roma sull’impero. Il ciclo vitale del genere umano è simile al ciclo vitale dell’individuo. La decadenza del popolo romano apre al ciclo settentrionale: popolazioni germaniche inseguito praticanti una religione orientale cioè il cristianesimo. I barbari sono la linfa vitale di un nuovo impulso dell’umanità e di un nuovo sviluppo, in tale contesto il Cristianesimo si inserisce come “strumento della provvidenza” e fase di incivilimento dei popoli del nord.
È il ciclo il movimento caratteristico del nascere, del crescere, del fiorire e decadere dei popoli e il suo compito è espletato nella durata sulla scena storica. La Grecia espleta le sue possibilità al massimo, qui fiorisce l’istituto della polis, le discipline della mitologia, della poesia, della filosofia e delle arti; sorge addirittura un sentimento nazionale, di patria e linguistico. È il fiore della gioventù dell’umanità contrapponendosi alla virilità del mondo romano.
In Uber di neuere deutsche Literatur Herder si spinge nel considerare l’impero romano come distruttore dei caratteri nazionali dei popoli sottomessi contrapponendola alla valutazione positiva del Medioevo e dello sviluppo della “corrente settentrionale” (esibito nella pluralità di monarchie germaniche).
Herder considera positivamente il Medioevo e addirittura della poesia popolare (i canti di Ossian o la Saga dei Nibelunghi). Herder esalta l’individualità di ogni popolo e di ogni epoca e il suo è un diretto attacco alla classe dei philosophers illuminati, i quali erano promotori dell’esaltazione del presente come apice massimo della cultura. È il rimprovero del presente come “sommo vertice della cultura umana”, e l’esaltazione della cultura “meccanica” baconiana ha distrutto le energie vitali del passato e cancellato le virtù tradizionali.
In Auch eine Philosophie der Geschichte attacca veementemente le pretese di “rischiaramento” dell’umanità, fondendosi con la rivalorizzazione del passato e la critica del presente, ponendosi pertanto come alternativa alla filosofia della storia voltairiana. È riscoperta la centralità del testo biblico e viene riproposto un disegno provvidenziale nella storia in cui gli uomini sono uno “scopo e strumento del destino”; l storia è “il cammino di Dio attraverso le nazioni”. La tesi delle “due correnti” ripropone lo schema della storia cristiana come storia di salvezza e dell’impero romano come preparazione al Cristianesimo. La storia dell’umanità è “l’epopea di Dio attraverso i millenni, i continenti e le stirpi umane”. La storia è rivelazione divina.
Nell’Ideen zur Philospohie der Geschuchte der Menschheit: la sua posizione si consolida nella critica all’Illuminismo e a un generico spinozismo. Herder si propone di spiegare l’unità del reale in una continuità fra natura e storia (il Deus sive natura è completato dal Deus sive historia).
Herder fa proprio il principio della continuità leibniziano (la natura non fa salti), cioè una successione di forme in ordine ascedente dalla natura inorganica fino all’uomo, e alla sua origine è posta una forza vivificatrici delineante sempre più complessi formazioni vitali. Herder riprende le toerie rinascimentale della “catena dell’essere” attraverso la filosofia inglese seicentesca. La realtà è un macro-organismo costituito di diversi organismi guidati da un disegno provvidenziali, in un quadro teleologico creazionista (Dio è tutto nelle sue opere).
Herder riprende la lezione di Kant (Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels) in una prospettiva organicistica (è presente nella natura una forza creatrice): il modo naturale è una catena senza soluzione di continuità. La stazione eretta e lo sguardo dell’uomo sono il tratto anatomico-sisiologico differenziale e la sua disposizione organica alla libertà e alla ragione, questo è il primo passaggio dalla natura alla storia. Inoltre il linguaggio assolve ad una funzione decisiva per l’associazione degli uomini. L’origine del genere umano è ponderata in base allo studio linguistico: le formazioni monosillabiche sono tipiche delle lingue dei popoli orientali, quelle europee sono soggette a una complessità maggiore. È vero la discendenza orientale dell’uomo, ma una verità di “saga” dove l’esperienza dei patriarchi ebraici perde il proprio primato all’interno di una cornice pluralistica.
Nelle Ideen decade il principio ciclico delle “due correnti” e i popoli del passato e del presente sono posti sullo stesso piano, tutto ciò segna non solo il processo metodico di Herder di dare ampio risalto all’analisi dell’individualità di ogni popolo e del contributo offerto nel corso della storia ma anche la perdita della ricerca dell’origine dei popoli. L’Oriente è plurale non più mo monotematico ebraico: é presente la Cina, Il Tibet, l’India, il Vicino Oriente e l’Egitto.
- Verso la Cina c’è un giudizio equilibrato: anche se era florido urbanisticamente, nelle comunicazione, moralmente e religiosamente era scarso nello sviluppo scientifico e artistico. Dal punto di vista politico è troppo legato alla tradizione
- India ha un sistema diviso in caste (sacerdotali)
- I popoli della Mesopotamia e del Vicino oriente sono transitori sulla scena storica e le loro popolazioni sono simile a delle orde e si fonda sullo “spirito di conquista”
- Il popolo ebraico è ridimensionato: “piccolo ruolo sul pacoscenico del mondo” anche se le cronache religiose si spingono “fino all’origine del mondo”
- L’ammirazione degli ebrei in Auch eine Philosophie der Geschichte si incentra ora nella Grecia antica sotto all’influsso del filologo Heyne e di Winckelmann: il popolo greco assurge al livello massimo della sua vitalità senza mai arrestarsi. Si sviluppa linguisticamente, mitologicamente, poeticamente, artisticamente, politicamente, filosoficamente e scientificamente. È il sentimento di unica nazione pluralistica devota ai giochi olimpionici.
- Roma è uno stato di guerrieri, conquistatori. Si connota per le imprese belliche e un dominio universale. Hanno soffocato le popolazioni stranieri. I romani non sono l’anello nella catena della civiltà più perfetto, anzi non sono mai stati di superari i Greci, anche se è il ponte verso la trasmissione dell’antichità verso i popoli germanici.
Ora la speculazione di Herder si innesta nello studio dei popoli germanici e dello sviluppo del Cristianesimo, in cui la dialettica principale è quella del potere spirituale e quello mondano. Viene ridimensionato il ruolo dei popoli germanici e vengono inseriti solo nel quadro di migrazioni. Le derivazioni dei popoli si distinguono in celtica (la poesia di Ossian è un suo prodotto) e in Germanici (La poetica dell’Edda) e in popoli nordici e balcanici (i quali corrispondono ai popoli mediterranei europei). “La corrente germanica” non è più esaltata ma è solo un flusso migratorio portatore di calamità sociali, anche se la conquista si è tramutata in una costituzione feudale. Nemmeno il cristianesimo è esaltato nel suo ruolo teleologico di incivilimento però è immutato l’esaltazione del ruolo predicatore di Gesù e non ha favorito dispute dottrinali, quali contraddistinguono l’istituto ecclesiastico. Il primato vescovile è considerato negativamente, poiché non ha garantito unità dottrinale e istituzionale ma solo politica, la sua è una storia efferata, violenta, fatta di “guerre di sterminio”: ha soffocato il “libero pensiero” e ha oppresso spiritualmente. Herder fu influenzato in questo cambiamento dagli storici illuministici tedeschi.
Il cristianesimo si è distaccato dai dettami del suo maestro.
Herder risale dai primordi della storia ma si arresta verso il Rinascimento. La conclusione però del libro è da individuare nelle considerazioni filosofiche del quindicesimo libro. L’idea centrale è la realizzazione di un disegno provvidenziale ma anche una valenza cosmologico (è lo stesso Dio che si ricerca nella natura), poiché Dio è generatore di ordine anche nel caos cosmico. La fioritura e il declinarsi dei popoli è diretta da un ordine provvidenziale: si afferma il progresso culturale, la diminuzione della guerra (anche se vi è un potenziamento bellico), il pacifismo; ma qui il progresso tecnico-scientifico si lega a una prospettiva inedita, poiché è connessa alla perfezione donata dal Dio creatore di ordine. Si realizza una “catena di civiltà” in cui si esprimono “massimi” e “minimi” (crescita e decrescita storica) a seconda dell’uso della “ragione umana”.
Herder recupera il progresso in una funzione organicistico-evolutiva, in cui l’uomo è la “corona della creazione terrestre”: il suo scopo + la realizzazione dell’umanità.
Herder distingue fra Humanitat e Menschheit:
- Menschheit è la totalità degli individui della specie umana
- Humanitat è l’essenza del progresso e la sua intrinseca finalità, è la ragione e del suo esercizio autonomo; la sua realizzazione dipende dall’istituto politico e la libertà luterana è il principio politico dell’Humanitat.
L’uomo è il culmine della creazione cosmologica e la finalità provvidenziale del progresso è diretta da un Deus sive natura agente nella storia.