Verso l’Europa dei Franchi

1. Alle origini del popolo dei Franchi

Gran parte dell’Europa fra il 700′ e il 800′ finì per essere assoggettata a un re, Carlo Magno, e governata dall’aristocrazia militare del popolo dei Franchi. Gradualmente, nel corso dei secoli precedenti, il popolo franco aveva manifestato caratteristiche di forza militare, ma anche capacità di adeguamento regionale e di assimilare gli altri popoli.

L’origine dei Franchi vide l’aggregarsi di molteplici tribù (Ansivari, Brutteri, Camavi, Catti), fra 200′ e 300′, intorno alle coste settentrionali in prossimità della foce del fiume Reno. La denominazione collettiva ha due ipotesi, legate al significato di due aggettivi altogermanici:

  • wrang: significa errante
  • frakkr: significa coraggioso

L’allargamento progressivo di questo popolo portò a una distinzione di due insediamenti:

  • Il raggruppamento più importante dei Franchi Salii, concentrati presso il limes Belgicus, nelle regioni di Cambrai e Tournai;
  • Franchi Ripuarii: gruppo stanziato intorno a Colonia, sulla riva destra del Reno;
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La popolazione dei Franchi Sali in verde, quella dei Franchi Ripuari in arancione

La prevalenza dei Franchi Salii portò l’aggettivo “salico” fino a perdere ogni condizione specifica e venne usato come sinonimo di “franco”.

I Franchi probabilmente furono fra le più “primitive” genti barbariche, ciò è riscontrabile dal rapporto fra reati e pene ancora constatabile nella trascrizione delle loro consuetudini nella Lex Salica e dalla bassa condizione femminile. Ma la loro presunta “superiorità” fu quella di giovarsi di una lunga fase di formazione, in cui le convergenze tribali non portarono a elementi di diversità permanenti fra i vari aggregati tribali. Il loro orientamento verso gli altri popoli fu molto duttile e pieno alla disponibilità di ampliamenti federativi e di produttivi incontri con tradizioni diverse. Questo carattere si rivelò vincente data l’inclinazione alla “simbiosi” con gli altri popoli.

Tra i Franchi chi poteva combattere prendeva le decisioni per tutta la popolazione: l’assemblea del popolo-esercito fungeva da assemblea generale del popolo franco. La stessa parola exercitus significa “assemblea generale”.

All’interno della loro società esisteva una spiccata gerarchia, legata all’attività bellica. I Franchi erano guidati da re-capi militari, eletti da altri capi tribali. i re e gli altri capi militari erano provenienti dalle famiglie con più spiccate doti di comando e di ricchezza, perlopiù terre accumulate come bottino di guerra.

I Franchi, quando diventarono una tribù sedentaria a contatto con i Romani, riadattarono il proprio sistema sociale. La stanzialità produsse un mutamento della concezione del potere: il potere non era più solo di carattere personale (il potere su chi), ma divenne anche potere territoriale (il potere su dove).

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L’impero romano ed i Franchi foederati.

2. Clodoveo, le conquiste e la conversione

Dopo la metà del V secolo, i Franchi entrarono in contatto con il regno gallo-romano di Soissons o Dominio di Siagrio, che presto divenne un loro paradigma.

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Il regno di Soissons si estendeva fra la Loira e la Somma, ed era una sopravvivenza periferica del dominio romano, ma ormai indipendente da Roma. Questo territorio riuscì a combinare un’ottima integrazione fra i vertici della società locale e le famiglie romane di rango senatorio, impiegate ora alla manutenzione dei propri latifondi.

I Franchi, rispetto al regno di Soissons, svilupparono un rapporto attivo di vicinanza, quasi un osmosi culturale.

La Gallia si presentava come un “naturale ambito d’espansione” dei Franchi: essi si preparavano ad assumere il ruolo di popolo guida in quell’ampia regione, assorbendone i modelli istituzionali e sociali. Uno dei regni franchi confinanti, quello dei Tournai, sotto la spinta del re Clodoveo (re dei Franchi Salii) assunse nel 486 la prevalenza definitiva sul regno di Soissons, allora governato dal magister militum Siagrio.

Tra il 400 e il 500′ l’espansione franca ebbe un’accelerata sotto la guida di Clodoveo:

  • Furono bloccati i Turingi, all’altezza del Weser e dell’Elba
  • Furono bloccati gli Alamanni sulla riva destra del Reno
  • Fu stipulato un’utile accordo con i Burgundi per sconfiggere i Visigoti a Vouillè nel 507, pertanto fu conquistata l’Aquitania, circoscrivendo alla Settimania la presenza gota a Nord dei Pirenei
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Conquiste di Clodoveo I

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mobilitazione militare di Clodoveo fu un successo. Pertanto Clodoveo conseguì una preminenza mai conosciuta prima di allora. Alcuni regni franchi si subordinarono al suo. Non sparì la pluralità di regni e di re, anzi si moltiplicarono dopo Clodoveo. Ma si affermò l’idea di un rex Francorum, un re “personale” e “di tutto il popolo” sovrapposto ad altri re “territoriali” di singole regioni. Questa coesistenza di re non deve sorprendere poiché era molto adatta in fasi di transizione ed era parte della memoria collettiva dei Franchi.

Le politiche matrimoniali stabilizzarono l’affermazione di Clodoveo: sposò la nipote del re burgundo Gundebado, diede una sorella in moglie al re ostrogoto Teoderico e ottenne dall’imperatore bizantino le insegne imperiali (ornamenta palatii) e il titolo di patrizio.

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Maestro di Saint-Gilles, San Remigio battezza Clodoveo, ca 1510, National Gallery di Washington

Nel 482 o 483 probabilmente avvenne l’evento principale per quanto riguarda il processo di etnogenesi o di simbiosi sociale da parte del regno dei Franchi. Stiamo trattando il battesimo di Clodoveo, a Reims o a Tous, al cristianesimo romano: questo battesimo determinava la conversione immediata del popolo dei Franchi dalla tradizione politeista all’interpretazione del cattolicesimo, senza passare per la fase ariana. Pertanto i Franchi risultarono graditi alle aristocrazie gallo-romane e ai vescovi confinanti. Inoltre i Franchi evitarono dure e inutili contrapposizioni religiose e i re franchi non si trovarono nella stessa condizione dei re goti o longobardi, ovvero, di essere dei capi militari di regioni on due diverse strutture ecclesiastiche.

La sede principale della corte si spostò da Tourrnai a Soissons fino a Parigi. Parigi divenne il perno attorno cui valorizzare la memoria mitica del leggendario antenato, capo di una tribù salica dei primi anni del 400′: Meroveo. La consapevolezza dinastica della stirpe dei “Merovingi” sopravvisse allo stesso Clodoveo, morto nel 511. Questa possibilità di ammantarsi di nobiltà permetteva di mantenere una funzione egemone sulla nebulosa delle tribù franche.

3. La prima esperienza dei re merovingi: un laboratorio di integrazione

Nel corso del VI secolo i Merovingi diedero ulteriore impulso all’espansione territoriale, con conquiste ripartite in diversi regni. I principali regni erano quelli di Reims, Orléans, Soissons, Parigi, assegnati per via ereditaria a diversi discendenti della dinastia.

I Turingi e gli Alamanni furono assoggettati a vantaggio dei Re franchi di Reims e di Soissons, mentre, i Bavari furono posti sotto il superiore controllo franco.

Fu annesso il regno dei Burgundi e occupata la Provenza, sottratta alla precedente influenza gota.

Per il momento non riuscì l’espansione verso l’area “germanica” più settentrionale, abitata da Frisoni e Sassoni. Mentre con l’Italia ci fu una certa influenza politica sui Longobardi, ma ad intermittenza c’erano dei conflitti ai confini.

L’ultimo dei figli di clodoveo, Clotario I re di Soissons, morì nel 561. Da allora le spartizioni fra i  i regni minori si fecero più comuni. La spartizione più famosa fu la divisione in Austrasia e in Neustria:

  • L’Austrasia è uno sviluppo del regno di Reims con trasferimento della capitale a Metz;
  • La Neustria, nata dall’unione del regno di Soissons con una parte del regno di Parigi;

Il VII e VIII secolo sono contraddistinte dalla ricerca di obiettivi non più unitari. Ma la Gallia fu un laboratorio etnico e sociale. I Franchi cercarono sempre l’integrazione totale con le popolazioni sconfitte. Inoltre l’aristocrazia franca realizzò un connubio completo con l’aristocrazia senatoria gallo-romana, che esprimeva i vescovi, ovvero, i personaggi più influenti, per prestigio e cultura, nelle regioni di incontro.

Proprio la Gallia era un laboratorio dalla comprovata vocazione integratrice. La Gallia centro meridionale durante l’occupazione romana aveva assunto connotati speciali: sia di conservazione sociale (nessuno metteva in dubbio la supremazia di un’aristocrazia latifondista che esprimeva i propri vertici civili ed ecclesiastici di quel mondo) e di integrazione etnica (ormai le élites consideravano la Gallia come la propria patria).

La Gallia era un grande laboratorio, che suggeriva nuove sperimentazioni politiche e ardite integrazioni radicali. Qui un ceto senatorio strutturatosi in una vera aristocrazia ereditaria aveva manifestato una singolare capacità di sopravvivenza. Queste élites manifestavano la propria ricchezza con le grandi tenute latifondiste e mostravano il proprio prestigio con il conferimento delle cariche vescovili. Ad esempio i vescovi aiutavano a mantenere dei privilegi (esoneri di contribuzioni e immunità giudiziarie).

Quindi l’importanza delle diocesi ecclesiastiche fu di favorire la sopravvivenza di un ordinamento territoriale. Addirittura in caso di caos politico gli ordinamenti ecclesiastici fungevano da supplenza, rinnovando ancora di più il ruolo egemone di questo sopravvissuto ceto senatorio.

Perché i Franchi erano più avanti nella simbiosi culturale rispetto ai Visigoti e ai Burgundi?

Le regioni gallo-romane avevano conosciuto diverse esperienze d’incontro etnico. Difatti il modello di integrazione latino-barbarico fu collaudato dal regno visigoto d’Aquitania e dal regno burgundo:

  • I Burgundi non potevano mettere in campo una forza militare pari a quella dei Franchi, anche se erano cattolici:
  • I Visigoti erano ariani e non avevano un appoggio totale da parte di tutta la dominazione
  • I Franchi erano di religione cattolica e collaboravano con le aristocrazie gallo-romane. Inoltre godevano di trattati di amicizia con Bisanzio ed ebbero una certa autorevolezza presso il colto ceto senatorio gallo-romano

Il patrimonio culturale e politico della Gallia confluì per osmosi nell’esperienza politica dei Merovingi. La presenza armata franca stimolò la circolazione di schemi di comportamento, dall’ Austrasia orientale, di tradizione barbarica, all’Alvernia, di forte tradizione romana. La logica di “scambio”, vero carattere dominante di tutti gli incontri romano-barbarici, si manifestò nelle aree franche con spiccata nettezza.

 Nella Gallia romanizzata, i Franchi entrarono in contatto con nuove abitudini rispetto ai loro villaggi. I Franchi introdussero, nel loro stile di vita, il latifondo e le città:

  • Il latifondo era la base della sopravvivenza delle famiglie senatorie gallo-romane, e ben presto divenne un elemento imprescindibile della forza dei nuclei familiari dei Franchi;
  • Le città erano le sedi delle amministrazioni e centri ecclesiastici, e ben presto queste tradizioni pubbliche furono riadattate dai Franchi;

Invece gli esponenti delle maggiori famiglie gallo-romane furono introdotti a corte nei diversi regni della Gallia merovingia, con incarichi culturali e nuove esigenze amministrative. Inoltre ottennero il permesso di combattere e nel corso del VI secolo il servizio militare divenne un obbligo militare, ma corrispondeva più a un diritto o meglio a un riconoscimento di uno status di persona giuridicamente libera. Questo stato sociale fu esteso a tutti i sudditi dei regni.

Quindi la definizione di Franci homines perse i suoi connotati etnici: erano “franchi” tutti gli uomini liberi che potevano combattere, appunto, erano “frank” (“libero”).

Le stesse famiglie aristocratiche franche non disdegnarono le carriere ecclesiastiche, oramai considerate di pari prestigio a quelle militari, perché permettevano una grande ascesa sociale. I re merovingi, in seguito, imposero ai loro fedeli in alcune sedi episcopali.

Pertanto riuscì perfettamente la simbiosi fra cultura barbarica (fatta di mobilità, mito, valore guerresco e comando sugli uomini) e la cultura latina (fatta di componenti religioso-letterarie, amministrative, di latifondo, di potere territoriale).

Nel corso dei secoli si formò un ceto dirigente misto, di diversa composizione sociale a seconda delle aree di dominazione franca: più latino in Aquitania, più germanico in Austrasia, più burgundo in Borgogna, più equilibrato in Neustria. Questo processo comportava una scoloritura delle specificità etniche: esistevano famiglie che davano nomi di tradizione barbarica e nomi di tradizione romana, in modo da riservare alla prole varie chance di carriera.

Insomma la struttura societaria aveva un carattere ibrido: i vincoli di sangue e parentali si assommavano alle concezioni territoriali e statali del potere. Le concezioni territoriali, di derivazione romana, erano necessarie per amministrare nuove formazioni politiche, per giungere alla convivenza pacifica fra popoli diversi.

Nei regni più sud-occidentali, dove Franchi e Barbari erano in inferiorità numerica, fu decisiva l’adozione del criterio della personalità della legge: il Franco era giudicato secondo la legge salica, il Burgundo secondo le consuetudini burgunde e il Galloromano secondo il diritto romano.

Pertanto la distribuzione territoriale del potere, l’affermarsi delle idee di confine e di appartenenza a un’altra regione, erano equilibrate dal rispetto delle diverse tradizione etniche riguardanti soprattutto la regolamentazione giuridica  (dal diritto penale al diritto di famiglia).

Proclamazione di Clodoveo in qualità di Re dei Franchi

4. Lo scambio d’esperienze dell’incontro latino-barbarico in Gallia

La simbiosi dei popoli avveniva quando due aristocrazie si incontrava e producevano tendenzialmente un’unificazione degli schemi di comportamento, ovvero quando le famiglie, di Lex Salica e di Lex Romana, realizzavano un’omogeneità di orientamenti.

Ad esempio l’originale contributo della cultura militare barbarica influenzò l’evoluzione della figura vescovile. I comportamenti dei vescovi, influenzati dalla cultura militare barbarica, si discostarono dagli scemi tardo-antichi e si adeguarono alla cruda visione della realtà. Difatti i vescovi si allontanarono dal modello del martirio, preferendo la conversione o l’intraprendenza predicativa.

I Franchi rivalorizzarono il latifondo. I Franchi constatarono che i grandi latifondisti erano abituati a sfuggire al controllo del potere pubblico e a condizionare politicamente le popolazioni locali. Lo stesso ceto senatorio poneva il possesso fondiario come premessa concreta della propria egemonia sociale. Quindi i gruppi parentali militari dei Franchi incominciarono ad orientarsi verso l’acquisizione di nuovi possessi fondiari. L’intraprendenza armata poteva avere maggiore efficacia politica se legata a un possesso fondiario.

I Gallo-Romani e i Franchi erano diversi, ma ne sorse una simbiosi etnica alquanto efficace, vediamo le varie caratteristiche dei due popoli:

  • I Gallo romani usavano il cognome ed praticavano la successione patrimoniale, mentre, i Franchi avevano maggiormente il senso di appartenenza alla sippe, un gruppo parentale allargato di fluttuante definibilità, a metà fra la famiglia e la tribù;
  • La tradizione gallo-romana suggeriva maggiore rigore nelle successioni e un radicamento nell’identificazione della famiglia, ruotante attorno a una villa o a un monastero o latifondi, mentre, la tradizione franca era legata alla mobilità, all’attività militare, all’incorporamento, a fluide clientele armate, al possesso di una pluralità di presenze fondiarie;

Questa complessa cultura, quindi, si rifaceva ad entrambi i modelli, producendo una complementarietà di atteggiamenti mentali e di comportamenti concreti.

Altro esito importante fu la conseguente valorizzazione della figura del re, che si arricchiva di elementi “statali” ma anche militari, elettivi e patrimoniali.

5. Il formarsi delle istituzioni merovinge

I consiglieri di corte e la cultura gallo-romana condizionarono il piano istituzionale di alcuni re merovingi.

I re merovingi, rielaborarono la tradizione barbarica, ricorrendo dei propri emissari di fiducia alcuni uomini fedeli, detti leudes. Inoltre i re merovingi ricorrevano ad appoggi militari, soprattutto il gruppo stabile delle guardie di corte: la trustis. La trustis era formata dagli antrustiones, che giuravano fedeltà rituale al re ed erano reclutati dall’aristocrazia dei capi militari, che accompagnavano il re durante le spedizioni vittoriose. La trustis era un privilegio regio ed era vietato a chiunque di munirsi di una propria trustis.

I re merovingi, rielaborarono la tradizione romana, ricorrendo al concetto di “funzionario” con compiti definiti all’interno dell’apparato del regno. Questi compiti potevano essere di mobilità (funzioni di controllo: ad esempio presiedere tribunali) o avere applicazione territoriale (governo su un territorio). Difatti laddove la memoria gallo-romana era più presente si preservarono le circoscrizioni territoriali e amministrative delle città romane, articolate intorno ai confini delle diocesi. Questo è un passaggio decisivo, poiché circoscrizioni ecclesiastiche furono uno degli elementi di maggiore continuità nel passaggio dal mondo tardo-antico al mondo alto-medievale. Invece nelle aree più settentrionali della dominazione franca, l’articolazione del modello romano-ecclesiastico era meno forte e pertanto le circoscrizioni, qui, sono dette plagi. 

Nelle circoscrizioni territoriali (comitatus pagi) il comes non era più un “compagno” del re ma indicava un “funzionario” del re. Il termine dux (“duca”) era attribuito a personaggi con temporanee funzioni militari (ricordiamo la radice germanica detta Herzog “guida dell’esercito”), che governavano su circoscrizioni statali più ampie dei pagi.

I regni dei franchi erano controllati ricorrendo a due tipi di tradizioni:

  • la tradizione franca: più vicina alla fedeltà personale (ad esempio gli antrustiones) e più legata a una concezione del potere personale

  • la tradizione romana: più vicina a una tradizione funzionariale e territoriale (ad esempio con i comes

Erano le premesse di una “duplice concezione del potere” o di “duplice rete di controllo della società”, che si sarebbe sviluppato in piena età carolingia (VIII e IX secolo)

Fra VI e VII secolo la società franca cambiò radicalmente. Partiamo dalle istituzioni franche.

L’exercitus (l’assemblea degli uomini liberi) perse ogni ruolo di direzione politica e si limitò all’acclamazione del nuovo re, eletto non più secondo il principio elettivo, ma eletto secondo il principio dinastico. Il tutto era celebrato dall’elevazione sugli scudi.

Continuò ad avere importanza la riunione annuale dell’esercito, detta “campo di marzo” o di “campo di maggio”, perchè avveniva in primavera. In seguito si sviluppò un’assemblea, più circoscritta all’ambito delle città e dei pagi, di norma presiuduta dai conti: è il mallus. Questa era una riunione locale di uomini liberiche ricevevano gli ordini del re e venivano eletti i boni homines (“uomini di buona fama”), che amministravano la giustizia insieme al conte.

La corte regia si articolò intorno a un palatium. Era un entità teorica e non era fissa come una capitale. Si spostava in base all’ esigenze militari e amministrative del sovrano. Conteneva, oltre la trustisil tesoro, la scuderia, una cappella, uffici di amministrazione e di cancelleria guidati da un siniscalco o da più conti palatini e sopratutto da un maior domus o “maestro di palazzo”.

Il potere tradizionale dei re franchi era detto bannumBan indicava il diritto di convocare e di punire, esercitati dai capi dei clan e delle tribù durante il periodo semi-nomade. Per i popoli-esercito, nei diritti di convocare e di punire erano riassunti il potere supremo e legittimo.

Per i Goti bandwo significava “simbolo”: il simbolo di convocare le truppe, come segno del potere di punire.

Nel mondo dei Franchi si diffuse il termine latino bannum con più sfumature: indicava il diritto di convocare e punire, ma anche di dare ordini e di imporre divieti. Questa prerogativa regia era delegabile dal re ai suoi ufficiali.

Per quanto riguardo il termine di heribannum si riferisce al potere regio di mobilitare l’esercito, perché Heer significa proprio esercito e di solito erano convocati nei “campi di marzo”.

Sul piano militare la componente franca tradizionale continuava a prevalere. L’esercito-popolo era diverso da quello romano, composto da professionisti e sovvenzionato dalle tasse. Invece, per i Franchi, combattere era un obbligo di tutti gli uomini liberi, che dovevano provvedere al proprio equipaggiamento. Gli abitanti del regno merovingio (in seguito anche gli stessi romani) compivano il loro dovere di sudditi impegnandosi nell’esercizio militare.

Fra il VI e il VII secolo il sistema di imposte dirette decadde, data l’impossibilità di instaurare un “moderno sistema fiscale”, come i Romani. Era più semplice esigere alcuni tipi di imposte indirette fra cui:

  • Teloneo: erano i “pedaggi”, tasse sulle merci trasportate lungo le strade, fiumi, laghi ecc.;
  • Guidrigildo (Wergeld): venivano comminate multe per frenare la faida (“vendetta privata”) dei familiari delle vittime, ma divenne sia un mezzo di limitazione dei turbamenti dell’ordine pubblico e sia uno strumento “fiscale” come forma di mantenimento dell’apparato regio nel contesto locale applicato dai conti;
  • Albergaria e Fodro: la connotazione principale dei Franchi era una vita militare dedita al “bottino”. L’albergaria garantiva il diritto di alloggio degli armati nelle regioni in cui gli eserciti transitavano o si stanziavano. Il fodro era il diritto di provvedere al foraggio dei cavalli dell’esercito. Inizialmente erano forniti in natura, ma in seguito si tramutarono in denaro e vennero assunti durante il periodo dei poteri signorili (X secolo) e non più da parte dei re;

Però la fonte maggiore del reddito erano le “terre del fisco” o terre fiscali. Queste terre era il cosiddetto “demanio privato” del re, che a quel tempo corrispondeva al “demanio pubblico”. Il re franco le aveva accumulate dopo ogni guerra, poiché i primi lotti di terra erano di diritto del re. I prodotti delle “terre del fisco” erano la voce principale degli introiti dello “Stato” e i loro prodotti diminuivano il costo della vita della corte.

Fattore precipuo era il profondo intreccio che si venne a stabilire fra amministrazione civile e amministrazione ecclesiastica nella seconda metà del 500′. Innanzitutto i re garantivano esenzioni fiscali e protezioni alle Chiese, e addirittura incominciarono ad imporre propri candidati per le elezioni episcopali. Questi vescovi erano vicini al potere regio e godevano di grande prestigio sociale. Nelle aree, in cui i vescovi erano egemoni, il potere vescovile era una forma di integrazione all’ordinamento pubblico e pertanto non ostacolava o interrompeva il potere del re in queste aree. Anzi in alcuni casi poteva risultare più proficua questa soluzione, che nel tempo si istituzionalizzò tramite i diplomi di “immunità”.

I secoli VI e VII proposero i Franchi come protagonisti vincenti in un’Europa che doveva ridefinire i propri connotati.

La loro forza fu il pragmatismo, dimostrato nella capacità di federare a sé altri popoli barbarici, ricorrendo a forme di protettorato che non miravano a soffocare la diversità, ma a far convergere le somiglianti tradizioni tribali.

Il pragmatismo dei Franchi si dimostrò, integrando le popolazioni romanizzate e cooptando la loro aristocrazia. Tutto ciò ebbe l’effetto di assorbire in parte alcuni stili di vita e rinunciare a tutte le distinzioni di carriere e di compiti, come invece aveva fatto Teoderico, re degli Ostrogoti, che aveva frenato l’incontro latino-barbarico, promuovendo più una sovrapposizione culturale che una concreta simbiosi

Quali erano i motivi del successo dei Franchi?

Le assimilazioni culturali permisero di rendere enormi gli eserciti. La precoce conversione al cristianesimo romano era un evidente processo di simbiosi culturale. L’elasticità delle soluzioni dell’incontro latino-barbarico permisero ai Franchi di divenire i protagonisti dell’Alto Medioevo. Per tutti questi motivi l’Europa divenne franca, e non vandala, gota o alamanna. Tutti questi motivi sono da ricercarsi nella Gallia, come vero e proprio laboratorio di simbiosi culturale

6. La decadenza merovingia e i maestri di palazzo pipinidi

Tra i secoli VI e VII alcuni re merovingi meritano di essere ricordati:

  • Chilperico I, agli inizi del 500′, tentò una restaurazione amministrativa e si dedicò all’impegno teologico;
  • Teudeberto I diede molta importanza all’impianto militare, cercò dei contatti con Bisanzio e si richiamava alla simbologia imperiale;
  • Clotario II emise nel 614 un importante capitolare (intervento legislativo dei re franchi) che sanciva il reclutamento dei comites fra gli aristocratici e il diritto regio di approvazione delle elezioni episcopoali;

Nel secolo VII le concessioni di immunità a enti ecclesiastici indebolì le strutture del regno e lo impoverì. I poteri delle chiese produssero insicurezza, inefficienze di sistema e perdita di prestigio vescovili, fino a un basso livello culturale di reclutamento vescovile.

Prevalsero scontri e rissosità fra le famiglie aristocratiche, che desideravano di prevalere l’una sull’altra e spingevano a una ripresa di operazioni militari, fino a reclamare autonomie regionali.

L’ultimo merovingio degno di nota fu Dagoberto, che mantenne unito il Regnum Francorum. Dopo la sua morte (639) le concorrenze si riaccesero. Nei decenni centrali del secolo VII il dominio dei Franchi subì una flessione:

  • I duchi di Turingia e Baviera divennero più autonomi
  • Gli Alamanni si resero più indipendenti
  • I Frisoni resistettero alla conquista
  • I Sassoni incominciarono a penetrare nell’area del rEno
  • I “patrizi di Tolosa”, una famiglia gallo-romana costituì un proprio principato
  • La Bretagna fu sempre un corpo a parte

I veri regni franchi erano tre: Neustria, Austrasia e Borgogna. Le famiglie aristocratiche si sentivano più rappresentata dai maestri di palazzo, che avevano poteri militari, mentre, i re avevano solo un potere simbolico.

In questo periodo emersero le più potenti aristocrazie austrasiane. Precipua è la vicenda di Arnolfo: era vescovo di Metz e uomo di corte nel regno di Austrasia. Insomma Arnolfo rappresentava le due anime dell’incontro latino-barbarico. Arnolfo di Metz, insieme a Pipino di Landen, costituì la dinastia degli “Pipinidi-Arnolfigi”, meglio nota come i Pipinidi, poi Carolingi (a partire da Carlo Martello).

Pipino di Heristal divenne Maestro di Palazzo in Austrasia nel 680 ed entrò in forte competizione con gli altri regni. Pipino di Heristal superò la concorrenza del maggiordomo di Neustria e promosse l’unificazione dei tre regni di Neustria, Austrasia e Borgogna sotto il controllo formale del re merovingio Teodeorico III di Neustria e Borgogna. Però le gerarchie militari riconoscevano il ruolo di Pipino di Heristal, fino ad assumere il titolo di princeps Francorum.

Pipino di Heristal si era fatto promotore anche dell’espansione dell’evangelizzazione cristiana. Il maggiordomo garantì pieno appoggio alle missioni evangelizzatrici ad Est (fra i Turingi, i Frisoni, i Sassoni) del nobile monaco Wynfrith (680-757), proveniente dal regno del Wessex, incaricato delle sue missioni dalla Chiesa di Roma. Wynfrith vinì in martirio fra i Frisoni nel 754 e finì la fase delle conversioni pacifiche. Successivamente i Franchi divennero il vero braccio armato della Chiesa di Roma e l’acme della violenza sarebbe stata raggiunta da Carlo Magno nella campagna contro i Sassoni.

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San Bonifacio battezza i sassoni e Martirio di San Bonifacio, dal Sacramentario di Fulda (XI secolo)

Nonostante la grande influenza di Pipino di Heristal, quando morì nel 714, il regno dei Franchi si disgregò nuovamente.

7. La battaglia di Poitiers: un episodio enfatizzato

Dopo diversi successi militari, si affermò come nuovo Maggiordomo di Palazzo, prima dell’Austrasia e poi di tutti gli altri regni settentrionali, un figlio bastardo di Pipino di Heristal, Carlo “Martello” (piccolo Marte) per la sua particolare abilità bellica.

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Statua di Carlo Martello realizzata da Jean-Baptiste Joseph Debay (1802-1862). Galleria della Reggia di Versailles.
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Carlo alla battaglia di Poitiers. Olio di Charles de Steuben, dipinto tra il 1834 e il 1837 (Musei della Reggia di Versailles, Francia).
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Tomba di Carlo Martello a Saint-Denis.
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I regni dei Franchi, alla morte di Pipino di Herstal. Si noti che l’Aquitania (in giallo) non era controllata dagli Arnolfingi, mentre la Neustria e la Burgundia (in rosa) si erano unite per contrastare il dominio degli Arnolfingi. Solo l’Austrasia (in verde) appoggiò lealmente, prima Teodoaldo e, dopo la sconfitta di quest’ultimo, Carlo Martello. Si noti inoltre che tutti i regni e i ducati dei popoli germanici ad est del Reno, a quel tempo erano al di fuori della sovranità dei regni Franchi.

Urgeva intervenire militarmente nei territori a nord dei Pirenei, dall’Aquitania alla Povenza, poiché subivano le scorrerie delle truppe musulmane (berbere e arabe), provenienti dalla Penisola iberica, che l’Islam aveva occupato, dopo aver abbattuto il regno visigoto nel 711.

Carlo Martello sconfisse i musulmani, o meglio “Saraceni”, a Poiters nel 732 o 733. Si tratta di leggende? Dov’è la verità storica?

I cronisti del tempo ci hanno tramandato questa vittoria come decisiva per le sorti della cristianità e dell’Europa, in quanto sarebbe stata riportata su un grande corpo di spedizione, che progettava l’espansione dell’Islam su tutta l’Europa. Non è così.

I musulmani, stabilitesi nella penisola iberica, compivano regolari incursioni in Aquitania per fare bottino e non si trattò di conquiste territoriali. La spedizione del 732 o del 733 aveva come obiettivo la razzia, probabilmente era costituita da più partecipanti e si spinse particolarmente a Nord, tanto che il principe di Aquitania chiese aiuto al potente maestro di palazzo Carlo Martello. Questa incursione islamica non fu l’ultima ma ne seguirono altre.

La tradizionale enfasi annessa a questa battaglia è dovuta a vari elementi. Il corpo di spedizione musulmano fu in parte distrutto e fu una grave sconfitta per l’Islam, ma non fu il reale motivo della mancata invasione. Carlo Martello, dopo la vittoria, depose Oddone, principe d’Aquitania e pose fine all’indipendenza del principato. Carlo Martello “bonificò” la presenza musulmana nella valle del Rodano e in Provenza. quindi non fu importante la battaglia ma l’insieme delle operazioni militari.

Anche nel 718 possiamo individuare una data simbolo: il fallito assedio dei musulmani a Costantinopoli. Bisanzio aveva davvero sventato il pericolo di una conquista islamica nella penisola balcanica, che davvero testimoniava una progettualità di espansione. Invece, nel caso di Poiteirs nel 732, non vi era un progetto islamico di conquista della Gallia.

La vicenza di Poiteirs, nel 732/733, dimostrava un membro della famiglia dei Pipinidi avesse rilanciato l’idea di un funzionamento unitario dei Regni dei Franchi, anche se ufficialmente era solo un Maior Domus

8. Da Carlo Martello all’incoronazione di Pipino il Breve

Carlo Martello diede grande prova di una rinata capacità di organizzazione militare. Incorporò il ducato di Turingia. Sconfisse i Frisoni. Riportò il protettorato franco sugli Alamnni e i Bavari. Respinse i Sassoni. Inoltre promosse la cristianizzazione nell’Est (nell’odierna Germania centrale) con la costituzione di nuove diocesi e la fondazione di monasteri prestigiosi.

Fra il 730 e il 750 abbiamo gli ultimi re merovingi: Toedorico IV e Childerico III. Carlo Martello, era già divenuto de facto controllore del dominio franco però non lo era di titolo regio. Alla sua morte, nel 741, Carlo Martello divise il potere ai tre figli (nota l’uso franco della divisione del potere fra tutti i figli). Però uno dei tre morì. Invece Carlomanno si ritirò in monastero a Montecassino. Pipino “Il Breve” divenne unico e potentissimo Maior Domus.

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Pipino il Breve nell’interpretazione pittorica di Louis-Félix Amiel (ritratto commissionato da re Luigi Filippo per il museo storico di Versailles nel 1837)

I Pipinidi stabilirono, grazie agli eventi geopolitici dell’epoca (espansione islamica, espansione longobarda, crisi dell’Impero Romeo), degli ottimi rapporti con la Chiesa di Roma. Il Papa era essenzialmente solo il vescovo della sua diocesi romana, quindi, la sua giurisdizione era limitato alla diocesi romana. Mentre nel resto d’Europa cristiana le decisioni avvenivano per Concili o Sinodi a livello regionale. Però il Papa romano era l’unico patriarca occidentale dei 5 patriarchi cristiani (Gerusalemme, Alessandria, Antiochia di Siria, Costantinopoli) e conservava un “primato d’onore” (perché su Pietro si era posta la prima “pietra” della Chiesa) riguardo alle questioni teologiche.

Il papa aveva un’indubbia capacità di iniziativa. I Pipinidi, insieme alla sede romana, promossero alcune missioni ecclesiastiche — ad esempio Wynfrith fra i Frisoni e i Sassoni —  e un collegamento con il papa evocava il ricordo dell’antica capitale. Il papa Zaccaria, dal canto suo, era stretto nella morsa pericolosa della competizione fra Longobardi e Bizantini.

Dopo la famosa ambasciata di Pipino il Breve a Papa Zaccaria, su chi dovesse davvero governare nel Regno dei Franchi, Pipino il Breve depose il “re fannullone” Childerico III nel 751 e subito si fece eleggere re da un’assemblea di grandi del regnum Francorum, ottenendo la consacrazione anche di Bonifacio e di altri vescovi.

Nel 754 Papa Stefano II si recò in Gallia per richiedere soccorsi dopo l’ennesima avanzata del re longobardo Astolfo. A Ponthion Papa Stefano II consacrò personalmente Pipino il Breve e i suoi figli e riconobbe al sovrano il titolo di patrcius Romanorum, riconoscendo il ruolo di protettorato o custode della Chiesa da parte dei Franchi.

Pipino si presentava come il massimo protettore della Chiesa di Roma e a Quierzy (o Carisium) fece redigere un impegno: la Donazione di Quierzy (o promissio Carisiaca), ovvero, l’intervento in Italia per assegnare al Papa i territori sottratti dai Longobardi.

I primi anni di governo di Pipino “Il Breve” furono, comunque, difficili. Difatti cercò di scambiare ambascerie con gli imperatori bizantini e i califfi di Bagdad. Sul piano concreto la Baviera ridivenne autonoma e Wynfrith fu ucciso fra i Frisoni. Inoltre Pipino rilanciò una vocazione meridionale all’espansionismo:

  • Consolidò le posizioni in Aquitania e in Provenza, eliminando la presenza musulmana in Settimania
  • Mantenne la “promessa di Quierzy” e aggredì in due spedizioni il re longobardo Astolfo nella Val di susa nel 755 e nel 756, costringendo il re Astolfo a restituire i territori

Il regno di Desiderio si prolungherà di poco fino al 774 poiché era abilmente inserito nella lotta di successione al Regno dei Franchi fra Carlomanno e Carlo “Magno”, concedendo le figlie come mogli ai due pretendenti al trono. Nel frattempo, nel 768, Pipino il Breve morì e poi nel 771 Carlomanno morì prematuramente. Carlo Magno rimase solo al potere.

Sotto Carlo Magno “l’ecclesia cristiana” si realizzò compiutamente: era una piena realizzazione coordinatrice delle aristocrazie guerresche e delle strutture ecclesiastiche.

I Franchi per gran parte del 700′ avevano combattuto per scopi difensivi: contro le popolazioni barbare più riottose, contro le spedizioni musulmane, contro le tendenze all’autonomia. Sul finire del 700′ riprese la progettualità espansionistica.

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Una delle conquiste (dal 772 all’804) fino più sanguinose fu quella ai danni dei Sassoni, convertiti al cristianesimo con l’uso della violenza, resa ancora più dura date le straordinarie capacità di difesa di questo popolo politeista.

Fra il 791 e il 796 furono conseguite importanti vittorie sugli Avari, che non portò ad annessioni territoriali ma solo un esercizio di una sfera di influenza.

Più pacifica fu la conquista della Baviera: il duca dei Bavari, Tassilone, giurò fedeltà a Carlo Magno. Questo ducato rimase fedele.

Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno, fu sconfitto in Spagna (Battaglia di Roncisvalle), però fu conquistata una fascia di sicurezza, la cosiddetta “Marca Ispanica”.

Erano tutte vittorie, parziali e totali, che avevano l’intento di rendere più sicuri i confini.

La spedizione più importante fu ovviamente verso l’Italia. Negli ultimi anni vi erano state provvisorie alleanze con i Longobardi (contro gli arabi in Provenza) o isolate scaramucce: si passava da matrimoni fra le dinastie a momenti di tensione. A rompere il ghiaccio fu definitivamente la richiesta di papa Adriano I di una calata in Italia di Carlo Magno contro il re longobardo Desiderio. I Longobardi furono sconfitti nel 773 e nel 774. Non ci fu una “diaspora” dei Longobardi, qui Carlo si limitò a inserire esponenti dell’aristocrazia franca che ritenevano l’Italia un territorio di affermazione. Pertanto Carlo distribuì varie cariche e li pose a capo dell’area padana. Carlo Magno assunse il titolo di Rex Langobardorum.

Carlo Magno raggiunse la massima espansione del Regno dei Franchi.

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9. Condizioni e caratteri dell’affermazione pipinide-carolingia

Finite le campagne di conquista di Clodoveo ed esauritesi l’incontro sperimentale fra le famiglie eminenti franche e galloromane, i due elementi di stabilizzazione (la solidarietà intorno ai re e la forte mobilità) della società franca nel VI secolo esplosero.

Nel 600′ la solidarietà intorno al re venne a mancare, mentre, crebbe il potere locale delle grandi famiglie, che ottenevano concessioni ereditarie di terre ed esenzioni fiscali. Altro elemento di de-potenziamento della dinastia regia fu la concessione di giurisdizioni più favorevoli all’impianto ecclesiastico.

Quindi il localismo delle carriere funzionariali e le immunità ecclesiastiche divennero elementi di disfunzione. Inoltre si ridussero le “terre del fisco”, le proprietà del re, che erano state donate a enti religiosi o concessi ai grandi laici.

I re potevano contare solo sui loro antrustiones: era troppo poco contro una vasta aristocrazia.

I Re Merovingi avevano accentuato la loro vita di corte, sentendosi garantiti dalle successioni dinastiche e allontanandosi dalla pratica della guerra, mentre, i Maestri di Palazzo (fra cui i Pipinidi/Carolingi) disponevano di una diagnosi più realistica della situazione e si proposero, in qualità di supremi capi militari, anche come interpreti delle esigenze dell’inquieta aristocrazia

La nobiltà franca esprimeva una volontà di arricchimento e di potenza. La nobiltà d’Austrasia era quella più forte e con più componenti barbarici pronti alla guerra, ma anche quella più minacciata dalle difficoltà del confine ad Est. La nobiltà austrasiana ruppe gli equilibri e introiettò il principio della “territorialità del potere”, poiché divennero grandi proprietari terrieri, organizzando i propri possedimenti in villae curtis.

Consideriamo la difficoltà, durante il VI secolo, di radunare l’esercito-popolo. Durante il VI secolo tutti i Franci homines, cioè senza distinzioni etniche comprendendo tutti coloro che potevano auto-equipaggiarsi, potevano partecipare al servizio armato. Quindi era sparita la componente tribale dell’esercito e prevalevano interessi locali. Pertanto divenne difficile coordinare un tale esercito.

Questa problematica fu risolta dall’evolversi della simbiosi culturale riguardo alla concezione del potere. Tra i Franchi persistette ancora la concezione personale del potere e si diffuse anche nei rapporti interpersonali più comuni. Tutto ciò era un residuo della trustis. Innanzitutto si diffuse la precaria: la terra, che gli abitanti ricevevano, dopo una “preghiera” (questo è il significato di precaria)da possessori di terreni, che concedevano protezione ai precaristi e richiedevano a loro volto dal precarista l’impegno a svolgere dei servizi su tali terreni.

Quindi la società franca continuava ad attingere dalle proprie radici (quelle seminomadiche) i rapporti personali del potere in modo da integrarsi, seppur difficilmente, a una concezione del potere territoriale.

I Pipinidi introdussero i rapporti di precaria (di basso livello sociale) a un rapporto di vassallaggio (di alto livello sociale), fra un dominus e un vassus (dal germanico gwas, “giovane, garzone, valletto”) in cambio di una concessione di beneficium (terreno). Fra il 600′ e il 700′, l’esigenza di accentuare i rapporti personali per reagire alla crisi istituzionale regia, determinò una progressiva tendenza al reclutamento di vassi, in strati sociali superiori, allontanando il ricordo dell’origine umile di quel legame.

Quindi il “vassallaggio” si inserì nelle dinamiche aristocratiche. I servizi del vassus dovevano essere soprattutto di natura militare. Gli aristocratici cercavano un protettore per far parte di milizie organizzate e avere maggiore possibilità di garantirsi bottini o benefici in terre. I vassalli del re e dei maestri di palazzo divennero di elevata condizione sociale, quasi pari agli antrustioni, mentre, la piccola aristocrazia divenne vassalla di quella più potente.

L’aristocrazie, aggregate in clientele vassallatiche, furono favorite da Carlo Martello, perché le clientele vassallatiche potevano essere riattivate per obblighi militari con la conseguente compensazione di terre (o benefici). Tutto ciò agevolava la connessione fra aristocrazie e a palatium, perchè:

  • L’aristocrazia ambiva a nuovi possedimenti terrieri;
  • Il palatium concedeva le “terre del fisco” in cambio di fedeltà militare, coordinando la vita sociale e l’espansionismo militare tutto in favore del regno;

Quindi il modello della precariae, a sfondo più umile, fu un importante correttivo alla disgregazione del potere territoriale, infatti, fu “nobilitato” nel rapporto interpersonale del vassallaggio-beneficiario

La problematica riguardo alla convocazione dell’esercito-popolo, fu integrata da gruppi di fedeltà personali, facili da convocare, agili nel mobilitarsi e motivati da comuni volontà di bottino sul fronte di combattimento e da analoghi progetti di affermazione nelle regioni di provenienza

Carlo Martello riuscì a porsi come punto di riferimento di tutti i diversi nuclei vassallatici, garantendo una vittoriosa attività bellica e dando senso alla mobilitazione militare. Pertanto Carlo Martello ottenne la “fiducia” della più tradizionale aristocrazia franca e che non si riconosceva nell’astrattezza del regno

Pipino il Breve divenne re proprio perché ridefinì il rapporto regno-aristocrazia riconoscendo maggiore legittimità all’aristocrazia

 

10. Un accessorio di governo: il rapporto vassallatico-beneficiario

Quando Carlo Magno assunse il potere, l’origine umile dei vassi/precariae era un ricordo lontano. In quel tempo i vassalli erano solo personaggi di alto rango, che prestavano giuramento di fedeltà militare e si impegnavano nel combattere per il loro protettore con le loro armi e il loro cavallo, che dovevano auto-mantenerseli. Questo tipo di rapporto, verso la fine del 700′, fu avvertito come una questione interna all’aristocrazia militare e si era perfezionato anche il rito, che instaurava un rapporto fra  eguali, in cui entrambi i contraenti erano di alto rango.

La cerimonia, con cui un aristocratico, accoglie sotto la sua protezione un nuovo vassallo si chiama omaggio. Colui che riceve l’omaggio è il senior (o dominus), mentre, colui che presta è il vassus, vasallus, valvassor, miles o fidelis.

La cerimonia dell’omaggio è fatta per sottolineare la natura paritaria del rapporto (definito in ambito giudiziario “sinallagmatico”, cioè di reciprocità vicendevole di impegno) ed è totalmente diversa dall’investitura cavalleresca tardo-medievale.

Il vassallo normalmente non si inginocchia, ma in piede dopo aver fatto il solenne giuramento di fedeltà, pone le proprie mani congiunte nelle mani del senior (questo è l’atto rituale dell’immixtio manuum) ed è frequente, e col tempo si afferma, anche l’uso del bacio rituale (osculum) che sancisce il carattere personale e solenne dell’impegno reciproco. Reciproco è il rapporto fra vassus e senior:

  • Il senior promette di assumere sotto la sua protezione il vassallo;
  • Il vassus promette da parte sua di combattere in favore del proprio senior ogni volta che gli sarà richiesto;

In questa reciprocità di impegni si risolveva il rapporto: poteva non essere indispensabile una remunerazione per la fedeltà. Però comunque si diffuse la tendenza ad concedere un beneficium. Nell’Alto Medioevo beneficium era il termine prevalente, solo con la Costitutio Feudis (del 1033) si può parlare di feudum (latinizzazione di un termine germanico, few o feo, che indicava la quota di un gregge, compenso normale in tempi di seminomadismo).

La parola feudo, forse, ebbe più fortuna più per la sua specificità, mentre, beneficium era più generico. Difatti in età carolingia fra senior e vassus il compenso beneficiario non è il dato essenziale, ma è un elmento facoltativo, pertanto non si può parlare di “rapporto feudale”, bensì di rapporto vassallatico o vassallatico-beneficiario

Il beneficium poteva essere qualsiasi bene: una rendita in denaro, una carica che garantisca introiti, ma nel caso più frequente è una terra, eventualmente, con gli edifici su di essa costruiti. La terra non è di proprietà del vassallo (dominio diretto), ma rimane in suo totale usufrutto (dominio utile) fino a quando permangono le condizioni, che ne hanno determinato la concessione, cioè fino a quando il vassallo rimane tale e mantiene la sua fedeltà.

Alla vigilia de regno di Carlo Magno e durate tutta la successiva età carolingia il beneficio normalmente non aveva un contenuto giurisdizionale, con i beneficio insomma non si trasmetteva potere, ma solo ricchezza

La nozione odierna di “feudo” non è assolutamente applicabile alle terre beneficiarie carolinge: la rendita di quelle terre andava al vassallo e lo rendevano ancora più ricco di quanto già non fosse, dato che era reclutato fra l’aristocrazia, ma l’esercizio dell’autorità sugli abitanti di quelle terre competeva al re, agli ufficiali, come i conti, a cui il potere era stato “delegato”, oppure, al vescovo o all’abate se titolari del diritto di immunità.

L’insieme dei vassalli di un medesimo senior costituiva la clientela vassallatica di quel senior. La società franca del tardo 700′ si presentava come un pullulare di clientele.

Il senior poteva essere il Re, che quindi attingeva alle terre fiscali per dare benefici ai vassalli

Il senior poteva essere il maestro di palazzo, ma poteva essere qualunque altro Franco ricco e potente. Non è affatto detto che il senior di una clientela vassallatica dovesse necessariamente essere vassallo del re e nemmeno vassallo di qualcuno che gli fosse socialmente superiore

Era normale che un vassallo regio avesse a sua volta altri vassalli sotto di sé, ma il rapporto vassallatico non costituiva necessariamente una catena che riconducesse sempre al re. C’erano seniores privati che avevano vassalli, ma non avevano giurato fedeltà a nessuno e quindi non erano vassalli di nessuno. Quindi c’era una pluralità di reti vassallatiche che non avevano nel palazzo regio il loro culmine.

Non c’era alcun abbozzo di quella “piramide feudale” che ci è stata erroneamente insegnata in passato!

Anzi proprio la capillarità dei rapporti vassallatici, il loro carattere policentrico, il loro profondo intreccio con i diversi insediamenti franchi e i diversi raggruppamenti aristocratici resero il vassallaggio uno stile di vita della società carolingia. Questo stile di vita fu sviluppato opportunamente dai Pipinidi, che coordinarono le reti vassallatico in un “accessori” di governo, utilizzato in modo complementare alle istituzioni nate dall’incontro romano-barbarico.

Pertanto i rapporti vassallatico-beneficiari determinarono diverse reti di solidarietà non convergenti in una gerarchia. Per i re l’accessorio vassallatico-beneficiario poteva essere applicato concretamente a  una minoranza di vassi dominici, ma certo risultava utile anche che vescovi e abati in quanto aristocratici, fossero spesso parenti dei vassalli regi.

11. L’immunità

L’immunità non aveva alcun rapporto con i rapporti vassallatico-beneficiari. I re, già dall’età merovingia e poi più frequentemente nel 600′, concedevano diplomi — documenti pubblici, emessi dalla loro cancelleria — di immunitas. Queste concessioni di immunità favorivano gli enti religiosi (centri vescovili, monasteri), che acquisivano il diritto di non veder entrare ufficiali regi nelle loro sedi e nelle loro terre di essere esentati dai tributi e dal controllo pubblico.

I re facevano queste concessioni per manifestare la loro religiosità e aiutare insediamenti religiosi, che collaboravano al mantenimento dell’ordine e alimentavano un atteggiamento favorevole dei sudditi nei confronti del regno.

Vescovi e abati immunisti si attrezzavano con le loro milizie e sfruttavano il loro prestigio per mobilitare le popolazioni in caso di pericolo o in caso di lavori in comune.

I Re, insomma, sapevano di poter fare un ottimo affidamento su poteri funzionanti, che non si ponevano in contrasto con la corona. Anzi risultava vantaggioso che queste aree fossero di poteri amici, non ereditari quando il regno era impegnato nella mobilitazione totale delle proprie forze belliche.

L’immunità si sviluppò spontaneamente dall’esercizio naturale da parte dell’ immunista, che con il tempo era riconosciuto con diplomi concedenti immunità ma soprattutto il diritto di punire, di trascinare in tribunale e di convocare alle armi. Si trattava dell’ius distringendi, concessi dai diplomi districtio o districtus. Pertanto i telonei le albergarie, i fodri venivano riscossi da agenti vescovili e la giustizia veniva amministrata dai vescovi o abati.

Le Immunità, non i feudi, erano davvero isole giurisdizionali. Le immunità non erano mai concesse all’interno di un rapporto vassallatico-beneficiario. Ma si erano sviluppate indipendentemente, per spontanea evoluzione di un diverso impulso, soprattutto nelle are a più alta densità di insediamento gallo-romano e quindi di più antica tradizione cristiana. Non deve stupire che gli immunisti, già nel 700′, come abati e vescovi fossero elencati nei documenti fra i “Grandi del Regno”, come i duchi e i conti.

Carlo Magno, quando salì al potere, amministrava su un quadro composito: i residui dell’esercito-popolo, le numerose reti vassallatiche o clientele, aree immunitarie e un’ordinata articolazione ecclesiastica per diocesi e ancora una disorganizzata articolazione in circoscrizioni pubbliche, sorrette da un funzionariato intermittente per presenza territoriale ed efficienza.

 

 

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