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Lezione 16 – da Costantino alla caduta dell’impero (2)
17 Dalla divisione in due parti alla dissoluzione dell’organismo imperiale in Occidente
Breve descrizione
Dopo la morte di Costantino si aprirà una stagione furiosa di lotte fra i successori indicati da Costantino. I figli di Costantino ordinano di assassinare i cugini Annibaliano e Dalmazio, a salvarsi sono i bambini Gallo e Giuliano. Nel contrasto per il possesso dell’Occidente fra Costantino II e Costante, prevale il secondo, poco dopo ucciso anche egli da congiure. Costanzo II per riparare la crisi nomina il cugino Giuliano per il controllo dell’area occidentale. Giuliano, il futuro l’Apostata, è alquanto carismatico, di professione pagana annullerà temporaneamente la cristiana svolta costantiniana. Simbolo di una ripresa di una politica filo-pagana è il ricollocamento dell’Ara della Vittoria nella curia senatoria (diventerà un contenzioso frequente negli ultimi anni dell’impero). Costanzo II geloso del successo di Giuliano l’Apostata muove contro il cugino, ma muore durante il viaggio. Giuliano è padrone assoluto dell’impero e sarà l’ultimo a tentare un’impresa gloriosa in Oriente, giustificandola nei suoi scritti con temi alessandrini. Rinuncia a conquistare Ctesifonte, capitale dei Sasanidi, impelagandosi nella conquista dell’impervia area di confine fra l’odierno Iraq e Armenia, non ricevendo più rifornimenti e distruggendo egli stesso le navi percorrenti i canali del Tigri e dell’Eufrate. Giuliano morirà per una ferita ricevuta in battaglia.
Dopo la breve parentesi di Gioviano, subentra l’energico comandante pannonico Valentiniano. Il suo unico errore è di porre l’inetto fratello Valente a capo della pars orientale dell’impero. Questo errore sarà fatale. Valente non riesce a gestire la crisi gotica. Già da tempo accoglieva molte genti barbariche dal limes, introiettandole nell’impero per fini militari, organizzando le varie comunità barbariche nelle diverse aree dell’impero, disperdendole e avviandole a una “romanizzazione” identitaria. Questo processo permetteva di non creare pericolosi nuclei concentrati di genti barbariche, che si sentivano estranee all’istituzione imperiale.
Lo storico Barbero rintraccia nell’evento della crisi gotica uno dei motivi causanti la morte inesorabile di Roma. I Goti ripetutamente sconfitti in battaglia dagli Unni, sono spinti a migrare al di là del Danubio per chiedere assistenza all’imperatore Valente. La migrazione è gestita malissimo, i Goti trasportano armi e non vengono dispersi in modo razionalizzato dall’amministrazione romana, ormai corrotta e assente nei suoi compiti. I Goti metteranno a ferro e a fuoco l’intera regione della Tracia fino a giungere allo scontro principale di Adrianopoli nel 378, dove Valente muore a causa dell’inarrestabile forza dei cavalieri gotici. Teodosio, generale ispanico, è nominato per risolvere la crisi gotica. Teodosio applicherà una politica filo-gotica, introiettando nei ranghi dell’esercito la comunità gotica, che assume sempre più potere e migra all’interno dell’impero alla caccia di nuovi bottini da ottenere.
Nel 406 il fiume Reno si ghiaccia e permette la migrazione armata di numerosi genti fra cui: Alani, Suebi-Svevi, Vandali, Burgundi, Franchi spinti sempre dai minacciosi Unni. Sarà l’inizio della fine. Alarico, nel frattempo divenuto Re dei Goti, diventa addirittura magister militum dell’Illirico sfruttando le dispute fra gli ormai divisi Impero Romano d’Occidente e Impero Romano d’Oriente, raccordati dalla figura del generalissimo romano-barbarico Stilicone (garante dei due puer princeps, Onorio a Occidente e Arcadio a Oriente). Alarico metterà a ferro e a fuoco l’Italia, saccheggiando Roma nel 410 d.C. L’evento fu sentito epocale anche per i coevi, Roma era rimasta inviolata da 8 secoli, l’ultimo sacco era stato quello dei Galli Senoni, comandati da Brenno, nel 390 a.C.




Roma subirà ben tre sacchi. Il primo di Alarico nel 410 d.C., il secondo dei Vandali (l’unico popolo a padroneggiare tecniche marittime, dopo l’acquisizione dell’Africa, e a spadroneggiare come pirati nel mediterraneo) nel 455 d.C, il terzo del generalissimo romano-barbarico nel 472 d.C. a causa di una crisi fra la pars orientale e quella occidentale. Lo scenario nel 451 è tragico, anche se il generale Ezio fronteggia vittoriosamente gli Unni di Attila ai Campi Catalaunici (in Gallia), grazie al sostegno di una confederazione di popoli germanici, Attila comunque invade l’Italia. Gli Unni avevano costituito un vastissimo impero, dalle steppe asiatiche del Volga fino alla Pannonia, misero sotto assedio il centro militare e operativo dell’Impero, Aquileia. Secondo la tradizione cattolica papa Leone I fermerà Attila, Flagello di Dio, fino a farlo desistere dall’invasione, ma in realtà l’Italia, oramai terra sterile di conquiste, non era più un’attrattiva data la mancanza di consistenti bottini. Attila morirà poco dopo e il suo vasto impero si dissolse altrettanto velocemente.




La caduta senza rumore dell’impero (Momigliano) è dimostrata dall’evento storico della deposizione di Romolo Augusto (ironicamente avente i nomi di due fra i più illustri e rivoluzionari personaggi della storia romana) da parte del comandante sciro Odoacre. Romolo Augusto è inviato in esilio a Napoli e riceverà una pensione nobile per mantenersi. Odoacre chiede una legittimazione dall’impero d’Oriente e da Zenone. Odoacre si farà nominare rex gentium, ma sarà spodesto da Teoderico, il grande re degli Ostrogoti. L’ultimo enclave romano, il dominio di Siagro, viene assorbito dall’ascesa stupefacente dei Franchi, il popolo più “romanizzato” ma soprattutto cattolico a differenza delle altri genti barbariche.
Roma è caduta “silenziosamente” e con essa anche la civiltà antica, siamo prossimi all’era Medievale e alla definitiva consacrazione dei Franchi in ambito europeo e degli Arabi in ambito orientale e africano.