William Shakespeare: letteratura, musica, poesia

Quelle ore che con delicato lavoro plasmarono
l’amabile sembiante su cui ogni occhio indugia,
saranno implacabili verso la loro opera
ed abbruttiranno quanto magicamente splende:
perché l’inarrestabile tempo guida l’estate
verso l’orrido inverno e ivi la sommerge;
linfa stretta dal ghiaccio e vive foglie cadenti,
bellezze sepolte da neve e squallore ovunque.
Se allora non rimanesse l’essenza dell’estate,
liquida prigioniera fra pareti di vetro,
l’eternarsi della bellezza finirebbe con la stessa
e non ci resterebbe nemmeno un suo ricordo:
ma i fiori distillati, pur colpiti dall’inverno
perdon solo l’apparenza: dolce ne vivrà il profumo.

 

Those hours, that with gentle work did frame
The lovely gaze where every eye doth dwell,
Will play the tyrants to the very same
And that unfair which fairly doth excel:
For never-resting time leads summer on
To hideous winter and confounds him there;
Sap cheque’d with frost and lusty leaves quite gone,
Beauty o’ersnow’d and bareness every where:
Then, were not summer’s distillation left,
A liquid prisoner pent in walls of glass,
Beauty’s effect with beauty were bereft,
Nor it nor no remembrance what it was:
But flowers distill’d though they with winter meet,
Leese but their show; their substance still lives sweet.

 

Sonetto 5 William Shakespeare

 

400’ anni dalla morte di un genio assoluto, un mito, semplicemente William Shakespeare. Il mito è avvolto dal mistero, proprio come le origini della sua persona: nota è la rivendicazione della provenienza di Shakespeare in Sicilia, in base a una traduzione di un cognome siciliano, inoltre è celebre la teoria dell’incertezza sulla paternità di alcune sue opere. Crea ancora mistero fra tutti noi. Venerdì 10 Giugno presso il Palazzo Serra di Cassano, ovvero L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si è tenuto un incontro “consonante” fra letteratura, musica e poesia, cioè la presentazione di Amleto e Ofelia La critica shakespeariana negli scritti di Nicolò D’Alfonso a cura di Francesco D’Alfonso come studio della psicologia e patologia dei personaggi dell’ Amleto di Shakespeare e il disco Neapolitan Shakespeare del maestro Gianni Lamagna, già pubblicato da un anno, riguardatne la traduzione di 17 sonetti shakespeariani in lingua napoletana. Inoltre alla discussione partecipano Arturo Martorelli, componente del comitato dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, e Bruna Mancini, docente di letteratura inglese all’Università della Calabria.

Martorelli evidenzia doverosamente la singolarità dell’operazione di D’Alfonso, ritenendolo  una figura sui generis, ma anche del suo discendente, ossia il curatore del libro, il quale si è applicato a un lavoro genealogico, di continuare la traccia di una personalità avente una caratura nazionale. Difatti la parabola degli intellettuali di una certa fama e statura tende ad essere ignorata nell’arco di qualche decennio, pertanto è imprescindibile un lavoro di scavo, di cura nell’analizzare il perché delle loro opere del passato. Martorelli fa risaltare con rilevante pregnanza il carattere dell’era contemporanea, ossia l’oblio, ricordando la ricorrenza del 40 esimo anno della morte di Luchino Visconti,  manifestando un’esigua premura di diffusione nel panorama dei mass-media di un monumento della nostra cultura nazionale (non solo cinema, ma anche lirica, teatro). Ricalchiamo quell’eco lontano (Leopardi) dei popoli antichi, che hanno agito all’interno della nostra società? È nostro oblio?

L’operazione di scavo archeologico del sapere, qui si connota come un operazione di amore intorno all’oggetto, specificatamente di studio: è porre l’attenzione sul passato. Chi è Nicolò D’Alfonso? Martorelli lo considera come una personalità insegne vissuta in un’Italia nel periodo della sua unità e oltre, conoscendo anche la monarchia borbonica, adottando una linea liberale. È l’epoca di una grande estradizione di intellettuali del tempo verso le regioni estere, come Bernardo Spaventa e altri intellettuali dell’epoca; poi ad Unità avvenuta l’emigrazione dei cervelli del Sud pone le proprie abilità al servizio dell’ultimata unificazione. Francesco De Sanctis ad esempio fu Ministro dell’Istruzioni. D’Alfonso nasce in questo ambiente. La cultura positivistica ha un grosso richiamo, avendo le sue sponde nella cultura europea, però,  D’Alfonso riesce ad isolarsene senza rinunciare alle scienze, adottando tale prospettiva: non lo scientismo, come ultima risposta determinista ai problemi dell’uomo, ma l’ingresso della critica storica, filosofica, psicologica in comparazione al contributo scientifico. La sua esegesi shakespeariana si fonda nell’introduzione della dottrina dei temperamenti e si avvale dello scambio epistolare di Croce (altro totem per l’interpretazione shakespeariana, in veste qui di posizione avversa a D’Alfonso, ma di cui ne riconosce la maestosità del pensiero), il quale ammette che non c’è un accurata critica shakespeariana in Italia in quel tempo. Siamo di nuovo nell’oblio, dato che Croce è come un Dante dimenticato, le cui opere non sono diffuse all’interno delle scuole. Oggi abbiamo solo biblioteche chiuse in scatoloni.

Martorelli lamentando l’assenza di spirito critico all’interno della società, propone di diffondere spirito di sacrificio, dedizione e convinzione, che un’analisi critica possa dare forza a una tradizione, rinnovandola. Proprio D’Alfonso, fu un esempio di come al di là delle avversità del tempo, si ha un onestà del tempo, ovvero un onestà intellettuale, qualità dissolta nel nostro tempo. Martorelli ritiene, che sul lungo periodo si può essere ottimisti, decisivo è continuare sulla strada in cui crediamo. Quella di Francesco D’Alfonso è un’operazione di scoperta, di riscoperta ma soprattutto di valorizzazione. Nicolò D’Alfonso va a fondo, intraprendendo una strada in cui si crede e di pura onestà intellettuale, non continuando a sostenere tesi invalidate nel tempo. Fu un esempio della nascita dell’unità italiana, come un’immensa opportunità di libero respiro intellettuale.

Bruna Mancini intervenendo riguardo all’argomento mette in luce la dirompenza del mito di Shakespeare, permettendo un incontro sulla sua celeberrima personalità fa un cantautore napoletano, un discendente di un interprete inusuale di Shakespeare (Nicolò D’Alfonso si laureò a Napoli in Medicina, e anche in Lettere e Filosofia), un istituto di filosofia e letteratura inglese. Professoressa Mancini si occupa, appunto, di Bardolatria: il culto di Shakespeare, che nasce nel Settecento, avrà altre flessioni linguistiche come Bardologia o Bardomania.

Considerando la passione pura per Shakespeare di Nicolò D’Alfonso, lo addita come un bardomaniaco, all’interno del panorama di carenza di studi shakespeariana, d’altra parte è un’era primitiva per l’origine dello studio italiano su Shakespeare. D’Alfonso ha un’analisi da scienziato, psicologo, ha un’interpretazione dei personaggi come di esseri viventi, a differenza della Semiologia del teatro, ove il personaggio è studiato in maniera differente. C’è una prospettiva interessante, il filosofo Shakespeare, respirando il tempo  e la scrittura di D’Alfonso (c’è un  profondo gusto del testo e della sonorità del verbo italiano, secondo Mancini). Il suo insegnamento è culturalista, sui generis, donando molta importanza alle figure femminili, proponendo una lettura a 360° gradi di un testo letterario, avvalendosi di strumenti scientifici commisti ad elementi letterari.

È un incontro che celebra la morte di Shakespeare, su una raccolta di interpretazioni di testi raccolti da D’Alfonso e sulla traduzione, in napoletano, di 17 sonetti di Shakespeare, musicati dal maestro Lamagna. Mancini introduce la discussione riguardo al Canzoniere di Shakespeare, i cui caratteri principali sono il Fair Youth, Dark Lady e il Rival Poet. Thomas Thorpe pubblicando il Canzoniere, catalogandolo senza il consenso di Shakespeare e la sua rispettiva disposizione, creò pertanto dei dissidi interpretativi, quasi mitologici, avvolgendo di mistero il già enigmatico Bardo. Non sappiamo se il Giovin fanciullo è uno o più, proprio come la Dark Lady: è discutere di un grande mistero letterario. Chi poteva essere il Giovin Fanciullo, chi la Dark Lady, quanti riferimenti, chi è lo stesso Shakespeare?

Qui si inserisce la traduzione di Lamagna, avendo cambiato l’ordine dei sonetti all’interno del suo album. Mancini respira molto la cultura partenopea nei sonetti di Lamagna, composta di mescolanza di ritmi e sonorità tipicamente partenopei, ripercorrendo la tradizione di Eduardo De Filippo (il quale aveva messo in scena la Tempesta di Shakespeare). Il metodo del Bardo, vale a dire il riuso di testi della tradizione e dei suoi predecessori (la commedia dell’arte e i sonetti di Petrarca), in Lamagna si rivitalizza proponendoci colori, sonorità contemporanei e passati. L’incipit dell’album è il sonetto 55: dà l’apertura di un discorso meta-artistico (l’importanza dell’arte, qui c’è l’idea della filosofia del sonetto, di cosa comunicano i sonetti), è una lettura critica di Lamagna, asserendo l’attimo immortale della poesia come ritmo, musica. Gli argomenti del sonetto 55 sono la discussione sulla bellezza, l’arte eterna, la poesia è più potente di qualsiasi costruzione di edifici, cioè, materiali che si sgretolano ma l’arte musicale-poetica si eterna. Il 55 si inizia per un approccio a Shakespeare, è una dichiarazione di intenti artistici.

Secondo il punto di vista di Mancini, Lamagna percepisce, sente in maniera corretta la traduzione nel nostro idioma: la parola è ricreata, rinnovata. Una riscrittura dei testi di Shakespeare in precedenza era sacrilego, invece a detta di Bruna Mancini, i testi devono condurre ad altri testi, altrimenti si perderebbe il senso della letteratura. Shakespeare eternizza il potere della musica come poesia e viceversa. 128 esprime, inoltre, la musicalità piena del sonetto, la traduzione del maestro Lamagna, qui tocca l’apice, si immette nei canali della traduzione e del testo entrando in consonanza, sentendo i ritmi in un processo di pura simbiosi.

La chiusura dell’album del maestro Lamagna è sonetto 66: secondo la docente di letteratura inglese è una scelta ironica, partenopea, colorita. È uno dei sonetti più ritmati, iniziando con and, reso come uso strumentale di una figura retorica, l’anafora, stravolgendo la struttura tradizionale, capovolgendola, destrutturandola. Nel sonetto si invoca la morte pur di non vedere il merito che è costretto a mendicare, il nulla che viene ornato, la fede che viene irrisa, l’arte che viene imbavagliata. È una chiosa stupenda per Bruna Mancini. È comunicare più di una cosa, è un discorso irriverente, affermando al contempo problematicità molteplici.

La poetica di Shakespeare è un netto concentrarsi sulle relazioni arte-musica-poesia. Non è semplicemente dichiarazione d’amore per la Dark Lady, ma è entusiastici atti d’accusa e sfoghi riversi alle avversità di ogni tempo.

A prendere la parola ora è il discendente di Nicolò D’Alfonso, Francesco D’Alfonso, l’archeologo dello studio shakespeariano dell’avo, il quale riconosce la consonanza esistente fra musica, poesia, arte riunita sotto il nome sacro di Shakespeare, ricordando il valore eterno della poesia con una citazione di Nicolò contenuta in  Guglielmo Shakespeare attore ed autore:  << la distruzione nel campo delle scienze, contribuisce a formare e a rinvigorire l’intelletto e far intendere il mondo reale, ma solo nell’ambito della poesia può contribuire ad arricchire il suo mondo interiore, vivificandolo e a manifestarlo nella vita esterna >>. È la storia di un grande amore fra D’Alfonso e Shakespere secondo l’autore del libro Amleto e Ofelia, in cui l’oggetto desiderato è oggetto di studio, non perdendo mai la passionalità. Quest’amore nasce genealogicamente a Napoli, Nicolò si iscrisse alle facoltà di medicina, poi di lettere e filosofia: conosce i grandi portatori dell’idealismo hegeliano a Napoli, sente il respiro intellettuale di De Sanctis, il quale a proposito della commedia dantesca scrive: <<queste grandi figure, lì sul loro piedistallo, rigide come statue, attendono l’artista che le prenda per mano e le getti nel tumulto della vita e le faccia essere idratantici e l’artista non fu italiano, fu Shakespeare>>.

Pertanto, l’approccio di D’Alfonso è consonante con quello di De Sanctis, vagliando il soffio di vitalità scorrente nei personaggi nelle tragedie di Shakespeare. Di conseguenza il rapporto con D’Alfonso-Shakespeare è fitto, è un approccio singolare, è l’inserimento della dottrina classica dei temperamenti di Ippocrate e Galeno, inserendo nell’opere di Shakespeare la sua conoscenza di psicologia criminale ( frequenti erano i suoi corsi alla Sapienza); precisamente studiando Macbeth affronta il questione razziale ( immettendo la questione medica dei personaggi), arrivando alla conclusione che non si può parlare di atavismo biologico, non esiste, dunque, differenza sostanziale fra le razze, ma esiste una differenza di educazione. È un anticipatore in tanti campi, è una voce fuori dal coro, è un intellettuale solitario ma non isolato, partecipando sempre nella vita intellettuale italiana, frequentava dopotutto gli Spaventa, Croce; era soprattutto un pubblicista di rivista culturale (qui l’autore ricorda il pensiero di Walter Benjamin: le riviste rappresentano lo spirito di un’epoca). È il rappresentante dell’epoca, come ingresso dell’Italia in un nuovo millennio.

Il Sonetto 5, come ricorda lo scrittore è l’incipit del suo libro, richiama l’arte e l’eternità della poesia: << i fiori distillati anche se vien l’inverno perdono solo la parvenza, l’essenza vive in eterno >>.

Gianni Lamagna prorompe nella discussione domandandosi che cosa ci fa un cantautore popolare qui? Non si ritiene un musicologo, e asserisce di aver appreso in tale sede di essere bardologo o bardomaniaco. Ritiene grande, la scoperta di D’Alfonso, intendendo la su ricerca come un invito della vita, ch ci richiama sempre a ciò che siamo. Precisa il cantatutore, D’Alfonso è un meridionale, inoltre il discendente ha ricercato agli studi del suo avo, riportando la tradizione alla luce. Lamenta però le avversità di questi tempi e rivede l’anima del 66 sonetto, per il cantautore popolare è una scelta incazzata, ossia è inconcepibile immaginare mondo andato a rotoli, ove il merito è sempre calpestato e l’arte è imbavagliata, e il ricco rimane tutto “alliccato”.

Lamagna tiene a precisare che l’album deve avere un percorso teatrale, introducendo Shakespeare con la forza tagliente delle sue rime, manifestando in tutta il suo vigore le angosce e le speranze contemporanee. Inoltre rimarca la sua scelta linguistica, anche se avesse voluto usare la lingua del 600’ e di Basile, ritiene più partecipativa la vicinanza alla lingua adoperata da Viviani, dai ragazzi del rione Sanità, dal gergo comune, quotidiano: è la lingua appresa in un commisto di tradizione e di realtà di tutti i giorni. Sottolinea il 17, come numero magico, il giorno della sua nascita, inserendo  al’interno del CD 17 sonetti e il 17esimo sonetto: il 17 è un segno che si ripercuote nella sua vita.  Trova curioso il collegamento con il libro di D’Alfonso: confessa, che il Cd gli è stato suggerito da un musicista pugliese Tonio Logoruso proveniente da Bisceglie (nel solco della tradizione dei musicisti pugliesi formatisi a Napoli, proprio come il percorso di D’Alfonso). Mancini mette in evidenzia la difficoltà di traduzione del 135 e del 136, dove si respira l’aria di popolarità, qui Lamagna rimarca di aver tradotto fedelmente,  i suoi tradimenti sono di consonanza sentimentale.

Vi proponiamo l’ascolto del 128, musicato a fine della presentazione: è il sonetto dei musicisti, delle mani che toccano legni e corde.

 

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