Indice
Prefazione di Giuseppe Sergi
Introduzione: Le forme del dominio
1° Parte: LA TRASFORMAZIONE DELL’IMPERO ROMANO
Introduzione
Capitolo 1: L’Impero cristiano
1, Il sistema imperiale tardoromano: potere e prelievi
2. L’esercito, il limes, i barbari
3. La Cristianizzazione dell’Impero
4. Vescovi e monaci
Capitolo 2: Barbari e regni
1. Mobilità degli eserciti
2. I Nuovi regni
3. L’Italia Ostrogota
4. Anglosassoni, Vandali e Visigoti
4.1 Anglosassoni
4.2 Vandali
4.3 Visigoti
Capitolo 3: La simbiosi franca
1. Clodoveo
2. Le chiese franche e la diffusione del monachesimo in Occidente
3. I regni e l’aristocrazia
Capitolo 4: La rottura del Mediterraneo romano
1. Produzione e scambi in Occidente
2 Le ambizioni universali dell’Impero di Giustiniano
3 Dibattiti teologici e identità locali
Prefazione di Giuseppe Sergi
Il testo ricerca una trasmissione corretta delle conoscenze. Due sono i caratteri che lo contraddistinguono:
1) l’aggiornamento sulla base di ricerche recenti e 2) l’esplicitazione delle correzioni.
I due autori colgono il lavorio della ricerca medievistica più avanzata, che secondo gli autori è destinata a segnare l’interpretazione del Medioevo. Parte della storiografia dell’Ottocento ha prodotto una vulgata ed è necessario cancellare stereotipi troppo consolidato.
Ad esempio la curtis è un “unità gestionale, non come unità fisica e territoriale”. L’economia dell’Alto Medioevo non è un’economia chiusa.
Non esiste la “piramide feudale” con al vertice il re, ma piuttosto una “confusa e discontinua” rete orizzontale di fedeltà (March Bloch).
La Chiesa e il “cesaropapismo” non hanno una struttura verticistica prima della riforma del secolo XI.
Gli autori abbracciano una visione di “continua rielaborazione”, soprattutto la questione etnica. I Longobardi avevano dato vita un’efficace simbiosi di civiltà dal VI all’VII secolo, proprio come i precoci Franchi a partire dal V secolo.
Nel primo comune consolare, il ruolo dirigente era dell’“aristocrazia militare più in vista” non della borghesia.
Gli autori hanno seguito l’andamento cronologico. Ma nuovi orizzonti sono stati aperti verso il prelievo fiscale, la capillarità politica e i mutevoli rapporti potenti-sudditi.
Dal XI al XII c’è il teatro di conflitti continui fra grandi possessori e i signori di castello. I processi di ricomposizione hanno protagonisti iniziali diversi in Italia e in Europa: in Italia prevalgono i comuni e in alcuni casi i principati territoriali; in Europa la città è quasi “bicefale” da una parte i poteri signorili ma dall’altra i ceti specificamente urbani. Per l’Italia non mancano “ritorni” alle istituzioni comunali dopo essere passati per gli Stati regionali. I signori-principi acquisirono “per blocchi separati” città e territori, che patteggiavano col signore modi e forme dell’entrata nel dominio.
Alle soglie dell’Età moderna gli esperti di diritto erano giuristi pratici che contribuirono all’omogeneizzazione culturale europea.
Gli autori danno spazio all’apertura dei nuovi mondi, anche dopo la caduta dell’Impero Romano. È giusto collocare lo strumento feudale in una dimensione europea.
Introduzione: Le forme del dominio
Il Medioevo è una convenzione storiografica creata artificialmente. È un contenitore di processi politici, sociali e religiosi estremamente diversificati.
Giovanni Tabacco ha analizzato le più diffuse manipolazioni ideologiche inerenti al Medioevo: il feudalesimo come sistema politico ed economico, la presunta uniformità religiosa sotto il manto di una cristianità onnicomprensiva, un’interrotta nobiltà “germanica” o la diffusione dell’“anarchia” delle comunità locali.
Il Medioevo rimane un “cosmo imprevedibile nei suoi processi evolutivi”. Il Medioevo è segnato da “una costante possibilità di esperienze imprevedibili”.
Il Medioevo è un intreccio di eventi e di strutture da ricostruire, caso per caso, nel proprio significato storico.
La storia del Medioevo si presta alla totalità, ovvero, la ricostruzione di ogni manifestazione della vita umana e di aspetti sociali, materiali, politici, culturali e religiosi. Però la storia deve delineare una “struttura globalizzante”, ovvero, delineare la comprensione dei legami esistenti fra le diverse strutture.
I due autori hanno scelto come dimensione chiave le forme di dominazione e i gruppi sociali che elaborarono o subirono le spinte di costruzione di un simile apparato. I sistemi di dominio sono dati dall’intreccio di storia religiosa (tentativo di istituzione di una Chiesa ufficiale), economica (controllo della fiscalità), culturale (ricerca di una cultura dotta) saperi giuridici.
Tantissimi furono i percorsi che generarono forme di dominio in piena trasformazione, in tentativo di “inquadrare” le persone e dare una traccia visibile di tale dominio. Ma ai tentativi corrispondono le opposizioni. Gli attori sociali non rispettavano il copione. L’azione politica si snocciolava in una serie di relazioni violente e contraddittorie, che rivalutavano gli assetti sociali.
Un tipico centro di irradiazione sono i rapporti fra re e aristocratici, dai regni romano-germanici fino alle monarchie nazionali tardomedievali.
Altro tema tipico sono il nesso aristocrazia e chiese, fra aristocrazia militare e aristocrazia della preghiera, ovvero, le due forme di inquadramento parlano una medesima grammatica del potere.
Altro tema connesso al precedente è la relazione intellettuali e potere, fra il pensiero giuridico-politico e le pratiche del potere. La cultura (lettura, scrittura, giurisprudenza) sono state prerogative dei religiosi, quindi è davvero importante lo sforzo delle istituzioni ecclesiastiche di inquadrare i “fedeli”.
Altro tema tipico è il nesso fra chi coltiva e chi controlla la terra. È una relazione che fonda tutti i processi economici di accumulo, redistribuzione, consumo, in un’epoca in cui la “ricchezza” è sinonimo di “terra”.
Dal IV secolo si avviarono importanti mutamenti del mondo romano, con l’affermarsi del Cristianesimo e una connotazione più barbarica dell’esercito. La fine è ovviamente, nel XV secolo, il momento della formazione degli Stati Nazionali e regionali, basi della dinamica politica europea nell’epoca moderna.
La prospettiva è quella europea. Ma la realtà italiana assume maggiore rilievo: per il regno longobardo fra VI e VIII secolo, per la formazione dei comuni cittadini fra XI e XIII secolo, e infine, per gli Stati regionali e le compagini monarchiche dell’Italia meridionale fra XIII e XV secolo che rendono complessa l’articolazione “plurale” dei poteri politici nel Basso Medioevo.
È importante analizzare anche la trasformazione del mondo romano come prospettiva territoriale ampia; e anche l’espansione islamica, dall’Indo al Portogallo, per collocare l’incidenza diretta dell’Islam sull’Europa occidentale.
1° Parte: LA TRASFORMAZIONE DELL’IMPERO ROMANO
Introduzione
Furono gli Umanisti a coniare “medias aetas”, il periodo di mezzo fra la classicità e loro stessi. Volevano affermare una diretta discendenza dalla cultura classica e considerare il millennio precedente come un intermezzo, un’epoca di barbarismi e di declino culturale. Gli uomini del Rinascimento ritenevano lo Stato, il modello politico più alto, e pertanto avversavano il periodo intermezzo.
Il Medioevo è una convenzione. Nessuno pensa a un blocco millenario omogeneo, anzi il Medioevo è l’epoca di transito dalla trasformazione del mondo Romano (IV e VI secolo) alla formazione dell’Europa moderna.
La transizione dall’antichità coglie una profonda trasformazione delle forme di vita, prima della caduta dell’Impero e conclusasi molto dopo.
Il Cristianesimo compì un salto di qualità nel IV secolo. Passò dalla concessione di Costantino nel 313 come libero culto, fino al riconoscimento come religione ufficiale dell’Impero nel 380. Il Cristianesimo era diventato culto dominante.
L’esercito o meglio la popolazione si era “barbarizzata”. Molte di queste genti si erano stanziate nell’Impero e andarono a costituire l’esercito. Questi gruppi prevalsero politicamente nell’Impero occidentale (i Regni romano-barbarici o romano-germanici); mentre l’Impero Romano d’Oriente conservò le sue forme di potere. Il prelievo delle tasse era stato il principale volano per la circolazione economica, decadendo ciò si interruppe l’interdipendenza economica delle regioni.
Il VI secolo si presentava con tutte le forme del vivere sociale come diverse rispetto al IV secolo: si erano diffuse nuove lingue ma si scriveva in latino, si credeva in un Dio diverso, si usavano oggetti di produzioni locali, le città erano più piccole.
Le date sono soggette troppo a interpretazioni:
• 476 esprime l’idea del mutamento delle istituzioni più alte;
• 410 Il saccheggio di Alarico privilegia una lettura etnico-militare e la libera mobilità dell’Impero che non si verificava dai Galli di Brenno;
• 324 La fondazione di Costantinopoli evidenzia i quadri territoriali e istituzionali di una capitale alternativa;
• 313 L’editto di Milano indica il mutamento religioso più rilevante;
Il fatto specifico non determina il mutamento, ma è il mutamento strutturale a manifestarsi.
Dal IV al VI secolo si verifica la trasformazione del mondo romano e che i nuovi stati sorti formarono diversi modelli di funzionamento sociale, economico e politico.
1° Parte: La trasformazione del mondo romano si attua fra il IV e VI secolo. Alla fine del VI secoolo tutto era cambiato rispetto all’inizio del IV: strutture politiche, disturbuzioni di popoli, fedi religiose, sistemi di scambio. Il principale processo in atto è la rielaborazione dell’eredità di Roma e la costituzioni di forme profondamente nuove socialmente ed economicamente.
Fra i secoli VII-X si verificano due mutamenti rivoluzionari che danno vita al Sistema di dominazione altomedievale: l’espansione dell’Islam e la costruzione dell’Impero carolingio nell’Europa occidentale. C’è sempre un equilibrio mutevole fra poteri regi, aristocrazia militare e chiese. Il X secolo inaugura la pluralità dei poteri locali dopo la disgregazione dell’Impero carolingio. Nascono signorie locali, castelli, comunità di villaggio, centri urbani.
Dal XI vi è una contesa fra i poteri locali e riunificare il controllo. Il periodo è fra i poteri regi e i poteri locali. La Chiesa presenta il progetto più ambizioso: unificare tutta la “cristianità” sotto la guida del papato romano estendendo il controllo dal ceto armato fino ai sudditi-fedeli. Anche i regni reiniziano a imporre una gerarchia più articolata. i regni si fanno carico di progetti culturali complessi grazie all’ingresso di giuristi nelle corti laiche ed ecclesiastiche- I re promuovono leggi valide per tutto il territorio. Le maggiori signorie regionali promuovono uno sviluppo dell’agricoltura che raggiunge nel Duecento il suo apice.
Dalla metà del XII al XV secolo si assiste ad una crisi economica, politica e sociale. Economica perché c’è una serie di epidemie e l’eccessiva espansione delle terre. La crisi coinvolge anche la Chiesa, che ha accentrato il papato ma è diviso da scismi interni fino alla cattività di Avignone. I regni ricercano consensi nelle assemblee locali che sono sempre più in subbuglio e sono guidate dai signori locali. Non è più possibile fare uso della coercizione e si ricerca un sistema “ordinato”.
Capitolo 1: L’Impero cristiano
Il tardo antico è un periodo con i propri connotati e non indica la “decadenza” dell’Impero. L’impero assume più una dimensione “regionale” e vide la progressiva penetrazione di nuove popolazioni, ma anche di nuove forme religiose.
Per capire il Medioevo è necessario comprendere il Tardo Impero. Quali erano le sue strutture di prelievo fiscale? Il potere come era gestito? L’esercito era formato da barbari? Perché è importante la cristianizzazione dell’Impero e la figura del monaco?
Ad esempio vengono proposte sole le fonti di narrazione “cristiana”, avversanti le posizioni pagane (specialmente nel caso di Giuliano l’Apostata). La stabilizzazione etnica dei popoli germanici è raccontata secoli dopo da discendenti o persone di ambito romano.
1, Il sistema imperiale tardo-romano: potere e prelievi
Verso la fine del II secolo d.C. l’espansione militare dell’Impero terminò. I confini segnati erano il limes del Reno e del Danubio. Questo processo riguardava anche le popolazioni esterne all’impero, i cosiddetti “barbari”.
L’Impero riuniva popolazioni di diverse tradizioni, lingue e religioni. Erano tutti coordinati da una straordinaria macchina statale, fiscale e militare.
Gli anni dell’anarchia militare furono una serie di lotte di successione al trono con la presenza anche di più imperatori.
Nel 285 Diocleziano conquistò il potere e pose fine agli anni dell’anarchia militare (235-284). Diocleziano condivideva nel 285 il suo potere con Massimiano, ma era in modo indiscusso superiore.
Diocleziano controllava l’Oriente, mentre, Massimiano l’Occidente. Nessuno risiedeva a Roma. Roma iniziava a perdere le sue funzioni di Urbe e capitale unica, ma rimaneva il centro simbolico e la sede del Senato. La diarchia divenne una tetrarchia: ai due Cesari, Galerio e Costanzo Cloro, si affiancavano i due Augusti, Diocleziano e Massimiano. Le responsabilità di governo erano tetra-partite territorialmente.
I passaggi fondamentali del IV secolo erano la fondazione di Costantinopoli e il regno di Teodosio. L’imperatore Costantino nel 324 decretò di fondare la nuova città, Costantinopoli e nel 330 celebrò la dedicatio (pomerium).
Costantinopoli nacque come residenza imperiale: era la Nuova Roma. In Occidente assumevano importanza Ravenna, Milano e Treviri. Costantinopoli, invece, si affermò nel Mediterraneo orientale. Altra anomalia era la presenza di un Senato anche a Costantinopoli. Questo senato era l’appendice del Senato di Roma. Era formato da senatori legati alle aree orientali dell’Impero. Solo a partire dal 400, Costantinopoli divenne capitale.
La divisione fra Impero Romano d’Occidente e Impero Romano d’Oriente fu attuata da Teodosio I, che successe al potere dopo il disastro della sconfitta di Adrianopoli (387). Teodosio comprendeva quanto fosse importante la presenza dell’imperatore per arginare le migrazioni delle popolazioni barbare. Egli divise l’Impero: Onorio riceveva l’Occidente e Arcadio riceveva l’Oriente. Dal V secolo in poi si parla di una storia diversa dei due imperi.
La macchina statale era complessa e per funzionare necessitava di un enorme afflusso di denari per sostenere la burocrazia, Roma (per i rifornimenti di cibo gratuiti) e l’esercito (che era stipendiato).
Il prelievo fiscale capillare era fondamentale. La sua voce maggiore era l’annona. Era un’imposta gravante sulla popolazione rurale in base all’estensione delle terre e al numero di contadini.
I Curiales erano incaricati di riscuotere l’imposta nel territorio circostante e di girarla all’apparato imperiale. Dovevano agire di prima persona in caso di mancata riscossione o insufficienza. Questa tassa gravava sulla media elites cittadina.
L’economia romana e il sistema di tassazione permetteva di integrare tutte le aree dell’impero. Le imposte andavano nelle casse centrali di Roma. Ad esempio la produzione dell’Egitto e del Nordafrica sfamava la popolazione di Roma e gli eserciti del limes. Insomma era una circolazione fiscale fatta di moneta e di beni di primo consumo (il grano dell’annona). Lo scambio commerciale richiedeva perfetto funzionamento delle infrastrutture, della sicurezza della navigazione.
Il commercio a lungo raggio dipendeva dal sistema di tassazione che permetteva il mantenimento di infrastrutture adatte.
La caratteristica principale dell’età imperiale era un’economia dove le regioni erano interdipendenti (esempio: il grano dell’Egitto sfamava Roma). Questo sistema è diverso dall’economia del Basso Medioevo.
Con il Tardo Antico si conclusero l’espansione militare, ma anche l’espansione economica di conquiste (afflusso di bottini) e di prigionieri di guerra (abbondanza manodopera servile). Il sistema schiavistico declinò vista la bassa produttività. Le villae tardoromane erano espressione di un’integrazione fra grande proprietà aristocratica e colonato contadino.
Le spese militari erano ingenti data la pressione delle popolazioni sui limes (renano-danubiano, britannico e persiano). Gli imperatori risposero con una politica inflazionistica. Si produceva moneta riducendo il valore intrinseco, la quantità di metallo prezioso contenuta nella moneta. Si coniavano più monete con un contenuto di fino minore. Quindi si possedeva una moneta di minor valore. Questo processo colpiva i ceti più poveri.
L’integrazione economica aveva dei costi di gestione elevatissimi e da questo momento costituiva un passivo.
L’Italia perse il suo primato produttivo e divenne luogo di consumo. Le derrate e i manufatti andavano dalle periferie verso il centro o verso il limes, i veri luoghi del potere.
La regione più ricca divenne l’Africa proconsolare e Cartagine, produttrice di grano e di artigianato. Si stabilirono due assi di produzione-consumo: Cartagine-Roma e Egitto-Costantinopoli.
2. L’esercito, il limes, i barbari
L’esercito era una delle voci di maggiore spesa. Si trattava di un esercito stipendiato. L’esercito era mantenuto da una tassa che i proprietari pagavano per non inviare i propri coloni in guerra, così salvaguardavano la propria manodopera. Grazie all’articolato sistema fiscale l’Impero equipaggiava il proprio esercito. Gravava sulle spese statali i conflitti intestini e la pressione delle genti barbariche sul limes.
I corpi militari erano i comitatenses, la forza mobile che accompagnava l’imperatore, e i limitanei, le guarnigioni poste a difesa del limes.
Il limes è una struttura chiave. Fu il vero luogo di confronto fra Romani e popolazioni barbariche. Il limes non era una “linea di confine” o solo una serie di fortificazioni lungo la linea di confine, addossata sulle frontiere naturali (come il Reno e il Danubio). Il limes era l’ampia fascia di incontro, scambio e scontro fra le popolazioni che circuivano l’esterno. La romanizzazione influenzava anche l’esterno dell’Impero. I barbari vedevano nel limes una presenza militare ma anche l’opportunità di entrarvi o di assimilare modelli di civiltà.
Barbari indicava tutte le popolazioni che non parlavano il greco, poi il latino. Era una categoria carica di giudizio. Erano barbari perché non erano “Romani”, sia cittadini sia di lingua.
I Germani indicherebbe un affinità di costumi e di lingua, ma è una nozione intellettuale derivata da Tacito.
Queste popolazioni si sentivano legate ai loro capi come Alarico e non si sarebbero definito con un contenitore omogeneo come i germani. Barbari è una definizione più consona se è liberata dallo sfondo di negatività. Barbaro indica appunto chi non è romano.
La medievistica europea contemporanea ha rinnovato la questione dell’identità etnica di questi gruppi.
Innanzitutto l’indagine si focalizza sulla percezione soggettiva degli stessi gruppi, chiedendosi come concepissero sé stessi e in che misura gli individui si considerassero membri di un popolo.
Gli studiosi Reinhard Wenskus e Walter Pohl hanno dimostrato come questa identità non fosse permanente o stabile, ma è l’esito di incessante rielaborazione, di una costruzione sociale e culturale. Stiamo parlando dell’ “etnogenesi” o “costruzione dell’etnia” oppure “costruzione dell’identità di un popolo.
1) Quindi l’appartenenza a un popolo è una percezione personale ed espressione di una volontà di farne parte. È una scelta continuamente messa in discussione, continuamente rinnovata e ridefinita nelle sue forme
2) L’etnogenesi subisce fasi di accellerazione e intensificazione, ma non si risolve per sempre. Questa descrizione è efficace per il periodo fra il III e VI secolo, quando popolazioni mobili agivano ai margini di un sistema politico molto strutturato.
Il senso di appartenenza dei barbari era legato a piccole unità sociali o tribali. È difficile considerare una cartina geografica che stigmatizzi in una linea di migrazione precisa. Piuttosto è necessario pensare al dato soggettivo, al singolo che si sente parte di un gruppo ristretto e di natura tribale. Soprattutto è importante il legame che il singolo stringe con il proprio capo militare. Ma alcune identità etniche riuscivano a mantenere un’identità un po’ più coese.
La solidarietà fra i vari clan tribali si mostrava nella solidalizzazione a un capo militare, che riuniva i vari gruppi tribali in vista di scorrerie, conquiste o impegni militari. Quando il re moriva, la solidarietà del popolo si riproduceva individuando una nuova guida militare.
È giusto parlare di popoli ma non di gruppi perfettamente omogenei e stabili. Le popolazioni barbariche erano strutture estremamente mobili, confederazioni di gruppi tribali, che si riunivano e si sfaldavano al seguito dei capi più carismatici e più abili nel condurli al bottini.
Ad esempio i corredi funebri non possono essere ridotti semplicisticamente. Il morto che possedeva una fibbia gota non vuol dire che era Goto. Il morto poteva individuare nei Goti un gruppo dominante e ambiva a farne parte e a esibire questa appartenenza oppure poteva avere un legame con i Goti.
I popoli più forti militarmente offrivano maggiore possibilità di arricchimento ed erano poli di attrazione per far confluire nuovi gruppi alla ricerca di bottini.
Fra il III e IV secolo, la struttura più catalizzante per le possibilità era l’Impero romano. L’Impero offriva possibilità di arricchimento e di opportunità per uomini ben addestrati al combattimento. Il sistema militare romano stipendiava uomini, prumoveva i migliori e non dava peso alle differenze etniche. La mobilità dei gruppi barbari era opportuinità di mettere la propria forza militare al servizio dell’Impero.
I barbari “penetrarono” nell’esercito romano nel III e nel IV in quanto corpi ausiliari oppure stringevano accordi di vario tipo (erano foederati e riscuotevano l’hospitalitas). Insomma erano scambio di quote di ricchezza e forza militare fra impero e popolazioni “barbariche”.
I limes fu un contesto di elaborazione identitaria e accellerò il processo di etnogenesi. Singoli o gruppi tribali o interi popoli entravano nell’esercito come corpo organizzato, alcuni conservarono le proprie gerarchie e capi. All’interno dei diversi gruppi si innescava la solidarietà di gruppo riunita attorono alla leadership di un capo militare carismatico. Era in questi contesti di cooperazione stabile e strttutrata sotto la guida di un capo militare che le identità collettive si “inquadravano”.
I singoli barbari potevano fare carriera all’interno dell’Impero Romano come accadde ad Arbogaste e Silicone.
L’esterno del limes non è un confine che traccia chi è dentro e chi è fuori ma favorisce per Roma la gestione dei confini come possibilità di condizionare le scelte dei capi barbari, che mostrano una politica filoromana. Il limes è periferia del sistema politico romano.
Fra il III e la prima metà del IV secolo non emersero forme di invasioni del limes. Negli ultimi decenni del IV si assistette a una sensibile accellerazione del processo. La novità era la mobilità penetrativa degli Unni che spingevano i popoli stanziati in Europa orientale. Tutto ciò determinò la pressione dei Visigoti sul limes danubiano fino alla concessione dello stanziamento 376. I Visigoti compirono razzia del territorio dei balcani e l’imperatore valente li attaccò. La battaglia di Adrianopoli nel 378 fu un disastro
I romani furono sconfitti e l’imperatore morì. Il 378 è una data chiave: ebbe un fortissimo impatto sull’immaginario collettivo data la morte di Valente sul campo di battaglia. Inoltre determinò la spacatura di orientamento verso i soldati barbari. In Occidente vi fu un diffuso accesso dei capi barbari nell’esercito, invece, l’Oriente non proseguì questa strada.
Teodosio stabilì un foedus con i Visigoti. I Visigoti erano integrati nell’esercito romano però mantenendo i propri capi. Con i figli di Teodosio I possiamo considerare le due parti dell’Impero come divise.
Il limes renano “crollò” data l’intessisima mobilità militare a partire dall’inverno 406 e il 407 dal limes renano. L’episodio più celebre è il famoso Sacco di Roma nel 410 perpretato dai visigoti. Si trattava di un evento simbolico, che non si verificava dall’invasione dei Galli Senoni. Pertanto si verficò la brusca accellerazione della mancata capacità di azione imperiale in alcune aree dell’Impero come Britannia e il Nord della Gallia.
Analizziamo i casi di 3 capi militari:
Arbogaste era un franco. Ricoprì alla fine del IV la carica di comandante supremo dell’esercito romano dell’Impero d’Occidente sotto Valentiniano II. nel 391 si ribellò all’imperatore, lo uccise e lo fece incoronare al suo posto, Flavio Eugenio, alto funzionario imperiale. Teodosio uccise nel 394 sia Arbogaste che Flavio Eugenio
Stilicone era un vadalo. Assunse la carica di comandante delle truppe imperiali in Occidente sotto Onorio, figlio di Teodosio. Difese l’impero contro i Visigoti di Alarico a Pollenzo nel 402 e contro le armate di Radagaiso a Fiesole nel 406. Questa vittoria lasciò campo aperto ai popoli barbarici fra il 406 e il 407 che valicarono il Rno. Stilicone fu accusato di tradimento e ucciso a Ravenna (408)
Alarico era il re dei Visigoti. Era stato nominato magister militum per l’Illyricum. Nel 396 condusse la ribbellione dei suoi Visigoti ma Costantinopoli represse l’azione. Fu sconfitto a Pollenzo nel 402 da Stilicone. Nel 409 condusse l’assedio a Roma per ottenere un tributo dato un mancato pagamento delle sue truppe. Roma fu saccheggiata nel 410. Alarico morì in Calabria e i Visigoti proseguirono nella loro “migrazione”.
Erano tutti comandanti romani di origine barbara. Tutti avevano le proprie ambizioni. L’esercito romano era frammentato in corpi militari non coordinati, ad esempio molti militari di origine barbarica seguivano le politiche dei propri capi.
3. La Cristianizzazione dell’Impero
La religione “romana” presenta caratteri di pluralità:
Pluralità dei paganesimi: ai culti religiosi tradizionali si aggiunsero spunti religiosi di altre nazioni. Ad avere successo sono i culti salvifici;
Pluralità dei culti salvifici;
Pluralità del Cristianesimo date le interpretazioni teologiche diverse, oggetto di conflitti molto aspri;
Pluralità dell’organizzazione ecclesiastica Non c’era la centralità del papa ma un prestigio maggiore data la successione a Pietro La struttura organizzativa ecclesiastica erano le sedi vescovili;
La cristianizzazione dell’Impero fu la trasformazione delle strutture di potere in senso cristiano, ovvero, la religione cristiana fu adotta come religione ufficiale e ideologia fondante del potere imperiale. L’impero era già cristiano agli inizi del secolo IV ma era una religione minoritaria. L’adozione ufficiale del cristianesimo era stimolata dalla nuova ideologia imperiale e si diffuse nei ceti altolocati. Nel corso del IV secolo il Cristianesimo diventò la religione dominante e ideologia ufficiale dell’Impero.
Le persecuzioni contro il Cristianesimo si ebbero con Decio (250 d.C.) e Diocleziano (303-304). Le repressioni era sinonimo di trasformazione del potere imperiale che verteva sulla ricerca di un’esaltazione intollerante del culto dell’imperatore. Alte finalità era la ricerca di un consolidamento ideologico dell’Impero, l’enorme esproprio economico e il tentativo di orientare l’ostilità popolare.
Nel corso del IV secolo si pass dalla libertà di culto fra il 311 e il 313, fino al riconoscimento del cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero.
Le relazioni del cristianesimo con il potere imperiale erano:
1) Editto di Milano (313)
2) Il Concilio di Nicea (325)
3) Editto di Tessalonica (380)
L’Editto di Milano (editto di Costantino, editto di tolleranza o rescritto di tolleranza) secondo la storia evenemenziale fu firmato da Costantino e Licinio nel 313 dopo aver sconfitto Massenzio. Una interpretazione recente delle fonti, ha portato alcuni storici a considerare che nel febbraio 313 a Milano Costantino e Licinio decisero, piuttosto che nella promulgazione di un vero e proprio editto, di dare attuazione alle misure contenute nell’editto di Galerio del 311, con il quale era stato definitivamente posto termine alle persecuzioni, accordandosi nel contempo per emanare precise disposizioni ai governatori delle province.
Costantino rimane fondamentale. Fu evocato spesso come il modello del buon imperatore cristiano. Decisiva fu l’atto di rendere operativo il nesso fra potere imperiale e Cristianesimo. La classe senatoria adottò solo alla fine del secolo la religione. Ma gli imperatori individuarono nel Cristianesimo il collante ideologico del frammentato mondo romano. Il cristianesimo era il nuovo fondamento di legittimità del potere imperiale. Il Cristianesimo era in linea con le esigenze religiose del IV secolo ovvero una religione salvifica con una coloritura di crescita etica dell’individuo.
Il Concilio di Nicea (325) poneva il problema dell’unità teologica. A Nicea, l’odierna Iznik), fu condannato l’Arianesimo. L’arianesimo era una dottrina cristologica diffusa dal prete Ario e fu giudicata eretica. L’arianesimo sosteneva il subordinazionismo del Figlio al Padre: il Figlio sarebbe stato creato dal Padre e sottoposto al Padre, pertanto Gesù non era eterno. Questa è una teoria che riprende molti spunti dell’emanazionismo di Plotino. Nel Concilio di Nicea prevalse l’interpretazione della consustanzialità (homoousion) quindi Gesù era coeterno e della stessa sostanza del Padre “generato e non creato”.
Ecco un confronto:
Credo di Nicea: Asseriva il fondamento della capacità salvifica del Cristianesimo nell’Incarnazione di Dio in Cristo La natura divina è consustanziale a Figlio e Padre (Gesù e Dio)
Arianesimo: Era una tesi più semplice da capire e filosoficamente più coerente Il Figlio incarnato è una figura minore, non è consustanziale della natura divina Tutto ciò riduce le capacità salvifiche del Cristianesimo
Fondamentale era l’esigenza di chiarezza filosofica. La chiarezza filosofica e intellettuale dell’Arianesimo non era accetta dal fervore delle finalità salvifiche, meglio espresse dal credo di Nicea.
Il Concilio di Nicea fu convocato per volere di Costantino. Costantino non era ancora battezza ma riteneva opportuno convocare il concilio per consolidare il potere risolvendo la questione teologica. L’efficacia della religione come collante era connessa all’unitarietà della dottrina. Per Costantino era fondamentale una tesi unitaria. Il Cristianesimo doveva avere una religione coerente e priva di divisioni ed essere supporto ideologico all’Impero.
Da un lato il Concilio era un luogo di elaborazione teologica
Dall’altro lato il Concilio esprimeva le esigenze dell’Impero, ovvero, un ruolo di tutore imperiale contro conflitti interni alla Chiesa e la ricerca di unità ecclesiastica
La centralità della questione teologica e della tutela imperiale comportò lo scisma fra cattolici e ariani. Questo scisma si diffuse anche al mondo germanico, dato che l’Arianesimo aveva trovato proprio al di là del limes la sua valvola di sfogo. La conversione ariana fu possibile grazie alla traduzione della Bibbia in lingua gotica o in caratteri ruinesi, grazie al vescovo Ulfilia.
Il mondo romano era a prevalenza cattolico-nicena e il mondo germanico era a prevalenza ariano e politeista. Questo è uno dei fattori principali per la comprensione della formazione dei regni romano-germanici. Quindi si formarono domini di minoranza germanica ariana su una maggioranza latina cattolica.
Seguirono anni centrali del IV secolo in cui la linea religiosa imperiale era incerta: a volte lasciava spazio all’arianesimo, invece, altre volte lasciava spazio al paganesimo come nel caso di Giuliano l’Apostata fra il 360 e il 363.
Il pieno consolidamento della religione cristiana nell’Impero si ebbe con l’editto di Tessalonica del 380. Teodosio ordinava a tutti i sudditi di professare il Cristianesimo. Il Cristianesimo diveniva la religione ufficiale dell’Impero. Pertanto seguì una stagione di repressione delle dottrine eretiche. Anche i ceti più ricchi si convertirono al Cristianesimo.
L’editto di Tessalonica è ritenuto importante dagli storici in quanto diede inizio a un processo in base al quale «per la prima volta una verità dottrinale veniva imposta come legge dello Stato e, di conseguenza, la dissidenza religiosa si trasformava giuridicamente in crimen publicum: ora gli eretici potevano e dovevano essere perseguitati come pericolo pubblico e nemici dello Stato»[5]. È altresì da precisare che durante tutto l’Impero romano e anche durante l’Esarcato d’Italia (che ebbe vita fino al 752) la Chiesa non ebbe il potere civile né quello giudiziario, che rimase monopolio dello Stato.
4. Vescovi e monaci
Alla fine del IV secolo il Cristianesimo è diventato la religione dominante sia per le posizioni di potere, sia per la diffusione e sia per il ruolo guida interpretato dall’elites senatoria.
La struttura ecclesiastica del IV secolo era costituita dalla Diocesi. La Diocesi è la comunità cristiana in una città o un territorio, raccolta attorno al vescovo. Veniva ripreso il modello organizzativo dell’Impero articolato in distretti cittadini, scandita in curiae (curiae per l’Impero Romano è una distinzione fiscale).
Il vescovo è la guida spirituale verso la salvezza ultraterrena e il mediatore verso il sacro. Il prestigio era dato dal ruolo guida svolto dai membri della grande Chiesa cristiana, che si erano convertiti. Questi uomini prestigiosi occuparono le sedi vescovili. I vescovi erano importanti sia in quanto vescovi e sia in quanto ricchi aristocratici. Durante i regni romano-barbarici intervennero come mediatori dei modelli istituzionali romani. I Vescovi catalizzarono tutte le tradizioni istituzionali, culturali e religiose del Tardo Impero e trasmisero tale tradizione ai regni romano-barbarici.
La Chiesa non presentava una struttura unitaria. Fra il IV e V secolo si definì la superiorità di alcune sedi patriarcali: Roma, Antiochia, Alessandria d’Egitto e Gerusalemme e Costantinopoli. I Patriarchi fra IV e V secolo non hanno un controllo di ogni singolo vescovo ma detengono una superiorità di prestigio e coordinamento, manifestatasi durante i dibattiti “cristologici”, che proseguirono fra il V e VII. Le sedi patriarcali indicavano orientamenti diversi.
Roma era l’unica sede patriarcale d’Occidente ed era la più prestigiose di tutte per il richiamo alla tradizione imperiale e alla “mitica” successione di Pietro, il primo degli apostoli. Roma non era il centro della Chiesa come, invece, avvenne nel secolo XI, contesto della grande Riforma.
Possiamo parlare nell’Alto Medioevo di “Chiese” non di Chiesa: si presentavano differenze teologiche, frammentazione gerarchica. L’unica unità “inquadrata” efficacemente era la singola diocesi. I vescovi furono i protagonisti del processo di evangelizzazione dell’Impero. Le sedi vescovili sono le cellule propulsori dell’evangelizzazione anche nelle campagne grazie ai pievi (la rete di chiese dipendenti dal Vescovo).
Non si trattava di una trasmissione unilaterale ma il culto cristiano assunse connotati nuovi: rielaborò culti e forme delle religioni precedenti, diede vita ai santi, reliquie e santuari riproponendo sotto vesti cristiane la stessa religiosità pagana.
Altro luogo di evangelizzazione è il limes. Intorno al IV secolo molte popolazioni germaniche assunsero nel IV secolo l’Arianesimo.
Anche le isole britanniche furono evangelizzate. Scozia e Irlanda non fecero mai parte dell’Impero e la parte britannica dei Romani conobbe un intesso processo di de-romanizzazione. Alla fine del IV secolo gli influssi cristiani erano limitati. In Inghilterra ci fu un primo radicamento cristiano prima della caduta dell’Impero. Intorno al 450 le invasioni degli anglosassoni posero ai margini la Chiesa cristiana, ma sopravvisse fino ad acquisire vitalità a partire dal 500. L’opera di evangelizzazione era condotta dal continente e dall’Irlanda.
L’Irlanda si era orientata dal Cristianesimo precocemente. Nel 431 il papa inviò un vescovo per i cristiani irlandesi. Nell’area agiva anche “San Patrizio”, bretone divenuto missionario e guida spirituale dell’Irlanda. Egli si pose in contrasto con i culti druidici autoctoni. In Irlanda si diffusero molti centri monastici e una grande spinta missionaria in direzione dell’Inghilterra e del continente.
In realtà il monachesimo era sorto inizialmente nell’area mediterranea orientale del IV secolo. Il monachesimo è una fuga dal mondo finalizzata alla catarsi e all’avvicinamento all’Essere supremo. L’applicazione prevede la rinuncia. Il monachesimo è una forma di ascesi o perfezionamento quindi è un avvicinamento alla divinità. Il monachesimo cristiano valorizzava la penitenza come purificazione del peccato. L’unione di ascesi e penitenza fa assumere i tratti dell’ascesi odierna.
Con il consolidamento del Cristianesimo lungo il IV secolo si attenuarono le tensioni escatologiche e la radicalità della scelta di fede. Essere cristiano non era una scelta estrema ma si allineava alle strutture del potere imperiale. Il monachesimo era una “tacita protesta” e riaffermò i principi di una religiosità estrema.
Giovanni Cassiano nel V secolo vide la forma perfetta del cristianesimo nel monachesimo. Questi richiami all’età apostolica e le rivendicazioni di superiore religiosità dei monaci furono precipui per i secoli IV e V.
Il Tardo Antico fu contraddistinto da una doviziosa serie di fenomeni ed esperienze. Il monaco era mosso dalla tensione verso Dio, dalla rinuncia al mondo, da un animo imperturbabile verso la contingenza. Lo scopo principale era l’ascesi personale e il perfezionamento spirituale. Le attività di assistenza erano solo integrazioni al percorso di perfezionamento personale del monaco. Il monaco si allontanava dal mondo, leggeva le Sacre Scritture, rinuncia alle ricchezze e il lavoro lo auto-sosteneva.
Emersero grandi figure religiose e autoritarie come San Gerolamo, Sant’Agostino di Ippona e San Martino di Tours. Questi elementi sono fondamentali per comprendere la costituzione dei regni romano-barbarici.
È necessario dividere in Eremiti e Cenobiti:
Monaci
Eremiti o Anacoreti: Sceglivano un percorso di ascesi in solitudine Nel IV secolo si diffusero in Siria e in Egitto: erano individui isolati che si dedicavano alla preghiera e all’ascesi Erano circondati da una fama di santità e ricevevano numerose elemosine I più appariscenti di loro erano detti “atleti di Dio”: sceglievano il loro eremo in luoghi isolati e vistosi ad esempio gli Stiliti che vivevano in cima alle colonne di edifici diroccati La scelta ascetica conviveva con elementi di esibizione con l’intento di diffondere puri sentimenti religiosi tramite l’ostentato esempio
Cenobiti: Svegliavano di riunirsi in comunità o “cenobi” Si ricercava un’ascesi più intima ed equilibrata. L’organizzazione comunitaria metteva in comune le ricchezze, edifici e lavoro Fondamentale la creazione di una regola che definisse comportamenti e doveri, dando una gerarchia per semplice struttura di controllo e coordinamento. I Cenobiti introdussero il sostegno reciproco e la disciplina nei confronti dell’Abate (il “padre” della comunità) e la regola per iscritto delle regole da seguire per conseguire l’ascesi Il vescovo Basilio di Cesarea sviluppò una puntigliosa precettistica orientata ad un’ascesi equilibrata, lontana dagli eccessi degli “atleti di Dio”. Il monachesimo basiliano si caratterizzava come la stretta cooperazione fra monaco e vescovo, lavoro di auto-sostentamento e assistenza i più deboli
Capitolo 2: Barbari e regni
La critica storiografica passata ha posto al centro della “caduta dell’Impero d’Occidente” gli eventi politici-militari, le invasioni barbariche, l’instaurazione dei regni romano-barbarici e la deposizione di Romolo Augusto nel 476.
Fra IV e VI il mutamento fu radicale e complesso, coinvolgendo una trasformazione delle forme di vita religiosa e dei sistemi di circolazione economica. Gli eserciti non furono gli unici responsabili di tale mutamento, ma l’affermazione politico-militare dei popoli barbari, soprattutto all’interno delle logiche imperiali romane, modificò i quadri politici e influenzò i sistemi economici.
1. Mobilità degli eserciti
Il momento di svolta fu l’inverno 406-407, quando le popolazioni barbariche attraversarono il Reno ghiacciato. Non fu un evento causale ma l’espressione di uno squilibrio strutturale legato a molte difficoltà. Il sistema fiscale romano non riusciva a mantenere i costi di gestione e non poteva retribuire l’esercito, che cercavano dei bottini con iniziative controllate dall’Impero stesso.
Gli spostamenti di eserciti germanici testimoniavano un indebolimento imperiale già in corso. La guerra divenne un’esperienza costante con una miriade di micro-scontri, che erano occasione di ricchezza, prestigio e potere. Le gerarchie sociali divennero più fluide e consentivano rapide carriere, anche all’interno dell’impero romano.
Alcuni spostamenti furono espressione militare e politica di gruppi più coesi e definiti. Questi gruppi mantennero un’identità collettiva per più generazione e costruirono regni con una fisionomia territoriale.
I Visigoti si erano ribellati al potere imperiale. Guidati da Alarico saccheggiarono Roma nel 410. Poi scesero in Calabria ma la morte di Alarico non comportò la fine dell’unità militare e politica dei Visigoti. I Visigoti proseguirono la migrazione: fra 414 e 418 formarono un regno nel sud della Francia come foederati dell’Impero ma in autonomia. In seguito spostò il proprio baricentro nella penisola iberica e durò per 3 secoli. Fu una dei regni romano-barbarici più interessanti.
I Vandali valicarono il limes renano e attraversarono la Gallia e andarono a insediarsi nel 417 nella penisola iberica. Fu uno stanziamento temporaneo: nel 429 guidati dal Re Genserico si spostarono nella parte occidentale dell’Africa Romana. Nel 439 i Vandali conquistarono le province della Proconsolare e della Byzacena (fra Tunisia e Algeria). Qui formarono il regno dei Vandali durato quasi un secolo (439-534). I Vandali furono il primo popolo barbarico a trasformare la loro superiorità militare in un potere politico strutturato, definito e autonomo. Questo regno rifiutava l’ “inquadramento” romano. Non stabilirono foedus e si affermarono sull’aristocrazia fondiaria, distinguendosi anche etnicamente.
Gli Unni avevano grande solidarietà etnica ma politicamente erano poco strutturati. Divenne un potentissimo esercito efficace quando si strinse sotto il comando di Attila. Erano originari dell’Asia centrale e stanziarono vicino al limes romano e costituirono la principale minaccia militare per Roma. Attila salì al potere nel 445 e indirizzò i suoi a numerose campagne militari fino ai Campi Catalaunici nel 451 dove Attila fu sconfitto dal magister militum Ezio e altri popoli barbarici. Determinante fu la morte di Attila, seguita dalla dissoluzione del dominio unno, perché la capacità di guida militare di Attila era il vero collante politico degli Unni.
Flavio Ezio era il generale che sconfisse Attila. Fu una figura simile al generale romano-vandalo, Stilicone. Stilicone aveva guidato l’esercito romano contro i Visigoti a Pollenzo, ottenendo un successo. Anche Ezio Flavio fu un generale di origine barbara e le sue capacità militari gli consentirono una grande ascesa sociale. Ma Valentiniano III fece assassinare Ezio e i fedeli di Ezio assassinarono Valentianiano III. La crisi del 454 annunciò il sacco di Roma nel 455 da parte dei Vandali, provenienti da Cartagine.
In questo clima di continua conflittualità gli eserciti si aggregavano e si separavano. Il potere imperiale era il grande obiettivo politico-militare, qualcosa per cui lottare e non liberarsi. La capacità imperiale però si era ridotta. L’Africa era occupata dai vandali e le isole britanniche furono abbandonate nel 410. Poi anche la Gallia sfuggì al controllo fiscale e pubblico.
Dalla morte di Ezio si alternarono imperatori-fantocci voluti da generali come Ricimero e Gundobado. Nel 476 il generale sciro Odoacre depose l’ultimo imperatore Romolo Augustolo e rinunciò a insediare un nuovo imperatore rinviando le insegne militari a Costantinopoli.
La deposizione di Romolo Augustolo non fu legata a un’invasione particolare o a un movimento di popoli ed eserciti. Un generale romano-barbaro depose un imperatore già privo di potere e attestò l’inutilità delle insegne imperiali. La deposizione di Romolo nel 476 fu un evento “silenzioso”: già prima di Romolo Augustolo molti imperatori erano stati deposti e tanti capi militari avevano assunto il potere.
Il 476 non fu una data simbolica per i romani come lo era la battaglia di Adrianopoli del 378 e il sacco di Roma del 410, questi furono gli eventi che segnarono indelebilmente la coscienza dei contemporanei: la morte in battaglia di valente e la violazione del centro simbolico dell’Impero, inviolato dai tempi di Brenno.
Odoacre rinviò le insegne imperiali a Costantinopoli anche per ricomporre l’unità imperiale, non più quella di Occidente ma quella di Oriente, che stava divenendo il vero centro politico di quegli anni. Odoacre non propose il proprio dominio come una dominazione autonoma o un tentativo di egemonizzare l’Occidente. Dal punto di vista di Odoacre, il suo “dominio” si integrava all’Impero Romano d’Oriente come un’ampia autonomia militare. Ma l’imperatore Zenone non lo considerava un valente alleato e spinse gli Ostrogoti di Teodorico ad invadere il “dominio” di Odoacre.
Il “dominio” di Odoacre riguardava geograficamente soprattutto l’Italia, l’ambito di esercizio del potere degli imperatori, che avevano perso il controllo durante il V secolo della Britannia, dell’Africa, della penisola iberica e della Gallia.
In altre aree dell’Impero si formarono regni di dimensioni diverse e dominati da un’elitè militare germanica.
Alla fine del V secolo si riconosce una geografia politica delineata. L’Italia passò dal dominio di Odoacre alla conquista degli Ostrogoti di Teoderico. La Gallia passò ai Franchi dopo il breve “dominio” di Siagrio, con l’attuale Borgna ai Burgundi e in parti anche ai Visigoti. I Visigoti controllavano anche la penisola iberica, dove erano presenti anche gli Svevi. I Vandali occuparono l’Africa e la Tunisia fino ad arrivare in Sicilia, Sardegna e Corsica. Le isole britanniche erano diverse fra popolazioni celtiche e dagli invasori angli e sassoni.
Tutti questi domini vivevano una difficile convivenza fra la popolazione romana-cattolica e l’èlite militare germanica-ariana.
2. I Nuovi regni
Fra il V e il VI i rilevamenti archeologici mostrano semplificazione degli insediamenti, delle tecnologie e un impoverimento della società europea. Si ridussero le risorse disponibili e le competenze tecniche. Ma dal punto di vista culturale, soprattutto politico e istituzionale. Pertanto i regni romano-barbarici erano una riproposizione su scala regionale dei meccanismi tipici dell’età imperiale, una società politica polarizzata attorno alla corte regia.
La “caduta dell’Impero” romano fu una profonda ridefinizione dei funzionamenti economico e politico. Gli equilibri si spostarono su base regionale e si ruppe l’economia “integrata” dell’Impero Romano, un Impero Mediterraneo-europeo. La trasformazione riguardò tutte le aree dell’Impero.
In tutta l’Europa crollò il sistema politico-militare romano. Il passaggio del potere fu gestito da una minoranza armata costituita dai Germani. Durante l’Impero l’elitè politica controllava l’esercito barbarico, mentre, ora l’esercito controllava l’elitè politica. Innanzitutto si mantennero le forme di organizzazione sociale e istituzionale, di tradizione ovviamente romana. Si trattò di conservazione e di semplificazione. I nuovi dominatori operarono una rielaborazione e semplificazione dell’eredità amministrativa romana.
Il modello romano costituiva la memoria di un potere statale forte ed efficace in grado di prelevare risorse e ridistribuirle ai propri servitori. Questo modello era ancora adottato dall’Impero d’Oriente. Il modello era efficace perché ad affiancare i nuovi dominatori vi erano vescovi e funzionari di origine culturale romani, tramiti di questa tradizione politica e amministrativa.
Il nuovo sistema politico rielaborava in forme originali tradizioni romane e germaniche. Il nuovo centro politico erano le riunioni delle aristocrazie attorno al re. Le varianti di integrazione erano: la presenza della componente romana al vertice del potere; le forme di retribuzione dell’esercito; la capacità di prelevare le tasse; il ruolo politico dei vescovi e l’azione dei consiglieri.
In età imperiale il prelievo era il principale volano della circolazione economica. Il sistema imperiale (basato su prelievo fiscale e redistrubuzione) non resse alle difficoltà amministrative, all’eccessivo peso fiscale. Questo sistema di tassazione serviva per l’annona per sfamare gli abitanti dell’Urbe, la burocrazia e l’esercito.
I nuovi regni non si impegnarono nel prelevare le tasse e non avevano una capitale da sfamare con l’annona. La burocrazia era più semplificata e l’esercito non era retribuito in stipendi e non era professionista ma veniva ricompensato dal re tramite concessioni di terre
Le modalità di ricompensare l’esercito tramite la concessione di terre era il superamento dei funzionamenti romani, ma rimaneva ancorato agli ideali economici romani: prevaleva l’idea che i ricchi possedessero molte terre, proprio come il modello mediterraneo e romano e non germanico.
Fra il V e VI quasi tutti i regni non ricorsero al prelievo delle tasse come in età imperiale. Tutto ciò comportò la rottura del sistema economico integrato dell’Impero Romano a sfondo mediterraneo. Si ruppe la struttura di interdipendenza economica tipica fra le regioni lontanissime dell’Impero. In generale vi fu la crisi del sistema urbanistico e di molti settori produttivi.
I nuovi regni erano più poveri dell’Impero. I re erano più poveri perché non possedevano un flusso straordinario di gettito fiscale. Le aristocra più povere perché non possedevano gli immensi patrimoni delle famiglie senatorie dipserse per il Mediterraneo. Gli orizzonti commerciali si erano ridotti ai soli confini dei vari regni.
Dal punto di vista politico il re era nettamente avvantaggiato economicamente sulle elites. I Re era catalizzatori delle dinamiche politiche. Gli aristocratici erano potenti ma non ricercarono l’autonomia ma si occupavano di affari di corte e non sis taccavano facilmente dal potere regio.
I cambiamenti economici e politici erano stati segnati dall’abbandono del sistema romano di tassazione e stipendi al passaggio a forme di remunerazione tramite terreni: il re ricompensava i propri servitori e fedeli. Quindi si determinò un declino dell’urbanizzazione, del sistema fiscale e il crollo degli scambi interregionali.
3. L’Italia Ostrogota
Odoacre costruì un sistema di potere equilibrato basato sulla collaborazione con l’aristocrazia senatoria. Odoacre garantiva il predominio economico e sociale, tutelando le loro proprietà fondiarie e gli incarichi amministrativi. Invece il carico fiscale, per mantenere il controllo delle truppe, non aumentò.
Il “dominio” di Odoacre durò dal 476 fino al 489: era un mondo dominato dall’amministrazione di stampo romano e protetto da un esercito germanico e stipendiato grazie alle tasse.
Odoacre si attribuì due titoli:
“Patricius”: evocava la volontà di inserirsi nella gerarchia romana senza ambire alla corona imperiale
“Rex gentium”: esprimeva efficacemente il suo dominio sull’insieme dei popoli “gentes” costituiìenti il suo esercito e la sua base di potere. Il titolo di rex nella tradizione germanica richiamava una connotazione militare
Il potere di Odoacre durò 13 anni fino all’invasione ostrogota avutasi per iniziativa imperiale. L’imperatore zenone non riteneva il “dominio” di Odoacre come affidabile, in un territorio così tanto grato all’impero. Zenone cercò di riottenere il controllo indiretto dell’Italia sollecitando la conquista da parte degli Ostrogoti con cui intratteneva un intenso rapporto anche conflittuale. La figura chiave era il re Teoderico, vissuto come ostaggio a Costantinopoli, più addidabile e più legato a una visione bucratica dell’impero.
Teoderico, salito al trono dei suoi nel 474, divento un interlocutore privilegiato per l’imperatore Zenone nel clima di guerre civili. Zenone, infatti, si servì proprio dei Goti per riportare l’ordine. Teoderico era un fiero conddottiero che diveniva funzionale ai rpogetti di rafforzamento imperiale, ma era utile anche tenerlo lontano da Costantinopoli.
Teoderico su indicazione di Zenone invase l’Italia nel 489. Agli Ostrogoti si univano Rugi e Gepidi, l’idenitificazione etnica era davvero molto fluida. Questi popoli erano attratti dalle posibilità di bottinoe si riconoscevano sudditi di Teoderico e degli Ostrogoti. Le identità etniche sono fluide, legate a scelte individuali e di gruppo e non a discenza di sangue: insomma è la decisione di far parte del popolo a cui si scegli di appartenere e al proprio capo a cui sottomettersi.
Odoacre si rifugiò a Ravenna e fu abbandonato dall’aristocrazia senatoria. Teoderico dopo un accordo inizialo lo uccise. Teoderico governò su una piccola minoranza gota e una maggioranza di cultura latino-cattolica (200.000 Goti e 4 milioni di Romani). I Goti erano maggiormente distribuiti al Nord. La Capitale di Teoderico fu Ravenna.
Il governo di Teoderico si fondava sulla complementarietà fra esercito goto e amministrazione civile romana (le stesse elites sotto Odoacre). Le popolazioni italiche erano governate da un’amministrazione romana, protette da un esercito germanico e sottoposte a tassazione per mantenere tale esercito. Rimaneva una simbolica “sottomissione” all’Impero Romano d’Oriente.
Teoderico introdusse il concetto di personalità del diritto: ogni individuo aveva la possibilità di seguire la propria legge (romana o gota) ed essere giudicato o da un iudex romano o da un comes goto. Tutto ciò permise la convivenza pacifica nella penisola e il controllo regio nelle provincie.
La popolazione italica non subì un cambio di stile culturale, anzi influenzarono gli Ostrogoti, che controllavano una massa enorme di ricchezze in un clima di bilanciato pacifismo.
Teoderico adottò nuovamente la duplicità dei titoli proprio come aveva fatto Odoacre, ma con delle differenze:
Re degli Ostrogoti: Non indicava più un generico riferimento alle gentes, ma aveva una definizione etnica più precisa
Patrizio (magister militum praesentalis): Rappresentava l’aspirazione di Teodorico di essere legittimato di fronte all’Impero Romano d’Oriente
L’esercito goto e l’amministrazione romana sono ben rappresentati dal consistorium, il consiglio ristretto formato da Goti e Romani, che affiancavano Teoderico. Fra i personaggi di spicco culturale ricordiamo Cassiodoro e Severino Boezio: rappresentavano l’eredità culturale aristocratica senatoria di fede cattolica.
Il consistorium regio fu il principale strumento di governo di Teoderico. Il consistorium fu l’unico luogo di integrazione fra Goti e Romani. I due popoli furono complementari e non si integrarono come accadde nella simbiosi dei Franchi. Solo la capacità del Re di tenere unite queste due anime del consistorium permise una pacifica convivenza. Quando entrò in crisi questo meccanismo, entrò in crisi il regno. Però il governo di Teoderico fu stabile per ben 30 anni.
Altro problema era la religione cristiana. Gli Ostrogoti e Teoderico erano ariani, mentre, la popolaizone italica era maggioritaria di fede cattolica niceana. Inoltre il contesto politico vede l’ascesa dei vescovi e la maggiore centralità del vescovo di Roma. Teoderico preservò la religione ariana ma si propose come protettore di tutte le Chiese, ariane e cattoliche. Questa politica fu un passo fondamentale per la “complementarità”. Il re si promuoveva come protettore della chiesa Romana e dlle Chiese, quasi interpretando Costantino, come dimostrano le lettere di Teoderico indirizzata a papa Gelasio.
La politica religiosa di Teoderico si manifestò durante lo scisma laurenziano nel 498: il clero romano si paccò in due papi, Simmaco e Lorenzo. I due vescovi si rivolgevano a Teoderico quasi come il legittimo successore degli imperatori prottettori della Chiesa. Nel 500 addirittura il Senato e il pontefice rendevano omaggio a Teoderico con richiami a cerimonie imperiali.
Teoderico assicurò stabilità del potere regio e consentì un ampliamento territoriale. Teoderico si affermo sulle Alpi orientali (Rezia, Norico) ma anche Pannonia e Dalmazia.
Teoderico costituì una rete di accordi e patti matriomoniali con gli altri regni romano-barbarici, addirittura ponendosi in una posizione egemone. Una sorella di teoderico si sposò con il re dei Vandali, una sorella si sposò con il re dei Franchi, e le altre figlie o nipoti ai re dei Visigoti, dei Burgundi e dei Turingi.
Dal punto di vista “geopolitico” Teoderico contrastva l’avanzata dei Franchi. I territori del sud della Gallia e di Tolosa, appartenenti ai Visigoti, erano contesi da Franchi e Ostrogoti. Uno dei momenti decisivi fu la battagli di Vouillè, nel 507. Qui Clodoveo sconfisse e uccise il re Visigoto Alarico II. una dura sconfitta, conclusasi col loro massacro da parte dei Franchi. La vittoria aprì a Clodoveo la strada per il mezzogiorno che lo portò alla conquista di Tolosa, capitale del regno visigoto, di tutta l’Aquitania, la Guascogna, l’Alvernia ed il Limosino. I Visigoti, del loro regno francese, riuscirono a difendere solo la Settimania, la regione cioè compresa tra la foce del Rodano ed i Pirenei.
Teoderico assunse la tutele del nipote Amalarico, nuovo re visigoto, e affermò un controllo efficace ma indiretto sulla Provenza. Sconfitto un suo fedele alleato, Teoderico sfruttò l’occasione per ampliare il suo potere.
Il regno di Teoderico soffriva della mancata integrazione fra Romani e Goti. La principale garanzia di stabilità era il potere regio e la collaboraiozne dell’aristocrazia senatoria. Quando il rapporto andò in crisi, vacillò tutto il sistema. La crisi si presento nel 518: l’imperatore Giustino perseguitò gli ariani e Teoderico rispose perseguitando i cattolici. La crisi fu profonda e si ruppe la collaborazione fra il regno e l’aristocrazia. L’aristocrazia senatoria del potere regio si era avvicinata all’Impero Romano d’Occidente e anche il Papato non riusci a proporsi come intermediario. Tutto ciò si tradusse in pesecuzioni reciproche e clima di ostilità. Il clima sfociò in guerra aperta solo con la morte di Teoderico.
Teoderico morì il 526. La figlia Amalsunta divenne tutrice del nuovo re Atalarico. Era un re bambino sotto la tutela della madre, ma continuò perlomeno inizialmente il clima di complementarità etnica. Atalarico morì nel 543. Amalasunta decise di associare al trono il cugino Teodato, ricco aristocratico goto. Amalasunta aveva una visione conciliante verso i Romani e Giustiniano. Teodato adottò la linea del conflitto. Amalasunta fu imprigionata e uccisa nel 535. Questa fu la giustificazione per cui Giustiniano dichiarò guerra al regno ostrogoto. Era l’inizio della Guerra Gotica durata dal 535 al 553.
4. Anglosassoni, Vandali e Visigoti
Nel corso del V secolo si erano costituiti altri regni in diversi settori dell’Impero. Le forme politiche della dominazione germanica avevano una fisionomia geografica diversa: si trattava dell’Inghilterra, del Nord-africa e della penisola iberica.
4.1 Anglosassoni
Il dominio imperiale romano si estendeva alla parte meridionale della Britannia, ma l’influsso della cultura e dei modelli istituzionali romani andò al di là del limes e comprendeva terre mai romanizzate, come Scozia e Irlanda.
Qui la rottura del sistema economico fu evidente dopo il crollo dell’Impero romano. Gli scavi archeologici testimoniano un netto impoverimento, semplificazione edilizia e della villae, crisi dell’urbanizzazione e la scomparsa dell’artigianato. La rottura economica e dell’urbanizzazione fu indiscutibile e rappresenta un caso unico per nettezza nei territori dell’ex impero. La crisi sociale era profonda.
Dopo la dominazione imperiale romana la Britannia fu scenari di incursioni di popolazioni sassoni (provenivano dalla Germania) passando da saccheggi a insediamenti stabili. Le prime incursioni risalgono al III secolo. Solo intorno al 450 si avviarono i primi insediamenti anglosassoni. Si formò una struttura politica frammentata e una miriade di piccole dominazioni.
Quindi si preseentva un alto tasso di conflitti e un’aristocrazia più povera rispetto a quella continentale. La presenza celtica era maggiormente diffusa nelle regioni occidentali, mentre, la regione orientale era più di prevalenza anglosassone. Ma la spinta militare anglosassone marginalizzò le popolazioni celtiche nella scozia meridionale, nel Gallese e nell’Inghilterra sudoccidentale.
La Chiesa non fu annullata ma ridotta. Il clero britannico era di peso politico trascurabile e la religione subiì un regresso. Addirittura la Britannia divenne terra di evenagelizzazione a partire dal VI secolo per iniziativa papale.
La tradizione romana fu rielaborata debolemnte e cancellata del tutto dall’inizio del V secolo. La rottura era di natura politica ed economica: le strutture alto medievali non si costruirono sulla base della rielaborazione delle strutture romane.
Fra VI e VII secolo la ricomposizione territoriale avvenne attorno alla Mercia e alla Northumbria.
L’Irlanda fu sempre al di fuori del dominio imperiale romano e non sviluppò un sistema urbanistico. L’area non subì le invasioni sassoni. Nel VI secolo l’isola presentava un’estrema frammentazione politica addirittura in decine di regni (tuaha). I re non avevano potere legislativo: il re guidava il popolo in base a norme che non poteva cambiare.
La cristianizzazione fu lenta dato che non vi era un re protettore capace di diffondere la nuova fede e di unificarla. La cristianizzazione non poteva nemmeno articolarsi in base alle città o sedi vescovili. Qui presero forte valore simbolico i grandi monasteri, luoghi di preghiera e di perfezionamento spirituale ma anche centri di assistenza per pastori e fedeli. Qui gli abati erano anche vescovi.
In Irlanda si imposero gli overkings, i re più potenti degli altri, che imponevano un controllo militare sulle dominazioni minori, che conservavano uno spazio di autonomia. Nell’VIII secolo prevarranno i regni maggiori (Ulster, Munster, Connacht, Meath e Leinster).
4.2 Vandali
La Procunsolaris e la Byzavena (fra Tunisia e Algeria) erano terre ricche dal punto di vista agrario (grano e olio) e rifornivano l’impero e Roma con l’annona militaris. Il territorio era prospero perché non vi erano contingenti militari e il territorio era sicuro. Queste aree erano molto ricche ma l’invasione vandala ebbe un impatto decisivo.
I Vandali si erano stanziati nella penisola iberica nel 417. Nel 429 sotto Geneserico i Vandali si spostarono sulle terre africane, qui appresero la tecnica navale, un caso unico fra i popoli germanici. Entrarono in possesso dell’Africa Proconsularis e della Byzacena nel 534.
Fu il primo regno romano barbarico completamente autonomo, prima di Odoacre e dei Franchi di Clodoveo. Fu il primo popolo a non stabilire un foedus con l’Impero Romano.
La rottura più evidente era sul piano religioso: i Vandali erano ariani e gli africani di fede romana e cattolica. Qui aveva operato uno dei padri della Chiesa, Agostino di Ippona morto nel 430. La differenza religiosa fra ariani e cattolici scoppiò in dura intolleranza per ragioni diverse: per il saccheggio delle chiese e per motivi religiosi. La parola “vandalo” deriva proprio dalla considerazione dei cattolici del V e VII in base a questi eventi.
L’Africa vandala era un contesto economico stabile soprattutto riguardo al fisco. Non ci fu discontinuità edilizia e di artigianato ma persistente ricchezza. I livelli prodotti di olio e frano erano alti. Il regno dei Vandali era l’unico regno romano-barbarico a prelevare le tasse in base al modello romano. Il fisco ora non finanziava le ingenti spese imperiali, la capitale era ridotta, la burocrazia era ridotta e l’esercito era ricompensato con la distribuzione delle terre. I re vandali riuscirono ad accumulare notevoli ricchezze dal dominio africano.
La conquista vandala ebbe un impatto negativo per tutto l’Impero Romano d’Occidente che non si trovava a disporre delle ricchezze provenienti dalle tasse africane, difatti, l’Impero non riusciva ad assicurarsi le risorse agrarie e fiscali dell’Africa che fino a quel momento erano state fondamentali.
Ma l’economia africana si basava anche sull’integrazione dei commerci imperiali e ciò portò a un calo della domanda e a un calo produttivo che mutò il quadro economico.
La mancata integrazione religiosa non diede solidità politico-militare all’Impero, infatti, l’azione espansiva dell’Impero Romano d’Oriente sotto Giustiniano travolse il regno Vandalo fra 533 e 534.
4.3 Visigoti
I Visigoti hanno un processo di insediamento in tre fasi:
1° Fase: Lungo il V secolo i Visigoti fra sud della Gallia e la penisola iberica
2° Fase: Prima metà del VI secolo riduzione del regno visigoto in Aquitania a favore dei Franchi
3° Fase: Seconda Metà del VI secolo consolidarono il regno nella penisola iberica ed elaborarono nuove forme di governo
Il primo insediamento stabile dei Visigoti è del 418. I Visigoti si stanziarono come foederati nella regione attorno a Tolosa, nella Gallia meridionale. I Visigoti combatterono al fianco di Roma contro Svevi, Alani e Vandali nella penisola iberica.
La conquista della penisola iberica avvenne nel 456 e fu completata nel 480. L’impero Romano mantenne alcune posizioni sula costa mediterranea, mentre in Glaizia si stanziò il regno degli Svevi. Il centro del potere Visigoto era la Gallia meridionale, fra Narbona e Tolosa. I Visigoti rielaborarono modelli politici di tradizione romana. Addirittura furono redatte leggi scritte da parte di Eurico, re dal 466 al 484. Erano norme territoriali destinate a tutti i sudditi del re Visigoto.
Un passaggio chiave fu la battaglia di Vouillé nel 507. Clodoveo sconfisse e uccise il visigoto Alarico II. Questa battaglia ridusse il dominio visigoto a nord dei Pirenei. Il regno essendo debole rimase sotto l’egemonia indiretta del re ostrogoto Teoderico fino alla morte, nel 526.
Dal 526 al 550 ci fu una rielaborazione dei modelli politici romani ma l’economia si semplificò molto vista l’instabilità, ciò si verificò soprattutto in Spagna.
La fase di trasformazione fu affrontata dal regno di Leovigildo (569-586): ci fu un chiaro consolidamento territoriale e politico. Fu conquistato il regno svevo e parte del dominio bizantino. La fascia costiera rimase autonoma fino al 625. Quasi l’intera penisola iberica era sotto il comando di Leovigildo. Toledo fu eletta capitale del regno.
Le trasformazioni del regno visigotico si attuarono anche dal punto di vista religioso. I Visigoti erano ariani e vivevano un rapporto di separazione religiosa con la maggioranza romana di religione cattolica. L’Arianesimo rimase un elemento di spiccata identità etnica, anche se non ci fu un clima di completa ostilità o di distinzione.
Sotto Leovigildo riaffiorarono i conflitti religiosi. Leovigildo prese atto dell’importanza della religione come collante ideologico per il suo regno. Da un lato ricercò il compresso teologico fra ariani e cattolici ma dall’altro perseguitò i cattolici. Ma il progetto di una supremazia ariana era impossibile, data l’esiguità degli ariani.
Reccaredo (586-601), figlio e successore di Leovigildo promosse la conversione del popolo visigoto al Cattolicesimo. Rapidamente l’Arianesimo scomparve. Reccaredo valorizzò la scelta religioso in senso politico: Toledo divenne sede di una serie di concili, che si succedevano durante il secolo e assunsero funzioni di deliberazioni di questioni prettamente teologiche, ecclesiastiche e di organi di governo del regno. I Concili di Toledo indicavano l’accordo strutturale fra regno e vescovi proprio come avveniva all’interno del regno dei Franchi. Questo sodalizio fra Chiesa e regno permetteva un controllo capillare dei sudditi più efficace. La spagna visigota si stava trasformando in uno dei più felici esperimenti dei regni romano-barbarici.
Capitolo 3: La simbiosi franca
I Franchi meritano una trattazione a sé per due motivi:
I Franchi svilupparono in massima efficacia l’incontro con la tradizione romana e realizzarono una vera e propria simbiosi, un’unione profonda atta a costituire un nuovo popolo in grado di integrare e sviluppare diverse culture.
Nel giro di due secoli i Franchi si affermarono come il regno più potente d’Europa e gettare le basi per la straordinaria espansione carolingia alla fine dell’VII secolo
1. Clodoveo
Clodoveo era il re dei Franchi (466-511, ma regnò dal 481), che guidò i Franchi al dominio in Gallia. Inoltre rappresentò una figura centrale per la memoria collettiva per i Franchi e i Francesi (molti re usarono il nome Luigi fino a Luigi XVIII). Ma l’ascesa politica era il frutto di una lenta “simbiosi” culturale che ebbe inizio nella Gallia tardoantica.
Nel Tardo Antico la Gallia era uno dei territori maggiormente romanizzati. In Gallia si affermava la politica e il patrimonio dell’aristocrazia senatoria. Qui si mostrò una dinamicità senza pari di un’aristocrazia senatoria provinciale che concentrarono il proprio patrimonio o orientamento di ascesa politica.
Fra il IV e V secolo le famiglie senatorie posero innumerevole attenzione all’occupazione delle cariche ecclesiastiche, specialmente le funzioni vescovili. La funzione vescovile andava al di là dell’aspetto ecclesiastico: la cultura, la ricchezza e le funzioni pastorali dei vescovi costituivano un volano di ascesa politica nella comunità cittadina. Questo dato è vero sia per l’Alto Medioevo che per il Tardo antico.
Centralità della carica vescovile:
La carica vescovile era ambita per ricchezza, prestigio e potere. La carica vescovile permetteva di conservare e aumentare la propria preminenza sociale
La forza delle sedi vescovili fu accresciuta dalla presenza di esponenti delle famiglie più potenti, detentori di ricchezze, potere, cultura letteraria e giuridica
Quindi si innescò un circolo vizioso: le sedi vescovili erano potenti e ricchi, pertanto, attiravano le mire delle famiglie senatorie e tutto ciò aumentava il prestigio di tali cariche. Questo processo si evidenziò particolarmente in Gallia ove l’aristocrazia senatoria occupò massicciamente le sedi vescovili.
Proprio in Gallia il potere fu assunto dai Franchi nel corso del V secolo e decisivi fu l’incontro con la cultura romano-gallica.
Prima dell’invasione:
Nel tardo antico i Franchi non erano un popolo compatto ma una confederazione di tribù. I Franchi esprimevano una cultura politicae un legame al territorio profondamente diverso dai Romani. I Franchi erano estranei all’idee del latifondo e della città, espressioni prettamente romane. I Franchi non erano coesi dal punto di vista religioso: prevaleva il paganesimo ed elementi dell’Arianesimo.
Romanizzazione
Fra il IV e V secolo i Franchi avviarono un processo di romanizzazione,che coinvolse tutte le tribù del popolo franco sia le genti interne ed esterne al limes romano I Franchi salii si stanziarono all’interno dell’Impero a partire dalla metà del IV secolo ed entrarono nelle fila dell’esercito romano, combattento in momenti chiave. Ad esempio affrontarono il crollo del limes del Reno (406-407) battendosi contro Vandali e Alani. Nel 451 i Franchi aiutarono Ezio a sconfiggere gli Unni di Attila ai Campi Catalaunici.
Durante e dopo la caduta dell’Impero Romano
La progressiva marginalizzazione del potere imperiale comportò il cambio dell’assetto politico. I Franchi si affermarono come componente importante dell’esercito Romano e come uno dei principali attori politici in Gallia. Due re dei Franchi di Tournai, Childerico I e Clodoveo, completarono l’unione dei Franchi in un solo regno e la sottomissione di gran parte della Gallia
Childerico I mostra bene la transizione dei Franchi dalla condizione di soldati al servizio dell’Impero a quella di autonomi attori politici. Childerico I combatté i Visigoti e gli Unni sotto il comando di Egidio, figlio di Ezio. Childerico connotò la guerra contro i Visigoti come guerra religiosa. era la lotta contro i Visigoti ariani. I Franchi, anche se pagani, ricevettero una nuova legittimazione agli occhi dei Gallo-romani e soprattutto dei vescovi
Clodoveo era succeduto al padre nel 481 e consolidò il processo di consolidamento di Childerico I. Innanzitutto attuò un’efficace politica militare, affermandosi su gran parte della Gallia. La Gallia era divenuta luogo di una pluralità di dominazioni, quella dei Burgundi e dei Visigoti. Inoltre Clodoveo annettè l’ultima area “romana” il Dominio di Siagrio nel 486. Clodoveo sottomise militarmente i Brugundi e sconfisse militarmente i Visigoti in Gallia dopo la battaglia di Voillè del 507. Clodoveo aveva affermato definitivamente la propria dinastia: i Merovingi.
L’evento più importante sotto il regno di Clodoveo è indubbiamente la conversione di Clodoveo e dei Franchi al Cristianesimo cattolico. Fu un evento religioso con evidenti implicazioni politiche. Nel regno dei Franchi non si innescarono i meccanismi di contrapposizione identitaria su sfondo religioso (come negli Ostrogoti, nei Visigoti, nei Vandali e nei Longobardi).
Gregorio di Tours è la nostra fonte per la conversione di Clodoveo. Gregorio di Tours fu il vescovo più importante della storia franca. Gregorio di Tours scrisse decenni dopo la conversione di Clodoveo. Gregorio racconto che le vittorie militari di Clodoveo erano legati dall’appoggio del “vero Dio”. Ma determinante fu l’intercessione della moglie di Clodoveo per fare incontrare il re con Remigio, vescovo di Reims, uomo “di grande scienza e istruito negli studi retorici”. Addirittura Remigio poteva essere paragonato a Silvestro, il papa che battezzò l’imperatore Costantino. Remigio completò la conversione di Clodoveo e di tutto l’esercito che venne battezzato.
Questo racconto anche se non corrisponde a “verità storiche” ci trasmette molte informazioni pre-intenzionali: l’ideologia vescovili cattolica, la centralità dei vescovi (tramiti della religiosità e della cultura cristiana-romana) e l’assimilazione di Clodoveo a Costantino, pregno modello del primo imperatore cristiano (specula princips spesso ridondante).
La conversione sarebbe legata all’iuto di Dio nella battaglia, riprendendo la vittoria di Costantino a Ponte Milvio contro Massenzio e del famoso in hoc signo vinces. Altro richiamo è l’analogia fra Remigio e papa Silvestro: Clodoveo si avvicinò al lavacro come un “nuovo Costantino per essere liberato dalla lebbra antica”. Questo evento richiama la leggenda dell’imperatore miracolosamente guarito grazie al battesimo.
La narrazione di Gregorio ci palesa l’ideologia vescovile e il sistema di potere stabilitosi proprio a partire dalla conversione di Clodoveo, ovvero, la convergenza di vescovi attorno al potere regio. Il re franco ottenne una fortissima legittimazione quasi equiparabile a Costantino, modello del re cristiano. Questa concezione di potere “cristiano” si basava sul nesso strutturale con in vescovi.
Anche successivamente nella storia franca prevalsero le dinamiche di solidarietà fra regno ed episcopato: ideologia di conseguimento di un fine comune fra re e vescovi tramite mezzi diversi.
L’integrazione fra Franchi e Gallo-romani era una simbiosi culturale, politica, sociale e religiosa. La classe dirigente nacque come unione di due aristocrazie e creà un gruppo sociale dominante unitario con uno stile di vita ibrido o fuso fra i modelli di comportamenti della tradizione romana e quella germanica.
Fra il IV e il V secolo l’aristocrazia senatoria gallo-romana era caratterizzata dall’attenzione per il latifondo, dall’urbanizzazione e l’occupazione delle cariche ecclesiastiche; mentre l’elites dominanti franche erano caratterizzata dalla capacità militare, dalla vicinanza al proprio Re e dalle reti clientelari.
Lungo il VI si creò una nuova aristocrazia con nuovi intenti culturali e politici: combatteva e accumulava terre, era vicina al re, si radicava in città, tesseva reti clientelari e occupava cattedre vescovili. La forza del popolo franco nell’Alto Medioevo era dovuta alla formazione di un’aristocrazia mista che sfruttò modelli politici di riferimento diversi fra loro e diede vita a una società e a istituzioni ibride e innovative.
Schema Simbiosi Franco-Gallo-Romana
Romanitas: urbanizzazione, latifondo, concezione territoriale del potere, religione cattolica-nicena Franchi: mobilità, aggregati tribali, concezione personale del potere, carisma del capo, politeismo pagano
(IV e V secolo: Incontro franco-gallo-romano)
Nuova aristocrazia franca: latifondo, carisma del capo, urbanizzazione, conversione cattolica, reti clientelari
(VI secolo: Simbiosi franco-gallo-romano)
2. Le chiese franche e la diffusione del monachesimo in Occidente
Gli spunti del Tardo Impero romano e la centralità dei vescovi nella conversione di Clodoveo e del popolo franco accentuarono nei periodi successivi l’importanza della cattedra vescovile.
La conversione dei Franchi e la convergenza aristocratica attorno alle sedi vescovili favori l’affermarsi del vescovo aristocratico, ricco e potente e che aveva innumerevoli funzioni e risorse a disposizione.
Il Vescovo era il vertice della diocesi, il centro della vita religiosa regionale. Le città e il territorio facevano riferimento al vescovo, che amministrava la “cura delle anime”, ovvero l’insieme di azioni pastorali e sacramentali tese a garantire la salvezza dopo la morte. Pertanto era un figura assolutamente centrale in un contesto prevalentemente cristiano.
Il vescovo era anche portatore di cultura: letteraria, politica, giuridica (soprattutto della funzione degli istituti romani). La memoria ecclesiastica trasmetteva il funzionamento di tradizione romano della propria sede al nuovo contesto politico dei Franchi. I vescovi del IV e V secolo erano una delle articolazioni del potere romano soprattutto espressione dell’aristocrazia del potere romano. Nel corso del VI secolo i vescovi trasmisero l’esperienza amministrativa ai re franchi: affiancavano i re a corte e orientarono il sistema politico dei franchi con la ripresa di modelli tradizionalmente romani.
I vescovi erano anche molto ricchi ed esponenti delle grandi aristocrazie franche. Inoltre le sedi vescovili erano straordinariamente ricche poiché il suo patrimonio si accumulava grazie elle elargizioni di beni proprio da chi ricercava protezione e preghiere per la propria anima. I vescovi erano dei grandi patroni e vertici di ampie clientele ed erano capaci di coordinare e orientare le azioni di settori importanti della società cittadina.
La fisionomia dei vescovi del Tardo Impero trovò continuità e ulteriore sviluppo sotto i re del popolo franco. I re si appoggiavano politicamente alle capacità vescovili dato che le cattedre vescovili del VI secolo erano occupate dall’aristocrazia, che aveva una straordinaria forza politica e patrimoniale. I vescovi erano massima espressione della tradizione senatoria romana e militare franca.
Il Vescovo:
Punto di vista religioso: Vertice della diocesi e “cura delle anime”; Enorme patrimonio grazie ai donativi
Punto di vista culturale: Portatori di cultura letteraria, politica e giuridica di tradizione gallo-romana
Punto di vista sociale: Erano aristocratici
Punto di vista politico: Affiancavano i Re nelle questioni giuridiche, amministrative e religiose; Gestivano ampie clientele
La vita politica franca del VI secolo è rappresentata dalle Storie di Gregorio di Tours. Queste narrazioni ci offrono molti spunti sui re, i poteri e comportamenti politici, mettendo in scena la centralità del vescovo. Il battesimo di Clodoveo indicava la centralità del vescovo Remigio di Reims: per la vicenda reale, per la memoria di Gregorio e l’effettivo potere assunto da Remigio. I vescovi dei Franchi assunsero le abilità politiche di tradizione gallo-romana del V secolo e le consolidarono nel VI secolo.
Gregorio di Tours indirettamente ci riporta la centralità politica ed economica dei Vescovi insieme alla centralità culturale e di memoria assunta sempre dai Vescovi dei Franchi.
Un peso consistente nella società franca del VI secolo fu assunto dai monasteri. I monasteri avevano tratto origine dalla diffusione del monachesimo orientale in Occidente. Nel Mediterraneo orientale, fra Egitto e Cappadocia, nel IV secolo si sviluppò un ricco movimento monastico, iniziativa di eremiti o cenobiti alla ricerca di un contatto diretto con Dio più puro, fatto da ascesi e perfezionamento spirituale, basato su un parziale isolamento.
Tracciamo qui una prima differenza fra Monaco e Monastero.
Monaco deriva da monos, “solo”. Il desiderio di seguire Cristo abbandonando tutti i piaceri del mondo. Già nel II secolo vari cristiani abbandonavano la città e si ritiravano in luoghi solitari. Nel III secolo il deserto della Tebaide accolse i monaci, che vivevano in completo isolamento. Erano detti anacoreti (significa ritirarsi dal greco) o eremiti (significa deserto dal greco). Tentavano di realizzare una vita in solitudine completa. Simeone d’Antiochia morto nel 450 era uno stilita e viveva su una colonna. Era una vita di resistenza psicologica, di tormenti, allucinazioni e tentazioni fino a stati di esaltazione, eroismo.
Nel IV e V secolo si sviluppa un anacoretismo più equilibrato. I monaci ricercavano visite e donativi da chi cercava sostegno spirituale. Gli eremiti incominciarono a riunirsi con i compagni per pregare e ascoltare le parole dei più anziani. Pacomio (292-346) fu il primo organizzatore della vita cenobitica: nella Tebaide costruì un monastero dove i monaci rispondevano a un superiore detto abate (“padre”). Il monastero, la regola, l’abate erano le strutture fondamentali del cenobitismo (“vita in comune”). Basilio perfezionò l’ideale cenobitico: prevedeva obbedienza all’abate; il monaco non può abbandonare il monastero o comunità di monaci e deve partecipare agli uffici divini o pasti con gli altri monaci. Gli ortodossi seguono ancora questa regola.
In Occidente il monachesimo di tipo orientale fu diffuso da Sant’Anastasio di Alessandria. In un contesto di anarchia militare molti intellettuali e notabili (San Martino di Tours, Sant’Agostino di Ippona e Giovanni Cassiano) adottarono il monachesimo e si dedicarono all’ascesi.
Il monachesimo irlandese univa ascesi e avventura in mare in modo da evangelizzare più terre. San Brandano si fece trasportare dalle correnti fra Irlanda e Scozia per 7 anni, questo ci è riportato dalla Navigatio San Brandani. L’obbligo di studio era accentuato per i monaci irlandesi in modo da essere più efficaci nell’evangelizzazione. Grande influenza ebbe San Colombano: era un missionario e fondò molti monasteri, ad esempio a Luxeuil e San Gallo. San Colombano sotto la protezione del re longobardo Agilulfo fondò l’abbazia di Bobbio. La sua regola lasciava spazio alla liturgia, al lavoro intellettuale, alla mortificazione e battiture inflitte per piccole infrazioni.
La regola di San Benedetto (Norcia 480-Montecassino dopo il 546) era più moderata e riprendeva l’anonima Regula Magistri e diventò la regola comune di tutto il monachesimo latino dopo un lungo processo. Prevedeva la vita in comune con altri monaci guidata dall’abate. L’abate è eletto a vita dalla comunità e aiutava gli altri monaci: il cellerario, il portinaio, il maestro dei novizi, il priore claustrale. Il monaco perfeziona l’ascesi cooperando con la preghiera liturgica comune. Inoltre lavorava intellettualmente e manualmente. Il monaco era legato al monastero: stabilitas loci e conversio morum: impossibilità di uscire e cambiamento dei costumi. La regola consentiva la vita eremita soltanto per brevi periodi e con il permesso dell’abata. Solo il monaco esperto e solido liturgicamente poteva accedere alla prova della solitudine.
Con Benedetto non possiamo parlare di ordine. Gli ordini si mostreranno con i Cluniacensi e i Cistercensi. Per Benedetto ogni monastero è autonomo da vincoli di gerarchi o di governo ma è sottomesso al vescovo locale. Ma ben presto sorsero congregazioni monastiche e unioni federative che limitavano l’autonomia dei singoli monasteri. In epoca merovingica si introdusse il privilegium libertatis (non c’è una competenza specifica amministrativa) e il privilegium exemptionis (esenzione giuridica dal vescovo e sottomissione al papa o re).
Con Abbazia si indica l’abate. Indicava 1) la comunità di religiosi sui iuris: era autonoma, autosufficiente e possedeva personalità giuridica nell’abate; 2) il complesso degli edifici della comunità e i suoi fabbricati; 3) una chiesa anticamente monastica che ha ricevuto questo nome. Attorno al monastero si svilupparono mercati e centri abitati. L’abazia era un complesso organismo architettonico, prendiamo ad esempio l’abbazia di San Gallo in Svizzera. Prevedeva un grande recinto e intorno alla chiesa sorgevano i dormitori, la sala capitolare per le riunioni, la biblioteca, il refettorio, i magazzini, le officine, i laboratori, l’infermeria, l’orto per le erbe farmaceutiche e tanti altri locali.
Le prime forme monastiche in Occidente si diffusero a partire dal 350 d.C. con l’emergere degli anacoreti o eremiti e poi dei cenobiti. La vicenda di Marino di Tours era significativa. Era figlio di un ufficiale dell’esercito e proveniva dalla Pannonia. Il santo fu soldato in Gallia e poi si convertì alla vita religioso come monaco e divenne il vescovo di Tours e morì nel 397. La vicenda ci è tramandata da uno dei suoi successori, ovviamente, Gregorio di Tours, ma la sua fama straripò oltre i confini di Tours. Clodoveo e i futuri re franchi considerarono Martino punto di riferimento della propria religiosità. È fondamentale capire il collegamento della vita ascetica come passaggio da una vita militare a una monastica: questo era l’immaginario religioso della società franca cristianizzata un credo cristiano con connotati militari e forte ripresa di elementi romani.
Il mondo monastico e il mondo vescovile, quindi, non erano separati ma interdipendenti. Monaci e vescovi condividevano la funzione della preghiera e il culto dell’Opus Dei soprattutto perché i grandi monasteri erano bacino di reclutamento importante per i vescovi. Il monastero più noto era Lérins, sorto nel V secolo su un’isola vicino Cannes.
Lerins era centro di spiritualità, luogo di formazione culturale e destinazione prediletta per gli aristocratici che sceglievano la vita spirituale. Lerins era sede privilegiata dei futuri vescovi a cui si chiedeva perfezione religiosa, capacità culturali e origine aristocratica per svolgere compiti pastorali e politici in futuro.
In Africa operò Sant’Agostino, vescovo di Ippona all’inizio del V secolo e promosse una vita religiosa cenobitica.
In Italia operava San Gerolamo alla fine del IV secolo soprattutto in seno all’aristocrazia romana. L’Italia fu terreno di diverse esperienze monastiche in cui confluivano elementi orientali e occidentali. È il caso di Vivarium, monastero fondato da Cassiodoro che incentrò la propria esperienza religiosa imperniato su una vita culturale e di rielaborazione classica.
Il modello benedettino si impose nei secoli dopo il VI secolo dato che era un connubio equilibrato del monachesimo orientale e occidentale. Benedetto articolò la sua Regola attingendo da più modelli fino ad imporsi in Europa nel corso del tempo. La vita di Benedetto ci è riportata dai Dialoghi di papa Gregorio Magno. Benedetto nacque a Nocia attorno al 480 e si allontanò dalla città per vivere una serie di esperienze ascetiche come eremita, cenobita e poi abata nel Lazio. Nel 529 fondò l’abbazia di Montecassino, scrisse la sua Regola e morì nel 547. La sua Regola era l’opera di un saggio monaco e abate che aveva vissuto più esperienze monastiche, addirittura a Tivoli la sua Regola era molto avversata.
La Regola di Benedetto riprendeva la Regola del maestro, testo anonimo di precettistica e limiti della natura umana. Benedetto propose una forma di ascesi moderata senza gli estremismi della visione eremitica esibizionista. La vita ascetica della Regola di Benedetto si fondava sulla preghiera e un lavoro marginale. Non conteneva la formula “ora et labora” ma si può riassumere come “prega e obbedisci all’abate”. Benedetto propose una comunità semplice: la solidarietà orizzontale fra monaci e obbedienza all’abate. Il testo presentava alcuni principi ispiratori come l’isolamento, la preghiera e la moderazione del cibo che l’abate doveva adattare secondo le esigenze. Benedetto dette molta importanza al collegamento fra comunità ed eremiti. La Regola integrava bene cenobitismo ed eremitismo: accedevano alla condizione eremita solo i monaci spiritualmente più preparati e con l’approvazione dell’abate. La “nebulosa” degli eremiti benedettini conduceva una vita anacoretica ma riconoscevano l’abate.
La Regola era un’opera di un abate maturo e raccoglieva diverse tradizioni monastiche. Benedetto diffuse ideali moderati, flessibili a anche capaci di accogliere forme di anocoretismo. La Regola divenne un testo di successo e a partire dal IX secolo divenne il testo normativo di riferimento per tutti i monasteri. Ma non c’era un “ordine benedettino” o un coordinamento superiore dell’istituzione stessa. Il vertice della comunità era l’abate che rispondeva però al vescovo ma non c’era un fitto legame gerarchico.
Il monachesimo irlandese ebbe una forte influenza sul monachesimo europeo. In Irlanda l’assenza di città permise l’ascesa della centralità dell’istituzione monastica. Gli abati svolgevano anche il ruolo di vescovi e di assistenza pastorale. I monaci irlandesi avevano un forte senso penitenza e una forte spinta missionaria.
I monaci irlandesi presto si mossero verso l’Europa, fra questi il più famoso San Colombano. Verso il 600 fondò il monastero di Luxeuil e l’abbazia di Bobbio.
Il monachesimo irlandese riformò tutto il movimento europeo ponendo l’attenzione sulla sfera penitenziale e l’autonomia dei monasteri dal controllo vescovile. Anche qui non si trattava di un ordine monastico unitario ma di una serie di esperienze molteplici. Dal VIII al IV secolo questi monasteri adottarono la regola benedettina.
Anche la Gallia del VI e VII secolo era terreno di crescita di diverse esperienze monastiche. I monasteri, però, non erano luoghi chiusi ma anzi ebbero un’intensa relazione con la società civile e soprattutto con l’aristocrazia (donazioni di terra per la salvezza dell’anima, monacazioni di esponenti aristocratici, reclutamento dei vescovi in seno ai monasteri). Si stabilì un intenso rapporto fra aristocrazia e monaci: l’aristocrazia delle armi sodalizzava con l’aristocrazia della preghiera. Questo è uno dei rapporti basilari dell’Europa altomedievale.
3. I regni e l’aristocrazia
L’efficacia militare, sociale e politica del Regno franco del VI secolo era data dalla simbiosi franco-gallo-romana, soprattutto all’interno dell’aristocrazia franca, che compose un gruppo coeso su modelli politici di tradizione sia franca sia romana.
L’aristocrazia franca era forte militarmente, ricca di terre e attenta a occupare cariche ecclesiastiche. Questa è la base egemonica che il popolo franco impose all’Europa altomedievale. L’efficacia politico-militare dei Franchi era data dal coordinamento dell’aristocrazia attorno ai re.
La ripresa della tradizione romana fu evidente quando Clodoveo promosse la redazione scritta delle leggi franche: la lex Salica (o Pactus legis Salicae). La procedura di una redazione scritta era una scelta culturale tipicamente romana non germanica. Ma nel prologo il re non è presentato come autore e promotore della norma giuridica.
La redazione delle leggi nei Longobardi permise al re Rotari di affermare la propria superiorità e un maggior spessore legislativo e cambiamento delle norme. La redazione delle leggi nei Franchi è diversa. L’azione giuridica non è guidata dal re ma i protagonisti sono il popolo e specialmente gli aristocratici (proceres). La pace e la giustizia furono esito della saggezza di quattro uomini. Al centro troviamo il mallus ovvero l’assemblea degli uomini liberi, vero luogo di scelta politica, legislativa e giudiziaria.
I Franchi trasmisero le proprie leggi in base al modello romano ma non indicava lo stesso sistema politico imperiale e non accentrava il potere nel re.
Il potere regio aveva il compito di prassi politica concreta attraverso il coordinamento dell’aristocrazia. Questo era un derivato della tradizione dei Franchi. I Franchi svilupparono un contesto di controllo del territorio dividendolo in distretti, affidandoli a comes (conte) responsabili della giustizia, esercito e prelievo fiscale. Il quadro distrettuale era una deriva romana, ma era un sistema discontinuo e non coprì omogeneamente il territorio.
Il nesso fra re e aristocrazia era fondato su una serie di rapporti clientelari, basato sul carisma coordinativo del re e dal suo seguito armato (la trustis: era solo una prerogativa regia).
La delega territoriale e il rapporto clientelare erano integrati: il re affidava funzioni pubbliche di chi si fidava e soprattutto ai componenti della sua trustis.
Tutto si incentrava sulla ricchezza del re e della sua capacità redistributiva di ricompensare i fedeli. Fondamentalmente cambiarono gli strumenti di ricompensazione dell’esercito:
Tardo Impero: L’esercito romano era formato da professionisti stipendiati dallo Stato
Regni Romano barbarici: L’esercito era ricompensato con concessioni di terra
Regno dei Franchi: L’esercito era ricompensato con terre data l’inutilità del prelievo fiscale, divenuta pratica rischiosa
I re Merovingi erano sicuramente più poveri dell’Imperatore romano dato che quest’ultimo attingeva dalle contribuzioni fiscali, pertanto i re franchi erano più soggetti alla dipendenza aristocratica. Ma Franchi erano più ricchi dei regni romano-barbarici europei. L’aristocrazia e le chiese accumulavano più beni fondiari e i re Merovingi erano i più ricchi dei re romano-barbarici e dell’aristocrazia franca. I re disponevano di ingenti risorse economiche per consolidare il proprio potere e la superiorità verso l’aristocrazia aristocratica.
La società franca era fortemente interdipendente dal re: le famiglie aristocratiche potevano aumentare il proprio prestigio solo fidelizzando con il re come clienti.
Inoltre i Franchi non avevano una capitale e fu impossibile formare una vera e propria corte. I Merovingi avevano una serie di residenze privilegiate e controllavano il territorio con la presenzialità, infatti, l’aristocrazia franca si riuniva periodicamente attorno al re proprio in queste residenze itineranti.
La tradizione germanica attribuiva all’assemblea dell’esercito enormi poteri: elezione del re e decisioni legislative. L’incidenza dell’assemblea dell’esercito si attenuò con la dinastia della monarchia. L’assemblea doveva solo ratificare la successione. Però l’assemblea rimase il luogo principale delle decisioni politiche e la base di partenza per le spedizioni. L’assemblea si teneva in primavera per muovere guerra durante l’estate e raccogliere i rifornimenti
Le assemblee regionali dei singoli conti inizialmente avevano funzione giuridica e di risoluzione dei conflitti locali.
Le assemblee dell’esercito o le assemblee dei conti non portarono a una frammentazione politica inizialmente. La frammentazione del regno era dovuta ai meccanismi di successione. La corona e il regno erano prerogativa del patrimonio del re e in seguito sparito ai discendenti. Questa pratica iniziò già dai figli di Clodoveo nel 511.
La storia franca del VI e VII secolo è una vicenda di fratture dinastiche e solo in pochi casi abbiamo un singolo re che governa pacificamente tutto il popolo dei Franchi.
Già con i Merovingi si applicarono le ripartizioni dell’impero: i regni di Austrasia (nord-est, prevalentemente germanico), la Neustria (ex Dominio di Siagrio), la Burgundia (ex regno dei Burgundi) e Aquitania (sud-ovest, Ex regno visigoto ottenuto dopo la battaglia di Vouillè del 507)
I processi di frammentazione si svilupparono in seno alla dinastia dei merovingi. Solo i membri della stirpe reale potevano essere legittimi eredi, quindi era difficile coagulare tutti i regni nel caso ci fossero più discendenti. L’unità del regno era merito del carisma di Clodoveo.
Nonostante le possibili divisioni, l’egemonia sulla Gallia fu duratura e in progresso. I Franchi nel VI secolo esercitarono un controllo indiretto sui ducati di Turingia e di Baviera (in Germania) e poi una discontinua influenza sul regno Longobardo.
L’ampiezza del territorio fu intaccata nel corso del VII secolo e nel VIII si affermò l’espansione carolingia.
Capitolo 4: La rottura del Mediterraneo romano
In età repubblicana Roma aveva già realizzato un quadro politico territoriale ed economico senza uguali: l’unità del Mediterraneo, non a caso chiamato “Mare nostrum”. L’unità politica no cancellò le diversità di forme di vita, di lingua o di culto. Il dominio Romano è un insieme di civiltà diverse, riunite sotto la sottomissione politica e burocratica e sotto un capillare sistema fiscale.
Prima della “caduta dell’Impero” romano il mutamento politico, economico e militare era già in atto. La “caduta dell’Impero” è fondamentale per comprendere come i circuiti economici si ridefinirono. L’Impero Romano d’Oriente regionalizzò anche la sua economia. Inoltre il Cristianesimo produsse frequenti dispute teologiche che divisero l’Impero romano.
1. Produzione e scambi in Occidente
I dati economici altomedievali ci forniscono dati discontinui e senza alcuna rilevanza statistica. Oggi si indagano nuovi paradigmi esplicativi in particolare i reperti ceramici. Si tratta di uno sviluppo recente dell’archeologia medievale in diverse parti dell’Europa e del Mar Mediterraneo. I resti ceramici sono rimasti parzialmente integri, ma sono abbondanti e ci consentono di verificarne la provenienza. Le diverse tipologie di ceramiche ci permettono di individuare due importanti differenti: 1) la ceramica da tavola ci dà informazioni sulla domanda aristocratica e la produzione di merce pregiata 2) le anfore ci danno informazioni inerenti allo scambio interregionale dei prodotti agrari siccome grano, olio e vino erano trasportati con le ceramiche.
Il sistema economico romano mutò a partire dal II secolo quando l’Impero terminò la sua fase di espansione territoriale e si stava definendo come un territorio protetto dal limes renano-danubiano, parzialmente stabile fino al V secolo.
L’economia da bottino e di schiavi di guerra si arrestò e si avviò una stagione di equilibrio, ma i costi di gestioni dell’unificazione politica, come esercito, burocrazia e infrastrutture, pesava in modo determinante. Unico vantaggio era l’integrazione economica di tutte le regioni e le produzioni specializzate si aprivano a enormi mercati mediterranei ed europei.
I primi secoli del medioevo si connotarono con un evidente calo demografico, la rottura dei circuiti internazionali di scambio e la crisi produttiva. Però non si trattava di una frattura totale ma di un mutamento profondo. La trasformazione più evidente è sul piano politico-militare e soprattutto si inceppò definitivamente il meccanismo fiscale. Nel corso del V secolo le città riducevano le proprie funzioni e si avviò la de-urbanizzazione. Inoltre l’interdipendenza economica delle diverse parti dell’Impero e il volume di scambi si ruppero bruscamente.
La rottura economica del Mediterraneo:
- De-urbanizzazione e calo demografico
- Rottura dell’integrazione economica
- Trasformazione politico-militare
- Rottura del sistema fiscale
1.1 Città
La crisi riguardò precipuamente le città. Pima della caduta dell’Impero Romano le città erano le sedi del potere e del fisco imperiale. Le èlite cittadine erano raccolte in curiae ed erano responsabili fiscalmente di fronte all’impero.
Il tramonto del sistema imperiale le èlites sfollarono dalle città. Chi era potente valorizzava le proprie ricchezze ovvero le terre.
Le città andarono in crisi dal punto di vista delle funzioni svolte e si ridussero drasticamente. Le case erano più semplici e frazionate. Molti spazi pubblici furono “riciclati” dalle chiese o da edifici privati. Lo spazio urbano si frammentò in piccoli insediamenti discontinui. La tendenza fu generale in tutte le aree ex-impero
In Italia le città entrarono in crisi negli anni della Guerra Gotica (535-553) e alla frammentazione della conquista longobarda.
Roma subì la trasformazione più vistosa: da un 1 milione di abitanti passò a 20.000 abitanti. Prima era la metropoli ultra-popolosa, centro simbolico e reale del potere imperiale e sede del Senato. L’attività fiscale più importante era l’annona (distribuzioni di viveri gratuita alla società civile romana). Roma incominciò a mantenersi con le risorse del Lazio e le terre del vescovo, ma non erano paragonabili a quelle precedenti. La popolazione viveva all’interno della cerchia delle mura aureliane in una serie di villaggi intervallati. Si riutilizzavano i monumenti antichi come case e l’abitato si organizzò presso il palazzo del Laterano, mentre la basilica di San Pietro era posta fuori dalle mura proprio sul luogo del martirio. Solo in epoca carolingia fu spostata all’interno delle mura.
I centri urbani però conservarono molte funzioni nei confronti del territorio circostante grazie alla continuità del potere vescovile. Il vescovo era un cittadino che proiettava il proprio potere sul territorio limitrofo. Indubbiamente le città furono stravolte dai cambiamenti politici ed economici. La “decadenza” è connessa alla rottura dell’integrazione fiscale e alla semplificazione delle forme di scambio. In quasi tutte le città dell’ex impero la riduzione economica delle ricchezze e della disponibilità di beni subì un incrinarsi vistoso.
1.2 Reti
Quali erano i beni di massa, di consumo, le materie prime alimentari egli oggetti più comuni che circolavano sul mercato?
Le reti di scambio in età antica erano strutturate grazie all’azione dello Stato: era fondamentale il gettito fiscale in grandi quantità e il trasferimento dei beni nei luoghi nevralgici dell’impero. I costi di gestione dell’annona a Roma e degli eserciti del limes erano mantenuti dalle produzioni cerealicole dell’Egitto, della Tunisia e della Sicilia. Le provviste erano pagate dallo Stato grazie alle risorse fiscali. Lo scambio commerciale era possibile anche grazie al sistema di infrastrutture (ponti, porti, strade) e avveniva fra tutte le regioni dell’impero.
I commerci in età imperiale viaggiavano “sulle spalle” delle tasse poiché i commercianti sfruttavano le infrastrutture costruite dal sistema fiscale e anche perché le navi dei beni che trasportavano i beni pagati dal fisco integravano i propri carichi con oggetti commerciabili.
La grande rottura economica fu la conquista vandala della Tunisia nel 439. Questo evento interruppe l’asse fiscale collegante Cartagine-Roma che garantiva anche la regolare annona per l’Urbe. La rottura dell’asse ebbe un triplice impatto:
1) Lo scambio commerciale si ridusse drasticamente e assunse forme commerciali e non fiscali. Roma continuava a rifornirsi ma per via commerciale. La conseguenza era un rifornimento più oneroso per l’Impero e di un minore volume di grano. La conquista vandala rappresentò una delle principali voci passive di bilancio.
2) La città di Roma si ridusse demograficamente e soprattutto incominciò a sfruttare le terre laziali e il patrimonio vescovile, ma i rifornimenti prodotti erano più esigui di quelli africani
3) Le strutture agricole nordafricane si ridimensionarono. Molti laboratori furono abbandonati e l’esportazione all’interno del contesto mediterraneo integrato si ridusse drasticamente poiché l’aristocrazia tunisa-romana fu dimezzata e la domanda dei prodotti non era più sostenibile dalle villae romane.
1.3 Produzione
Il quadro produttivo dei primi secoli del medioevo è molto variopinto in base alla regione. La domanda delle élite non sostituì quantitativamente il prelievo fiscale dell’Impero ed era meno ricca della precedente èlite senatorio-romana.
La struttura produttiva agraria di base in tutto il Mediterraneo romano si concentrava sul grano, olio e vino. Ora nell’Alto Medioevo cambiarono alcuni paramentri.
Questi prodotti sono coltivazioni specialistiche. In un contesto economico e fiscale romano la specializzazione produttiva è un fattore di crescita economica, ma è di debolezza in un contesto di isolamento.
La domanda delle aristocrazie cambiava in base alle diverse regioni: ciò condizionò la domanda e la produzione delle singole regioni.
Inoltre i danni delle guerre furono diversi da regione a regione, anche se diffusi.
Addirittura il sistema fiscale di tradizione romana in alcuni regni persisteva, pertanto la pressione fiscale incentiva la produzione.
Prendiamo in esame alcune regione dell’ex impero e confrontiamole per capire come l’evoluzione dei sistemi economici era fortemente variabile
Esaminiamo l’Africa romana. L’Africa romana fu conquista dai Vandali nel 439, ciò causò la rottura del legame fiscale del sistema economico. Si palesò un calo della produzione visto che la domanda dell’aristocrazie diminuì e diminuì anche l’esportazione via commerciale perché prima era sostenuto dall’integrato sistema fiscale. Nel 534 l’area fu conquistata da Giustiniano e si riattivo la circolazione fiscale ma la produzione andò in declino. Il declino concretizzò i suoi vari aspetti: era dovuto per la caduta della domanda, dall’impoverimento delle aristocrazie. Ma un fattore determinante fu che la ricostituzione di un sistema fiscale sotto l’Impero romano d’Oriente era destinato al mantenimento della capitale (Costantinopoli) e pagare le strutture di difesa in Tunisia. Nel corso del VI l’area era contesa dai Berberi, mentre, in epoca romana era una provincia pacifica e le tasse riuscivano a mantenere gli eserciti e l’annona. Nel VI secolo la pressione fiscale non raggiunse ovviamente i livelli di Roma.
Esaminiamo l’Italia. L’Italia fra fine V e VI secolo si frammento economicamente. La produzione artigianale era a corto raggio. Inoltre l’aristocrazia si impoverì e calò la sua domanda, ciò ebbe un impatto negativo per tutte le regioni dell’ex impero. Le rotture più profonde furono la lunga Guerra Gotica (535-553), combattuta fra l’Impero Romano d’Oriente e il regno ostrogoto, e la migrazione dei Longobardi nel 568. La Guerra Gotica fu molto logorane e distrusse molte risorse. L’invasione dei Longobardi frammentò l’area economicamente e politicamente fra bizantini e longobardi.
Consideriamo il regno franco. Il regno franco lungo il VI secolo abbandonò il sistema di prelievo fiscale, base per uno scambio integrato con altre regioni dell’ex impero. Ma la ricchezza dell’area era evidente e la domanda di produzione era alta già con l’aristocrazia dei Merovingi e aumentò sotto l’età carolingia.
Esaminiamo la Britannia. Già dall’abbandono degli eserciti romani nel 410 si evidenziò la rottura delle reti commerciali, la semplificazione dei manufatti e della produzione di ceramica. La produzione commerciale era solo locale. Addirittura la società era omogenea, i più ricchi erano simili ai meno abbienti. Quindi la domanda di produzione era quasi inesistnte.
Alla rottura politica dell’Impero e ai vari regni romano-barbarici si associò la frammentazione economica.
Passiamo al confronto fra Impero Romano d’Oriente e i regni romano-barbarici.
Il Mediterraneo orientale conservò la rete fiscale diretta dallo Stato per gli scambi commerciali. I bizantini pertanto poterono rifornire la capitale e gli eserciti del limes grazie alle produzioni dell’Egitto e poi della Sicilia e della Tunisia.
Nei regni romano-barbarici non si conservò la tassazione e la circolazione dei beni si ridimensionava su scala regionale in un clima di calo della produzione e della domanda dell’aristocrazia. Le aristocrazie erano più povere rispetto alle aristocrazie del passato.
1.4 Contadini
È controversa la condizione dei contadini dato che le fonti sono sfuggenti. La produzione scritta dei documenti è inesistente e si può agire o per via diretta o per via indiretta.
I contadini rappresentavano la stragrande della maggioranza della popolazione fra il 90 -95% sia in età antiche che nell’Alto Medioevo.
In età antica i contadini dovevano provvedere alla propria sussistenza, a quella delle èlites e mantenere l’esercito del limes. La transizione al medioevo segnò l’abbandono delle città e un relativo aumento della popolazione rurale: era relativo perché anche in campagna si assistette a un crollo demografico. I boschi si ampliarono ma erano punteggiati di insediamenti contadini.
L’autonomia contadina era inversamente proporzionale alla presenza aristocratica. Nelle grandi concentrazioni aristocratiche i contadini lavoravano come coloni salariati, mentre, quando gli aristocratici erano meno presenti si presentavano maggiori piccoli proprietari terrieri.
L’aristocrazia nel primo periodo dell’Alto Medioevo era più povera ed esercitava un controllo meno diretto sui contadini. Ma le variabili erano diverse in base alle regioni:
• In Italia le aristocrazie erano più povere e mancava il controllo sui contadini
• In Gallia e soprattutto nell’area parigina le aristocrazie era più ricche e il controllo sui contadini era più pervasivo
Le condizioni di vita dei contadini non cambiarono in nessuna regione, addirittura la crisi della produzione degli scambi non incise sul loro status sociale.
2 Le ambizioni universali dell’Impero di Giustiniano
Lungo il IV secolo la pars orientale dell’Impero orbitava attorno a Costantinopoli, fondata nel 324 da Costantino. Inizialmente non assunse il ruolo di capitale ma vi era una residenza privilegiata dell’Imperatore e aveva anche un Senato autonomo.
Con Onorio e Arcadio l’impero si divise. Costantinopoli diventò la capitale dell’Impero romano d’Oriente. L’impero dominava sul Mediterraneo orientale e meridionale dalla Libia ad ampi settori nei Balcani. La parte Occidentale subì le invasioni barbariche e il suo successivo sfaldamento, mentre, l’Impero romano d’Oriente superò efficacemente l’emergenza militare dopo la sconfitta di Adrianopoli del 378.
Lungo il V secolo Costantinopoli si pose in diretta continuità con l’Impero cristiano.
Analizziamo gli aspetti fondamentali dell’Impero bizantino: la successione al trono, l’organizzazione burocratica, il sistema fiscale e il rapporto inteso fra Cristianesimo e l’organizzazione ecclesiastica.
La successione imperiale non era fondata sulla semplice ereditarietà. Il modello romano si basava sul consenso del popolo, ciò legittimava l’ascesa al trono. Inoltre la visione cristiana collegava l’ascesa al trono alla volontà divina. Inoltre non c’era una prassi stabile alla successione imperiale ma addirittura la successione era condizionata dai rapporti di forza e dalla fedeltà degli eserciti.
La fluidità dei meccanismi di successione nell’Alto Medioevo presentava contesti diversi:
• Nel regno dei Franchi il conflitto politico non travolse all’inizio i Merovingi e gli aristocratici fidelizzavano con il re per trarne “benefici”
• Nell’Impero Romano d’Oriente la dinastia imperiale non c’era e il conflitto politico era fatto da tentativi di usurpazione anche da personaggi di origine umile
Ad esempio Giustiniano salì al trono nel 527 associato dallo zio Giustino. Giustino era di origine umile e contadina, ma aveva fatto carriera nell’esercito fino ad essere eletto imperatore nel 518.
La successione al trono è piena di scontri e guerre civili basatesi sui rapporti di forza: solo nel X secolo si affermò il principio dinastico. La conflittualità politica a Costantinopoli proveniva addirittura all’interno dell’Ippodromo (potremmo considerarlo per importanza al Colosseo). Qui le associazioni nate a scopo ludico (come i verdi e gli azzurri) erano strutture di pressione politica e diedero vita a frequenti rivolte urbane. La sommossa più famosa fu la rivolta di Nika, una sanguinosa sommossa scoppiata a Costantinopoli, nell’Ippodromo, l’11 gennaio 532; al grido di “Nikā, Nikā”, (“Vinci! Vinci!”), con cui il popolo era solito incitare i propri campioni nelle corse di carri, la folla tentò di rovesciare l’imperatore Giustiniano I. La ribellione, però, si spense nel sangue il 18 gennaio.
La burocrazia donava stabilità all’impero ed era il motore che garantiva il regolare funzionamento della macchina imperiale. Gli incarichi militari e civili erano divisi, pertanto non concentrarono molto potere i singoli funzionari.
Dal punto di vista organizzativo la burocrazie agiva presso la corte imperiale e le province (i distretti dell’Impero).
Dal punto di vista militare rimaneva la distinzione fra eserciti limitanei (sostavano sul limes) e i comitatenses (rappresentavano la forza di intervento e affiancavano l’imperatore).
L’apparato politico, militare e amministrativo rimaneva turbolento. Gli eserciti non sempre erano controllati dall’Imperatore e subito fidelizzavano con i propri capi militari. La burocrazia e l’esercito connotavano ancore le forme di governo imperiali.
Il sistema burocratico si reggeva sul prelievo fiscale. Il prelievo fiscale dimostrava la continuità di tassazione dell’Impero Romano e molte forme fiscali riprendevano le riforme di Diocleziano e di Settimio Severo:
• Annona: rifornimenti gratuiti di grano, scorte di derrate e a volte anche carne (Aureliano nel caso dell’Impero Romano);
• Iugatio: imposta sulle terre
• Capitatio: imposta sulle persone
L’azione fiscale produceva un complesso sistema documentario e amministrativo per accertare i patrimoni e le persone presente, ovvero, i catasti. Quindi il carico fiscale era proporzionale al calcolo che si doveva imporre in base al valore delle terre e al numero di persone che vi lavoravano.
Questo peso burocratico era enorme. Pertanto non fu adottato dai regni romano barbarici. Nell’Impero Romano d’Oriente si cercava di vincolare le persone alle terre e si vietava il loro spostamento ad altri fondi. Compariva così la figura sociale del colono: era libero ma vincolato alla terra e obbligato a risiedervi e lavorare.
Il prelievo fiscale, anche se complesso e coercitivo, permise una buona circolazione monetaria in Oriente, sicuramente più vivace che in Occidente.
L’organizzazione del sistema burocratico e fiscale richiedeva una preparazione scolastica di alto livello, soprattutto in ambito giuridico. L’asse dell’apparato amministrativo e delle scuole di diritto era Roma-Costantinopoli-Beirut.
La grande riforma legislativa fu promossa da Giustiniano (imperatore dal 528 al 565). La redazione del Corpus iuris civilis era un insieme articolato di testi giuridici. Innanzitutto si proponeva di riordinare il corpo disordinato delle leggi romane. La legislazione romana si era sedimentata e aveva prodotto una miriade di testi contraddittori, emanati in contesti diversissimi. Tali testi dovevano essere coordinati e selezionati per dare vita un coerente Codice legislativo unitario e coerente.
Codex (529): Giustiniano incaricò nel 528 una commissione di sette giuristi guidati da Triboniano. I lavori furono pubblicati nel 529: era la raccolta delle principali norme imperiali dall’età di Adriano (fine II secolo) fino al 529
Digesto o Pandette (533): una raccolta organizzata e fortemente selettiva in 50 volumi degli scritti di giuristi. La raccolta trattava dei pareri, i chiarimenti e le interpretazioni più insigni dei giureconsulti romani
Institutiones (533): raccolta dei testi universitari di diritto. Enunciavano in modo semplice i principi generali del diritto ed erano usate nelle scuole come una specie di manuale
Novelle (535): raccolta delle nuove leggi emanate dopo la redazione del Codex. Le Novelle furono scritte tutte in greco
Il Codex, il Digesto, le Institututiones e le Novellae costituirono il Corpus iuris civilis. Il Corpus aveva un’esigenza di funzionalità per eliminare i testi anacronistici e risolvere le contraddizioni. Il Corpus ridefinì profondamente il diritto e le sue fonti, inoltre, incentivò la produzione testuale di uso pratico, giudiziario di riflessione e di apprendimento. La riforma giudiziaria permase lungamente.
Sul piano militare e territoriale Giustiniano fu promotore di un’energica politica espansionistica volta a riunificare l’Impero: conquistò la Tunisia, l’Italia, gran parte delle coste mediterranee e le coste meridionali della Spagna. L’azione militare fu permessa da premesse di natura militare, ideologica ed economica:
• Dal punto di vista militare il limes persiano era relativamente tranquillo, pertanto le truppe furono destinate sui confini occidentali
• La riflessione giuridica del Corpus iursi civilis condusse al rafforzamento ideologico e all’asserzione di un ruolo universale dell’Impero
• La politica fiscale e l’alleggerirsi dell’impegno bellico verso est garanti solidità finanziaria e prosperità
Il primo obiettivo era un fondamentale compito imperiale, interpretato anche da Roma Antica, ovvero, la tutela dei mari e della navigazione contro la pirateria diffusa e organizzata. Il primo obiettivo era contrastare il Regno Vandalo: i Vandali erano molto pericolosi per la sicurezza della navigazione mediterranea dato che erano l’unico popolo germanico ad avere attinto alla tecnica nautico e compirono numerose incursioni e attacchi di pirateria. Inoltre controllare la Tunisia permetteva di ricontrollare le riproduzioni agrarie e artigianali che avevano rifornito Roma precedentemente.
Il generale Belisario guidò le truppe imperiali alla conquista del Regno Vandalo fra il 533 e il 534. Il Regno Vandalo dimostrava tutta la propria debolezza strutturale, dove non si evidenziò alcuna integrazione fra l’èlite vandala e la maggior parte del popolo di tradizione romana.
La campagna contro i Visigoti in Spagna fu faticosa: fu conquista solo la fascia costiera mediterranea compresa fra Valencia e Cadice.
La campagna contro gli Ostrogoti in Italia fu lunghissima e richiese venti anni (535-553). Le armate bizantine guidate da Belisario conquistarono la Sicilia e risalirono la penisola. L’avanzata fu effica ma non semplice. Ravenna fu conquista nel 540. Gli Ostrogoti e i Bizantini si spartirono l’Italia: gli Ostrogoti conquistarono le regioni a nord del Po. L’equilibrio fu rotto dalla succesione di Totila: il re ostrogoto rilanciò l’azione militare con espropri ai danni dell’aristocrazia senatoria e conquistò parzialmente i territori sottrattigli. Giustiniano sostituì Belisario con Narsete: stavolta la campagna procedeva dalla Dalmazia. Nel 553 l’Italia fu completamente assoggettata.
La conquista dell’Italia ostrogota fu estenuante. Gli Ostrogoti dimostravano enorme capacità militare, spregiudicatezza politica e una parziale integrazione con la popolazione italica che permise una resistenza ventennale.
La resistenza e la durata del conflitto provocarono ingenti danni materiali e umani, che danneggiarono soprattutto l’aristocrazia italica. Dopo la conquista Giustiniano emanò la Prammatica sanzione (554): ristabiliva le condizioni precedenti. Il nervo del controllo politico in Italia era riabilitare la ricchezza fondiaria dell’aristocrazia. Giustiniano, inoltre, ricostituì il quadro di governo in Italia, raccogliendolo intorno a un grande funzionario, l’esarca di Ravenna. Ravenna riprese i fasti di residenza regia e di capitale proprio come l’Impero Romano d’Occidente e sotto Teoderico. Giustiniano evitò di porre Roma come capitale e lasciò l’Urbe al Vescovo di Roma dato che il dominio imperiale bizantino era molto fragile e una possibile tensione o concorrenza con i pontefici era sconsigliata.
Il 568 fu un anno cruciale. L’Impero Bizantino era molto fragile e i Longobardi valicarono le Alpi e si diedero a una conquista lunga, violenta e discontinua: l’invasione era diversa dalla calata di Teoderico che fu molto più rapida e meno violenta. I Longobardi si mossero in maniera discontinua. Prima occuparono il Friuli, poi dilagarono nella pianura padana, ruppero l’assedio a Pavia ma si bloccarono nell’area di Ravenna. Dal nucleo centrale del loro dominio (la Langabardia, Piemonte e Lombardia) partirono spedizioni spesse volte non coordinate:
• Invasero la Toscana, il centro e il sud dell’Italia
• Invasero anche alcuni territori dei Franchi
L’Impero Bizantino era già estenuato dalla precedente Guerra Gotica e non riuscì a contrastare i Longobardi, sperava che fosse solo un’incursione alla ricerca di bottino.
Si formarono più Italie: più domini longobardi a volte anche autonomi e i rimasugli dell’Impero bizantino:
Le Due Italie:
Italia dopo l’invasione longobarda (568)
I popoli dominatori
I diversi domini
I Longobardi dominavano la Pianura Padana e la Tuscia, ma anche i Ducati di Spoleto e di Benevento
I Bizantini dominavano l’ Area di Ravenna, la Laguna veneta, le Marche, la Liguria, la Puglia,la Campania e le Isole
Insomma l’impero bizantino aveva il controllo delle coste. Le dominazioni erano pertanto discontinue. Il punto di frizione maggiore era l’Umbria che era contesa da domini imperiali (Marche e Lazio) e domini longobardi (Tuscia e Spoleto). I confini longobardo-imperiale era complesso e gravido di ostilità. Quasi tutta l’Italia era attraversata da questa separazione di confine.
L’eredità di Giustiniano fu fragile. L’Africa restò imperiale fino alla conquista araba e in Spagna il regno visigoto si consolidò fino a cancellare la presenza bizantina nel 625. L’Italia anche se aveva un forte significato simbolico fu conquista velocemente dai longobardi. La dominazione “regionale” bizantina permase per alcuni secoli.
Giustiniano fu energico anche nel tentare di ricostituire l’unità religiosa dell’Impero, ma si scontrò con le rivalità regionali dei patriarcati.
3 Dibattiti teologici e identità locali
Il IV secolo rappresentò la divisione teologica fra cattolici e ariani. Questa divisione non fu soltanto ecclesiastica ma etnica e territoriale, dato che il campo di espansione dell’evangelizzazione ariana furono proprio le popolazioni germaniche ariane. Questi processi ebbero seguiti nei futuri regni romano-barbarici.
Il V e il VI secolo videro l’incontro complesso fra i germanici-ariani e romani-cattolici, che diedero vita a diverse forme di convivenza e a diversi risultati.
Il V e il VI la questione teologica si spostò dal piano trinitario a quello cristologico. Le questioni teologiche indagavano la convivenza nella figura di cristo di una natura divina e di una natura umana. Il processo di chiarificazione intellettuale era dirimente: Cristo doveva essere pienamente Dio per garantire l’efficacia salvifica dell’incarnazione dopo la morte, ma doveva essere allo steso tempo uomo perché solo così si poteva esprimere la sua sofferenza nella carne.
In questi conflitti si elaborarono formulazioni teologiche raffiniae ma non era un dibattito fine a sé stesso. L’insieme de fedeli fu coinvolto data la sua grande incidenza e per la diffusione del culto di Maria.
Maria fu al centro di uno dei più importanti dibattiti cristologici. Nestorio, sacerdote formatosi ad Antiochia era divenuto Patriarca di Costantinopoli nel 428. Nestorio sosteneva la presenza in Cristo di due persone distinte (umana e divina) e rifiutava a Maria il titolo di “madre di Dio” e la considerò solo “madre di cristo”, in quanto Gesù era congiunto con il Figlio. Il Nestorianesimo fu condannato nel concilio di Efeso nel 431 su iniziativa di Teodosio II, sollecitato dai patriarchi di Roma e di Alessandria d’Egitto.
Il Nestorianesimo aveva insufficienze intellettuale: distinguendole due nature di Cristo in un’unità non spiegava il coinvolgimento del Figlio (natura divina) nella sofferenza mortale di Gesù. Con le nature distinte la morte dell’uomo non coinvolgeva la parte divina e non emergeva il fondo salvifico dell’incarnazione e della morte. Inoltre non era un semplice confronto teologico, anzi, era lo scontro fra una sede patriarcale (Antiochia) con altre due sedi patriarcali (Roma e Alessandria). La chiave geopolitica-religiosa è la chiave di lettura per comprendere le questioni cristologiche. I dibattiti religiosi avevano motivi teologici ma erano motivi di divisione fra i patriarcati (Roma, Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria d’Egitto). L’articolazione regionale delle “diverse chiese” creò diversi scenari religiosi nel Mediterraneo.
Il Nestoranesimo, ad esempio, fu bandito dai territori dell’Impero Romano (fu scomunicato nel Concilio di Efeso 431 quindi in Tardo Impero), ma si conservò negli episcopati dell’Impero persiano dei Sassanidi e sopravvisse fino al VII secolo, poi fu islamizzato.
In ambito alessandrino fu elaborato il Monofisismo (mone physis: una sola natura). Umanità e divinità si fondevano in una sola natura: Gesù Cristo era in grado di soffrire in quanto uomo e di redimere in quanto Dio. Il Monofisismo fu condannato dal concilio di Calcedonia nel 451, fu convocato dall’imperatore Marciano, sia per ragioni teologiche sia per rivalità patriarcali.
Il Monofisismo offuscava le specificità delle due nature. L’efficacia salvifica derivava solo dalla natura divina, quindi mancava l’unione fra umanità e divinità. Difatti era fondamentale la conservazione delle due puramente integre. Il concilio di Calcedonia del 451 propose il cosiddetto Diofisismo (dyo physeis due nature): sosteneva la presenza di due nature distinte ma integre e unite in modo indissolubile nella persona del Cristo. Oggi è tuttora la teoria adotta dalla Chiesa cattolica e ortodossa.
La questione era nuovamente geopolitica-religiosa. Il Diofisismo era sostenuto da Roma, Antiochia e Costantinopoli contro il Monofisismo sostenuto da Alessandria d’Egitto. Il Concilio di Calcedonia del 451 fece emergere il ruolo del patriarcato di Costantinopoli, rispetto ad Antiochia e Alessandria. Costantinopoli sembrava essere parallela a Roma.
Bisanzio da residenza imperiale che fu rifondata nel 324 in Costantinopoli, divenne presto un centro di potere e un centro di religione, candidandosi a vera capitale dell’Impero Romano.
Ma riconoscere il ruolo preminente della sede patriarcale di Costantinopoli nell’area orientale significava sacrificare la propria autonomia religiosa. Pertanto i gruppi orbitanti ad Alessandria rimasero monofisiti, soprattutto ad Alessandria. I Monofisiti egiziani consideravano il Diofisismo come la ripresa mascherata delle tesi nestoriane.
Le divisioni teologiche esprimevano autonomie intellettuali, scelte religiose e cultuali profondamente diverse, ma anche l’articolazione del Mediterraneo romano sempre più articolato. Gli aspetti teologici e geopolitici sono dirimenti per la comprensione del tentativo imperiale di risolvere il conflitto cristologico.
La responsabilità imperiale per proteggere la disciplina ecclesiastica era fondamentale per comprendere l’ideologia universalistica. Questa pratica era iniziata da Costantino. Il primo compito dell’imperatore era difendere le chiese e i precetti religiosi in modo che potessero valere per tutti i sudditi dell’impero. Aderire o non aderire alle decisioni dei concili significava aderire o non aderire al sistema di potere imperiale. L’imperatore doveva urgentemente sanare l’unità teologica ed ecclesiastica per spegnere i possibili conflitti religiosi. Questo fu il vero motivo dell’intervento imperiale a sostegno dei due concili cristologici:
• Teodosio II condannò il Nestorianesimo nel Concilio di Efeso nel 431;
• Marciano condannò il Monofisismo nel Concilio di Calcedonia nel 451
L’impegno imperiale era fondamentale per tutelare l’unità della teologia cristiana. È per questi motivi che Giustiniano condannò i “Tre Capitoli”: derive diofisite molto vicine a posizioni al Nestorianesimo. Giustiniano tentò di avvicinarsi ai monofisiti d’Egitto e rifiutare le tesi più estreme del Diofisismo. Ma il progetto di Giustiniano fallì: il Concilio di Costantinopoli (553) condannava le posizioni del Diofisismo estremo ma provocò lo Scisma tricapitolino in quanto i vescovati di Milano, Aquileia e del Nordafrica non accettarono tali deliberazioni.
Altro energico tentativo di preservare l’unità teologica e geopolitica della Chiesa fu proposto dall’imperatore Eraclio (610-641). Eraclio voleva ricomporre lo strappo con i monofisiti. Eraclio era sostenuto dai patriarcati di Costantinopoli e Alessandria e promosse il Monotelismo (monos telos un solo scopo): in Cristo erano presenti due nature, unite da un’unica attività e volontà, connesse ovviamente alla sua carne e umanità. Ma il Monotelismo fu condannato nel concilio di Costantinopoli del 681. In questo periodo le regioni sudorientali si stavano già islamizzando.
Ora la questione geopolitica era diventata ininfluente:
• Il Diofisismo era diffuso in tutto l’Impero Bizantino e in Occidente
• Il Nestoranesimo e il Monofisismo erano praticati in aree ormai perse e islamizzate
La divisione teologica non minava all’unità imperiale dopo tutta la fase delle questioni teologiche. In sintesi ecco le “eresie” delle dispute teologiche.
Eresie:
Arianesimo (Concilio di Nicea 325)
Nestoranesimo (Concilio di Efeso 431)
Monofisismo (Concilio di Calcedonia 451)
Condanna dei 3 Capitoli (Concilio di Costantinopoli 553)
Monoletismo (Concilio di Costantinopoli 681)