Introduzione
La filosofia della storia non rientra all’interno del’enciclopedia ellenistica o greca (divisa in logica, fisica ed etica) e neppure di quella scolastica (non rientra fra gli studi di ontologia, psicologia, cosmologia o teologia).
Hegel identifica la storia universale come il culmine dello sviluppo dello spirito oggettivo, ossia, l’eticità organizzata in forma statuale; inoltre nella concezione hegeliana la storia potrebbe essere considerata la “quarta” manifestazione dello spirito assoluto, costituito dall’interagire dello spirito dei popoli (contraddistinti da determinazione geografica e spazio-temprale). Svolta hegeliana è di considerare la storia come “oggetto unitario”, un processo riconoscente l’intera realtà, permettendo di delineare uno sviluppo unitario in una “storia universale” (l’esempio è Polibio). È la pretesa di predeterminare il corso degli eventi.
La concezione cristiana si fonda sull’aspettazione di un futuro escatologico, in cui si compierà realmente il corso della storia, ponendo l’interrogativo sulla sorte nell’aldilà. Pertanto una possibile interpretazione è di ricondurre il futuro alla “storia sacra” (storia della Chiesa, depositaria dell’insegnamento di Cristo).
Per la filosofia sei-settecentesca il punto focale dell’analisi della storia è il futuro: oggetto di previsione di “utopie”. La storia universale ha un “filo conduttore” influenzante il corso della storia futuro, identificato nel passaggio da barbarie a uno stato di civiltà (al fondo della società c’è la concezione hobbesiana di homo homini lupus) quindi del passaggio da animalità all’umanità.
I termini focali sono progresso, civiltà, umanità.
I testi principali sono: Essai sur les moeurs et l’esprit des nations di Voltaire, Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit di Johan Gottfried Herder.
Il concetto di progresso non esclude il regresso sociale, il ritorno alla barbarie ma l’aspetto principale è lo svincolarsi da prospettive teologiche.
Questa novità dà inizio allo studio di una nuova disciplina, il Cristianesimo è una “storia della salvezza” non una filosofia della storia.
Il pensiero di Pietro Rossi si oppone all’interpretaione “regressiva” di Karl Loewith considerando che la filosofia della storia abbia un nucleo teologico (da Burckhardt fino a Orosio): difatti il filosofo tedesco identificherebbe un processo di graduale secolarizzazione della visione escatologica della storia.
Per Rossi la filosofia della storia è un evento della modernità, con un’intesa connettività con la teoria politica e l’antropologia.
Capitolo Primo
Dalle storie alla storia universale
La “filosofia della storia” è un’espressione usata per la prima volta da Voltaire nel 1765 come introduzione ai Essai sur le moeurs et l’esprit des nations (storia del progresso dei costumi da Carlo Magno al Seicento. È la messa in discussione di una chiave teologica della storia allargando il discorso anche alle comunità orientali. Il centro della filosofia voltairiana è il rigetto della filosofia cristiana in favore di una religione naturale e l’analisi di una storia universale non solo europea. È un nuovo modo di “leggere” le vicende umane.
Un’altra designazione è quella di Johan Gottfried Herder, in Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit e di Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit. Se Voltair sosteneva un processo storico in quanto progresso, l’analisi herderiana pone un governo provvidenziale nella storia con un’interpretazione di ispirazione cristiana e teologica.
La visione hegeliana di Weltgeschichte, oggetto della filosofia della storia, individua il cammino della “storia universale” e dello “spirito del mondo”, che connota la storia immanentisticamente, verso la libertà. La sua estrinsecazione esteriore è quella della costituzione etica e statale dei popoli, determinati geograficamente e climaticamente. Il movimento dialettico entra a far parte dell’interpretazione storica.
In questo processo si ha una svolta semantica, lo studio filosofico è rivolto al complesso delle res gestae. Inizialmente lo studio è rivolto alla “narrazione” (ιστοριν greca o historia latina).
Ma nel corso del Settecento vi è un mutamento delle res gestae in storia, ossia gli avvenimenti umani sono concatenati causalmente: è la nascita della storiografia moderna. Il mutamento si avverte nella parola Geschichte (derivante dal verbo “accadere” e dal sostantivo “accadimento”). Prima designa come suo oggetto di indagine le imprese umane poi all’intero rifermento di un singolare collettivo, rivolgendosi ala totalità delle vicende del genere umano.
La storia si pone come l’analisi della diversità dei costumi, degli eterogenei sviluppi dell’istituzioni, della distanza culturale esistente fra le diverse comunità. Si impone pertanto lo studio dell’evoluzione dei popoli con impressa una nuova vitalità, allargando il discorso a studi di processi naturali e di sviluppo storici:
- Storia ha le stesse leggi della realtà fisica: deriva settecentesca
- Storia come sviluppo cosmologico: deriva romantica
- Storia eterogenea al processo naturale: deriva storicista
Nella storia antica sono molte le manifestazioni di cogliere un’interpretazione della storia come “storia universale”, già Tucidide avvia la storiografia greca verso lo studio di battaglie e vicende politiche, invece, l’epoca ellenistica allarga gli studi anche verso l’analisi dei popoli orientali. La conquista di Alessandro è fondamentale poiché non solo diede sviluppo alla storia celebrativa ma interessò un ampliamento degli studi proprio sulle popolazioni universali.
Polibio pose Roma come processo di culmine storico di successioni di imperi, formulando fra i primi una definizione di un processo di “storia universale”, cioè, primo tentativo di una storia di in oecumene (mondo abitato). La storia è concepita come un tutto organico, un corpo solo, dove gli eventi non sono più dispersi. Le diverse successioni sono inestricabilmente intrecciate in una sola direzione e meta. L’eocumene ridotto nella sua unità all’asse mediterraneo è contraddistinta da processi ciclici di formazioni statali in cui Roma si consolida non solo militarmente ma soprattutto per il suo primato costituzionale, cioè, un apparato “misto” (fra consoli, senato e popolo); riuscendo anche a prevalere su Cartagine.
L’universalità di Polibio, come quella cristiana e ebrea, è limitata all’ambito antropologico europea; invece il nuovo impulso di indagine settecentesco non ha confini sociali, antropologici o geografici. L’Europa ora è solo un punto, anche se notevole, della direzione dell’incilimento (gli esempi sono Cristoff Keller, George Sale).
- Johann Cristoph Gatterer: delinea un programma di storia universale: ha il compito di delineare le “rivoluzioni” per poi ricondurle all’universalità
- August Ludwig von Schloezer: ricerca del fondamento delle rivoluzioni del genere umano
La rivoluzione di pensiero inerente allo studio della storia universale comporta a identificare la storia come un processo contraddistinto da una sua unità (le single componenti hanno uno spirito peculiare, caratteristico, sviluppante costumi eterogenei: però si sviluppano tutti all’interno di un “teatro” universale):
- Spirito delle leggi: comparazione di strutture politiche, credenze, modi di vita
- Voltaire: studio del costume degli uomini
- Herder: studio delle individualità dei popoli
Tutto ciò comporta la maturazione della filosofia della storia tramite applicazioni innovative, ma vi è stato un inizio grazie al pensiero mitico. Gli esempi sono svariati, dalla Genesi biblica, alle cosmogonie del Vicino Oriente fino a Gilgamesh. Peculiare è l’approdo mitico greco, con il mito di Prometeo; ad esempio la teogonia di Esiodo ha uno sfondo antropologico e religioso.
Le direttive però dello studio della storia, soprattutto in ambito antico, sono di identificare il percorso storico sia come un ciclo che come una freccia:
- Il modello ciclico è un ripetersi delle vicende umane: comporta un’assimilazione fra le vicende naturali e umane
- Il modello della freccia è un processo lineare di successione di eventi
Fra le due visioni non c’è una frattura netta ma piuttosto si compenetrano vicendevolmente in alcuni casi. Anche se la concezione culturale greca è assai più prossima alla dimensione ciclica (notevole è la speculazione stoica di una futura deflagrazione universale in un circolo cosmologico), elaborò teorie di processualità lineari (come la visione di decadenza di Esiodo oppure di civilizzazione lucreziana).
L’età moderna affermò un modello lineare nel processo storico inteso in termini di avanzamento culturale e di progresso, ma non vi fu un abbandono completo del modello ciclico (come i moti di rivoluzione del sole e degli astri).
La visione moderna della processualità della storia è influenzata altamente dai modelli ciclici (famosi sono i “corsi” e i “ricorsi” storici vichiani; si aggiungono anche la “corrente mediterranea” e la “corrente settentrionale”) ma l’elaborazione lineare si è imposta grossomodo in un processo storico di sviluppo progressivo, costituito da un accrescimento o regressione in civilizzatrice.
Alle formulazioni di una fantomatica “età dell’oro” (i cui esponenti antichi sono Esiodo e Platone) si contrappongono visione di sviluppo progressivo come la visione baconiana (avanzare dell’apprendimento come perfezionamento morale e naturale). Il tempo viene “umanizzato” ossia il modello storico si associa all’evoluzione del singolo uomo, in cui i tempi dell’antichità sono associati al tempo dell’infanzia dell’uomo fino alla senilità considerata sua piena maturazione. Il tempo è fattore di progresso in cui i moderni sono “i nani sulle spalle dei giganti” antichi. Il futura è aperto al progresso incessante.
La visione hegeliana pone i vari popoli come momenti del processo di realizzazione dello “spirito del mondo”, in continuo cammino verso la libertà. La direzione dello “spirito del mondo” procede da Oriente fino ad Occidente come suo momento più florido e di massima espressione culturale.
L’analogia però del parallelo della visione di sviluppo organico del singolo con la visione progressista della storia si incrocia anche con la visione della decadenza, dove il momento di decadimento massimo dell’individuo viene associato al tramonto di un popolo. Ciò fu colto da Vico e Montesquieu.
Il modello del decadimento e del regresso viene ampliato sulla sfera della generazione dato che i cicli di ringiovanimento dell’umanità è un alternarsi ciclico di progresso e decadenza di popoli.
Il compito principale è quello di identificare un “senso” nella storia, un filo conduttore:
- Una prima soluzione è di considerare i corso dell’essere umano parte integrante del corso della natura (l’essere umano simile ad altri esseri viventi): secondo Spencer c’è similitudine fra le leggi naturali e le leggi sociali (differenziazione sempre più eterogenea)
- Una seconda soluzione è la differenza storia e natura in cui il significato è immanente alla storia (miglioramento delle condizioni di vita come progresso) oppure è esterno ad esso (disegno complessivo stabilito da un’entità superiore come piano provvidenziale).
- Visione storica-religiosa si rifonda sullo stabilirsi di un’entità superiore come guida del processo storico intendendo la storia come l’agire divino all’interno del teatro reale. È il Cristianesimo a fondare una visione della storia teleologica in una modalità di redenzione (è la civitas terrena e la Civitas Dei); la contrapposizione delle due visioni è in cui la storia sacra fonda la spiegazione di quella profana, e la storia profana è dileggiata dalla presenza di un piano provvidenzialistico; invece l’integrazione dei due piani permette di considerare i vari momenti del reale connessi al piano provvidenzialistico (storia dell’umanità di Herder e la storia dell’umanità di Hegel): è il coincidere della provvidenza con il progresso
La concezione moderna di un processo storico diretto verso la civilizzazione con momenti anche di decadenza spazza via la concezione dell’inserimento di una storia sacra. Il novecento però si presenta come il secolo che ha messo in crisi l’interpretazione di un senso della storia pertanto la storia è il senso dell’agire umano.
Capitolo secondo
Dalla storiografia al sapere storico
La storiografia si incontra con la filosofia quando vi è l’introduzione del concetto di “storia universale”, ma affonda le sue origini già nel V secolo. Nel corso del tempo però subisce una svalutazione: emblematico è il caso di Aristotele, ove la storia è impossibilitata nella ricerca di una ricerca universale, pertanto il suo dominio è accidentale.
La sua nascita è da attribuire alla necessità di preservare il passato e le sue testimonianze (la pratica degli “annali” è frequente in molte civiltà), ma in Grecia assume una connotazione critica, distinguendosi dal’annalistica. Il suo obiettivo è di indagare le “cause” del fatto storico, tali cause sono da ricondurre agli stessi accadimenti umani. Ha una duplice caratteristica:
- Narra avvenimenti quasi coevi
- Esula dal contesto micrologico per rivolgersi al macrologico
È intesa nei termini di un autopsia, tramite una certificazione di testimonianza, assurgendo al livello di una narrazione vera. La fonte primaria per Erodoto è addirittura la testimonianza orale. La storiografia è indagine volta all’acquisizione e la controllo della veridicità della testimonianza. Il suo compito è accertare la verità confrontando le diverse versioni inerente ad un accadimento.
Tucidide ereditò da Erodoto la speculazione inerente ad un evento epocale del proprio tempo, cioè la guerra, e la ricerca delle sue cause immediate e delle sue responsabilità; pertanto si connota come storiografia politico-militare.
Polibio si richiamerà al modello tucidideo, aggiungendovi un tono esplicativo inerente alla “storia universale”. Il modello tucidideo è quello di esulare la contemporaneità degli eventi da una possibile interpretazione mitica e discostandosi anche dall’antiquaria.
Antiquaria si pone come compito lo studio del passato più lontano, sviluppandosi a Roma con le Origines di Catone e le Antiquiates di Varrone. È studio delle “origini” di una singola città avvalendosi di documenti d’archivio.
La differenza topica è che l’antiquaria è legata all’erudizione, la storiografia no.
Il loro incontro sarà facilitato dalla cultura umanistica. Quindi la storiografia lascerà l’ambito della contemporaneità degli eventi.
Cicerone nel De Oratore celebra la storia come testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis, opus oratorium maxime.
La ricerca storiografica si intende come testimonianza illuminata dalla verità della ricerca dello storico, pertanto non solo delle valenze conoscitive, rammemorative, di verità ma soprattutto di ordine pedagogico-morale; l’insegnamento del passato è insegnamento. Polibio rincasa la dose “la più autentica educazione e il più autentico addestramento all’azione politica è l’approfondimento tratto dalla storia”. È un indiscusso legame politico e storico in base a un principio utilitaristico. La storia spiega il passaggio delle varie forme di governo ma soprattutto la superiorità della costituzione “mista” di Roma. Il compito della storiografia intesa come esame di cause del progresso e regresso delle società ha una valenza politica come viatico per adottare migliori forme di governo.
Con Plutarco e Svetonio (la serie di biografie sugli uomini illustri) la storiografia acquisisce un valore prettamente etico, sull’esempi da adottare o rigettare. L’opera di Tacito è esemplare, il quale ci offre nei protagonisti presentati il decadimento morale che li contraddistingue. Il giudizio morale assurge a livello di interpretazione insito nella ricerca storica. L’insegnamento morale recupera quell’universalità, la cui mancanza è stata posta come limite conoscitivo da Aristotele. I valori emersi sono la laboriosità dell’agricoltore, l’onesta nei commerci, il valore militare e l’intelligenza strategica.
La storiografia cristiana stravolge i valori decantati e rivaluta il sacrificio, l’esaltazione ascetica, la povertà, l’umiltà: la garanzia di questi valori ha un etica pedagogica anche per un futuro nell’aldilà non solo nell’aldiquà. L’azione storiografica però è condotta dalla Chiesa.
Nell’epoca rinascimentale sono i valori della “golpe” e del “lione” ad essere decantati per reggere il controllo politico delle varie città: gli studi sulla Prima Deca di Tito Livio e il Principe sono finalizzati nell’asserzione del rapporto fra storia e politica e dello studio della storia come condizione sine quo per l’azione nel presente.
All’estero con l’opera di Jean Bodin Methodus ad facilem historiarum cognitionem la legge è interpretata in base al comportamento degli uomini; la storia qui ha un’utilità politica, ove la ragion di stato si mescola allo studio del passato.
Nel tempo l’incontra fra storiografia e antiquaria si era però già presentato in epoca antica con Polibio e Livio, ma il vero recupero si ha grazie all’opera filologica umanistica (si ricordano Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio braccio lini, Lorenzo Valla, Angelo Poliziano, Erasmo da Rotterdam). La storiografia ha il compito di ristabilire le verità abbinando la verità testuale a quella fattuale.
Il lavoro antiquario si amplifica all’interno della contrapposizione religiosa fra il protestantesimo e il cattolicesimo ai fini del diramare quella matassa sollevata dalla filologia umanistica e sondare i documenti dei secoli passati. È un lavoro di erudizione abbinatosi all’interesse religioso.
Lo studio dei primordi della civiltà dissolse la convenzione comune di identificare l’inizio dell’umanità nel 4000 a.C. grazie allo studio della civiltà e della religione egizia, tale interpretazione si inserisce nel filone di critica dell’autenticità della rivelazione ebraica. Si pone fine pertanto all’imperscrutabilità della fede, i libri sacri sono fonti filologiche di studio di interpretazione.
La critica moderna si interessa dell’antichità romana e dell’origine delle monarchie nazionale manche rivolta allo studio di altre culture: è la tendenza a considerare la storiografia una disciplina scientifica con un proprio apparato metodologico.
Le scienze naturali dilagano per la messa scientifica del proprio metodo, imponendosi per l’estrema chiarezza gnoseologica e metodologica.
Cartesio nelle Reguale ad directionem ingenii aveva sottolineato l’estraneita della storia da fondatezza scientifica, poiché è soggetta ad opinione. La storia ha solo una dimensione morale, paradigmatica o temporanea.
La probabilità pertanto è il problema gnoseologico moderno inerente alla storia.
Antoine Arnauld, uno degli esponenti del pensiero giansenistico sostiene dei gradi di certezza, però non come i caratteri matematici. Pierre Gassendi distingue fra verità e certezza (la prima è un’adesione conformante alla “cosa”). Viene pertanto introdotta la categoria della verisimiglianza. La triplice suddivisione della certezza operata da Arnauld, riconoscente tre generi: uno intuitivo, due l’autorità, tre la sproporzione fra intelletto e oggetto. La storia rientra nel secondo genere come certezza morale.
Importante è il filone del “pirronismo” storico: vi è il ricorso al dubbio metodico come critica di tradizione sia sacra che profana.
Sia Pascal, che Malebranche, e perfino Bossuet difesa la storia sacra a dispetto del pirronismo storico, legandosi al concetto della verosimiglianza. Il pirronismo invece metta in questione l’attendibilità dei “fatti” della storia e la sua validità gnoseologica. La “tradizione” teologica viene accantonata da Pierre Bayle: l’autorità della tradizione non ha una valenza scientifica. La ricerca storica si avvale di un procedimento dimostrativo di testimonianze e verifica dell’attendibilità, ma non possiede il procedimento scientifico matematico. La sua attendibilità è verosimile, qui è la messa in piega del dubbio metodico del dubbio. La conoscenza epistemologica inerente alla storia è la probabilità e la verosimiglianza.
D’Alambert asserisce: “la storia, si riferisce alla memoria; la filosofia è il frutto della ragione; le belle arti sorgono dall’immaginazione”
La storia pertanto è prodotto della memoria, attestandosi come conservazione ma anche come trasmissione degli accadimenti. Con una successiva rielaborazione D’Alambert divide le discipline in base alla storia (in quanto arti liberali, meccaniche, scientifiche). La storia entra a far parte dell’enciclopedia dei saperi.
Il Sei e Settecento convalidano la professionalizzazione della ricerca storica, indirizzandosi ad una propria scientificità. Gottigen fu sede di una scuola di immenso rilievo per la diffusione delle scienze storiche. La storia qui ha un approccio non soltanto ridotto ad una singola realtà storica ma è inserita in uno studio anche di società europee. È il sorgere di nuovi campi di studio dall’arte, alla religione, al diritto, alla mitologia. L’eredità della riforma però concentra gli studi sull’esplorazione storica del Cristianesimo e dall’altro punto di vista la ricerca si concentra sugli studi dello stato assoluto.
La scuola di Gottigen rivendica l’autonomia scientifica dello studio storico (sintomatico è lo scritto di Chladenius Allgemeine Geschichtwissenschaft, ponente la rilevanza della storia di connessione fra avvenimenti e accadimenti culturali).
Da qui la rivendicazione si estende all’Ottocento ove la storia ha una valenza di fondazione di tutte le scienze del mondo “l’uomo, la società e lo stato”; esaltando il principio dell’individualità dell’evento storico e senza formulare leggi universali. Il dominio gnoseologico è quello della qualità e della particolarità, considerante la distinzione fra spiegazione comprensione.
Droysen esplicita la corrispondenza del metodo storico e la struttura dell’oggetto: il sapere storico muove da manifestazioni sensibili “esterne” per risalire all’interiorità del soggetto che agisce storicamente, stabilendo difatti una coincidenza fra soggetto e oggetto del sapere