In sostanza il dissimular è una professione della qual non si può far professione, se non nella scola del proprio pensiero. Se alcuno portasse la
maschera ogni giorno, sarebbe
più noto di ogni altro,
ma degli eccellenti dissimulatori, che
sono stati e so
no, non si ha
notizia al
cuna.
Della dissimulazione onesta il libello pubblicato da Torquato Accetto (segretario dei Carafa di Andria e membro all’Accademia degli Oziosi a Napoli), è animato da un velo “ombroso”, tragico mostrando le ipocrisie della realtà vivente in quanto mondo “tutto ammascherato” e “teatro nel teatro” di individui paragonati a delle volpi ingannatrici. Accetto ebbe piena consapevolezza del destino di impotenza dell’intellettuale seicentesco (si ricordi l’assonanza di comportamento di Galileo Galilei, sostenente la tesi copernicana come un “capriccio matematico” nella “commedia filosofica” del Dialogo sopra i due massimi sistemi), difatti, il suo trattatello è una parola soffiata, non detta, quasi simile a un cenno comunicativo nel silenzio. Il gesto di intesa viene ben illustrato dalla statua di Arpocrate, considerato come simbolo della discrezione in ambito politico-sociale.
Il grido sottaciuto di Accetto è il capovolgimento dell’intendere la dissimulazione come ars regnandi o pratica ideale della “Ragion di Stato”, anche lo stesso Botero affermò << dissimulare è un mostrare di non sapere o di non curare quello che tu stimi; simulare è un fingere e fare una cosa per un’altra >>. La dissimulazione di Accetto respinge la visione machiavellica “della golpe e del lione” (tipica del principe in quanto pratica di conservazione del potere), ma la radicalizza imponendosi la maschera della dissimulazione come onesta in un modo dove gli uomini sono mentitori, “homines vero omnes mendaces”. Ad esempio lo storico Paolo Sarpi, in pieno clima controriformistico, afferma che: << Io porto una maschera, e sono contento di portarla, perché senza di essa nessuno può vivere sicuro in Italia >>.
Prediligere l’ombra significa aspirazione di un “dolce silenzio”, ricerca di una solitudine soave poiché la dissimulazione occulta il “regno del petto”. Non solo la segreteria è esercizio di dissimulazione, ma lo diviene anche la poesia e il libello stesso. La dissimulazione classica è adoperata dall’astuto Ulisse in modo da celare la sua presenza del ritorno ad Itaca e solo la nutrice, lavandogli il piede lo riconosce in quanto la cicatrice è un nascosto segno rivelatore. Il testo di Accetto è esangue, pieno di cicatrici e la sua penna incide, taglia ricorrendo all’ emendatio, cioè il detrahere le parole, concepito più consono di adicere. Il linguaggio diviene oracolare, il testo è pieno di abscissiones, cioè elimina delle sezioni di citazioni, le quali devono essere ricostruite a ritroso dal lettore aruspice. Il lettore fa ricorso a pratiche divinatorie per cogliere il significato delle “ferite” del testo. Il testo è dissimulazione crittografica.
L’ombra dissimulatoria è “adombramento della verità”, è ambigua in quanto intermedia fra l’oscurità delle tenebre (richiamo di morte) e la luce (aspirazione all’eterno). Accetto è in consonanza con Giordano Bruno, accettando la condizione ontologico dell’uomo come “umbratile”. L’ombra è un protendersi verso la verità. Tutta la storia viene concepita sub specie dissimulationis, ove solo l’ultimo giorno svelerà la pratica dissimulatoria come inutile. L’epifania apocalittica del “deus absconditus” neutralizzerà il mondo delle volpi.
La dissimulazione è la compiuta irriducibilità del singolo come pratica indisciplinata dell’Io, infatti, il trattatello proponendo una visione stoico-cristiana impone sul versante politico la ricerca di un spazio all’individualità, ormai insopprimibile dalla repressione politica, poiché è velato, celato e non codificabile. L’influenza dell’Accademia degli Oziosi sul napoletano repubblicanesimo antispagnolo è risaputa. L’invertibilità del singolo sovverte velatamente l’ordine politico vigente.
Poiché << la dissimulazione è una industria di non fare veder le cose come sono. Si simula quello che non è, si dissimula quello ch’è >>, l’autore omaggia la dissimulazione ambiguamente, spiegando occultamente il “calligramma” preso in esame:
Vorrei che mi fosse permesso di manifestare tutto l’obligo che ho a’ benefici che mi hai fatti; ma invece
di renderti grazie, offen
derei le tue leggi non
dissimulando quan
to per ragione ho
dissimulato.