2° Parte Corso di Storia della Filosofia Morale (Papparo): Rousseau Giudice di Jean-Jacques

 

Indice

2° Parte: Rousseau Giudice di Jean-Jacques
1° Lezione: Lo “Sguardo”
L’affermazione dell’Io e la nascita del racconto di sé in J. J. Rousseau
2° Lezione: La paranoia degli Sguardi: sentirsi barbaro nella società
Excursus Freud
3° Lezione: Come faccio ad autodifendermi?
4° Lezione: Amor di Sé e Amor Proprio
5° Lezione: I vestiti e l’ansia di prestazione nella società
6° Lezione:

2° Parte: Rousseau Giudice di Jean-Jacques

1° Lezione: Lo “Sguardo”

L’affermazione dell’Io e la nascita del racconto di sé in J. J. Rousseau

Jean-Jacques Rousseau (Ginevra, 28 giugno 1712 – Ermenonville, 2 luglio 1778) è considerato uno dei padri della modernità: è con lui che nacque la concezione romantica della letteratura come espressione di un’individualità e come produzione artistica originale. Il primo libro delle Confessioni, nota sua autobiografia, si apre proprio dichiarando queste parole:
Mi inoltro in un’impresa senza precedenti, l’esecuzione della quale non troverà imitatori. Intendo mostrare ai miei simili un uomo in tutta la verità della sua natura; e quest’uomo sarò io. Io solo. Sento il mio cuore e conosco gli uomini. Non sono fatto come nessuno di quanti ho incontrati; oso credere di non essere fatto come nessuno di quanti esistono.

Assoluta originalità dell’impresa, il soggetto al centro della narrazione, l’Io come entità unica e inimitabile: questi sono i presupposti della grande letteratura romantica inaugurata dallo scrittore francese. Ma per inoltrarsi nella lettura di questo capolavoro è utile conoscere preventivamente chi era Jean-Jacques Rousseau e cosa significava pubblicare la propria autobiografia nel 1782.

Rousseau ebbe un’infanzia piuttosto tormentata e un’adolescenza piena di avventure, a volte anche piuttosto picaresche. Dato che sua madre morì durante il parto, il giovane Jean-Jacques crebbe con un padre molto assente e poco paterno. Ben presto lasciò la casa familiare e tentò di fare fortuna come musicista, pur non essendo veramente esperto nel mestiere; in seguito visse svariati anni presso Madame de Warens, una donna abbastanza facoltosa che lo accolse per convertirlo alla fede cattolica e con la quale egli ebbe una relazione ambigua ma felice. Fu soltanto nel 1750, cioè quando Rousseau aveva ormai 38 anni, che debuttò come scrittore vincendo il premio per un concorso indetto dall’Accademia di Digione con il suo Discorso sulle scienze e le arti.

In questo trattato, come in quelli che seguiranno, lo scrittore ginevrino trattava un argomento che gli rimarrà caro durante tutto il corso della vita e per la quale ebbe molta fama: ossia declamava, in netto contrasto con la visione positivista dell’epoca dei Lumi, che il progresso, la scienza e la civiltà non avevano fatto che corrompere l’uomo e allontanarlo sempre più dallo “stato di natura” che, nella visione rousseauiana, corrispondeva ad uno stato di assoluta felicità, lontano dal progresso moderno (soprattutto dall’invenzione del denaro).
Lo scandalo di queste affermazioni lo rese ben noto e avversato da molti suoi contemporanei – Voltaire disse che il suo testo faceva venire la tentazione di mettersi a quattro zampe – ma in realtà con la propria filosofia Rousseau intendeva criticare la società dei salotti parigina, basata su convenzioni e codici che permettevano di salvaguardare la propria immagine pubblica, conducendo allo stesso tempo vite estremamente dissolute. Egli auspicava il ritorno dell’uomo a una trasparenza maggiore, a una vita più libera dalle convenzioni sociali e più in contatto diretto con la natura e con i sentimenti genuini.
Le Confessioni furono redatte e pubblicate quando lo scrittore aveva già raggiunto un’ampissima notorietà grazie ai propri libri, ma anche in un momento in cui egli aveva già preso la decisione di allontanarsi dai circoli letterari e sentiva l’esigenza del racconto di sé per ritrovare quel posto nella società che egli sentiva gli uomini gli avevano negato. Per capire cosa comporti questo evento, bisogna tenere conto del fatto che allora non era comune come oggi che uno scrittore pubblicasse il resoconto della propria vita. Con il titolo dell’opera Rousseau si rifaceva a un modello insigne, le Confessioni di Sant’Agostino, edite intorno al 400, un testo religioso nella quale il santo raccontava la propria conversione al cattolicesimo e riviveva le fasi iniziali della propria esistenza nel segno di una coscienza illuminata dalla verità.
J. J. Rousseau

Il genere autobiografico in seguito si era sviluppato maggiormente in due filoni: da una parte vi era appunto la confessione religiosa, che ebbe credito tanto in ambito cristiano che protestante, dall’altra vi erano alcuni personaggi pubblici che raccontavano la propria vita con un intento didattico, ma anche di autocelebrazione. Rousseau fu il primo nella propria opera a dare uno spazio così importante al racconto dell’infanzia, allo sviluppo della propria individualità, a sottolineare alcuni eventi marcanti della propria esistenza come tappe fondamentali di un processo formativo. Soprattutto era il primo a dichiarare di voler esprimere se stesso nella propria totalità, senza omettere alcun particolare della propria esistenza e mettersi completamente a nudo di fronte al lettore.
Oggi sappiamo che tale operazione non è possibile, non solo perché c’è sempre una certa dose di menzogna nel racconto di sé, ma anche perché la memoria stessa, come hanno dimostrato le teorie freudiane, rimuove alcuni eventi che non considera importanti o che semplicemente non vuole ricordare! Nondimeno, Rousseau tentò di mettere l’accento proprio su tutti quei dettagli della nostra esistenza che sono precari, insicuri, difficili da dire persino a noi stessi e che egli decise di confessare, non di fronte a Dio, ma in un mondo ormai laico, di fronte all’umanità intera.

Come si scontrarono Voltaire e Rousseau?
Voltaire collaborò all’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert, alla quale partecipavano anche d’Holbach e Jean-Jacques Rousseau. Dopo un buon inizio, e un parziale apprezzamento dei philosophes per le sue prime opere, quest’ultimo si distaccò presto, per le sue idee radicali in politica e sentimentali sulla religione[76][77], dal riformismo e dal razionalismo degli enciclopedisti; inoltre Rousseau non accettava le critiche alla sua città fatte da d’Alembert e Voltaire stesso nell’articolo “Ginevra”, che avrebbe scatenato nuovamente le autorità svizzere contro i due filosofi.[78] Voltaire cominciò a considerare Rousseau come un nemico del movimento, oltre che una persona incompatibile col proprio carattere (a causa della paranoia e gli sbalzi d’umore dell’autore del Contratto sociale) e, pertanto, da screditare con i suoi scritti come veniva fatto con gli anti-illuministi espliciti. In una lettera a un componente del Piccolo Consiglio di Ginevra, contraddirebbe le sue affermazioni tolleranti e assai più note, quando inviterebbe i governanti di Ginevra affinché condannino a morte Rousseau.[79]

In realtà Voltaire rispose ad alcuni attacchi diretti proprio da Rousseau (notoriamente litigioso e che lo riteneva reo di non averlo difeso dalla censura), e che istigava i ginevrini, nella Lettere scritte dalla montagna, dopo aver affermato che Voltaire era l’autore del Sermone dei cinquanta (una scandalosa opera anonima che denunciava la falsità storica del Vangelo), di colpirlo direttamente se volevano “castigare gli empi”, anziché perseguire lui stesso. Voltaire dal canto suo si vendicò allora con la lettera in cui affermava che il vero “blasfemo sedizioso” era Rousseau e non lui, invitando ad agire con «tutta la severità della legge», cioè bandirne le opere “sovversive”, senza tuttavia affermare esplicitamente di condannare il collega alla pena capitale.[79]

Nel pamphlet I sentimenti dei cittadini Voltaire, mettendola in bocca a un pastore calvinista, scrive una delle frasi “incriminate”(«occorre insegnargli che se si punisce leggermente un romanziere empio, si punisce con la morte un vile sedizioso») e afferma che «si ha pietà di un folle; ma quando la demenza diventa furore, lo si lega. La tolleranza, che è una virtù, sarebbe in quel caso un vizio».[79][80][81]. Vi rivela, poi, alcuni fatti disdicevoli della vita di Rousseau, come la povertà in cui faceva vivere la moglie, i cinque figli lasciati all’orfanotrofio e una malattia venerea di cui soffriva.[82] In una lettera privata del 1766 al segretario di Stato di Ginevra, Voltaire però negò che lui fosse l’autore de I sentimenti dei cittadini: «Non sono per nulla amico del signor Rousseau, dico ad alta voce ciò che penso di buono e di cattivo delle sue opere; ma, avessi fatto il torto più piccolo alla sua persona, fossi servito a opprimere un uomo di lettere, me ne sentirei troppo colpevole».[79]

Per questo dissidio umano e intellettuale sono interessanti anche le lettere scambiate direttamente tra due filosofi: in una missiva sul Discorso sull’origine della diseguaglianza di Rousseau, in polemica col primitivismo del ginevrino, Voltaire gli scrisse che «leggendo la vostra opera viene voglia di camminare a quattro zampe. Tuttavia, avendo perso quest’abitudine da più di sessant’anni, mi è purtroppo impossibile riprenderla».[83] Dal canto suo, sentimenti contrastanti erano in Rousseau (nel 1770 sottoscrisse una petizione per innalzare a Voltaire un monumento).

« Io non vi voglio affatto bene Signore; voi mi avete fatto i mali di cui potevo patire di più, a me, vostro discepolo e vostro fanatico partigiano. Avete rovinato Ginevra come prezzo dell’asilo che vi avete ricevuto; (…) siete voi che mi farete morire in terra straniera (…) Vi odio, insomma, perché l’avete voluto; ma vi odio da uomo anche più degno di amarvi se voi l’aveste voluto. Di tutti i sentimenti di cui il mio cuore era compenetrato, vi resta solo l’ammirazione che non si può rifiutare per il vostro bel genio e l’amore per i vostri scritti. »
(Rousseau a Voltaire, 17 giugno 1760[84])
Fra il 1765 e il 1770 Rousseau scrisse le Confessioni .
Uno dei motivi per cui scriveva Rousseau era l’accusa di Voltaire, nel pamplhet anonimo I sentimenti dei cittadini, rivolta a Rousseau di aver abbandonato i suoi 5 figli dopo aver scritto l’Emilio .
Rousseau esprime tutta la difficoltà di relazione con l’altro e per l’altro. Difatti continui erano i fraintendimenti con l’altro. Dall’accusa di Voltaire e dalla vicenda dei 5 figli si può evidentemente mostrare un contrasto fra vita e opera.
Da una parte la valorizzazione e la difesa del bambino nell’Emilio, dall’altra parte l’abbandono dei 5 figli all’orfanotrofio. Tutto ciò mostra come la vita e l’opera di Rousseau siano semanticamente un “essere in contrasto” o un essere incoerenti. Tutto ciò sembra dimostrare l’impossibilità di “apparire” nella vita (e soprattutto nella società), così come si è sé nelle opere (ma soprattutto nella vita).
Rousseau cerca di ricostruire il suo vero “Io” nelle opere, perché non è stato in grado in vita o perché non è stato compreso a sufficienza dagli altri. Rousseau, distaccandosi e isolandosi dagli altri, cerca proprio tramite le sue opere di essere accettato dallo sguardo degli altri. L’essere accettati dagli altri è la finalità dei suoi scritti.
Si evidenzia una tensione evidente fra Verità e Menzogna in Rousseau. Difatti il progetto delle confessioni inizia dicendo:
<<sarò veritiero senza riserve, dirò tutto>>
<<dirò tutto senza riserve sia il bene che il male>>
Questo progetto fu tentato anche da un altro importantissimo intellettuale: Montaigne. Ricostruiamo il loro rapporto da “Montaigne” scritto da Nicola Panichi per il Corriere della Sera:
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) possedeva i Saggi nell’edizione Coste (1724). Insieme a Plutarco, Rousseau non li abbandonava mai. Nell’Emilio Rousseau definiva Plutarco come il “mio uomo”. Era la stessa apostrofe che utilizzava per Montaigne.
Rousseau accomunandoli coglie in entrambi l’attenzione per l’individuo, la singolarità come espressione dell’umana condizione, dell’universale. Ossia analizzando il “proprio Io” si può analizzare l’ “uomo”.
I precedetti pedagogici dell’Emilio e della Nuova Eloisa sono stagliati sulle riflessioni montaignane. Ma l’aspirazione di Rousseau è andare oltre Montaigne.
Nelle Confessioni Rousseau inasprisce i toni critici classificandolo tra quei “falsi sinceri” che vogliono ingannare dicendo il vero: Montaigne si dichiara pieno di difetti ma indicherebbe solo i piacevoli. La sua pittura sarebbe di profilo. Insomma Montaigne ha scoperto l’importanza di un’introspezione per sondare l’uomo, ma non è andato fino in fondo per Rousseau.
Rousseau, negli scritti autobiografici, la passione montaignana della conoscenza del soggetto si impone con forza e nelle Fantasticherie ritorna a confessare l’affinità del suo progetto, ma con uno scopo contrario: dipingersi per sé e non per gli altri. Però anche Montaigne, nella sua Lettera al Lettore, si era espresso negli stessi termini
Nella 4° passeggiata Rousseau ammetterò di essersi dipinto anche lui di profilo senza il coinvolgimento della volontà. Odi et amo.
Insomma torniamo a noi. In Rousseau c’è il sentimento di colpa, un sentire l’ “Incoerenza con sé”. Montaigne, invece, aveva data un’immagine di sé un po’ più “dolce” di sé e meno cruenta. Rousseau giunge persino al “Ritratto dentro di me” o “Ritratto di sé”. Questo ritratto era stato scardinato da Voltaire e da tutti i suoi fantomatici accusatori.
Rousseau era affetto da un delirio di persecuzione, mettendo in evidenza e in modo oggettivo una situazione paranoica .
Quindi Rousseau si chiedeva: “Ma allora chi sono io?”.
Noi ci chiediamo, insieme a Rousseau:“Come coesistono L’Io (come educatore dell’Emilio) e l’altro Io (quello che ha abbandonato i figli).
Ma allora è possibile applicare, in Rousseau, il famoso verso di Decimo Giunio Giovenale (60 circa – 140 circa) (poeta e oratore romano), Spendere la vita per la verità (Vitam impendere vero)?
Le Confessioni sono lo scritto e la voce di Rousseau.
Nei Dialoghi la voce di Rousseau è spezzata in due. Qui compare addirittura un “Francese”, un altro Io interlocutore.
Ricordiamo un altro motivo di querelle con gli illuministi: la famosa Lettera a D’Alambert sugli spettacoli. Questa era una famosa reazione rabbiosa di Rousseau contro D’Alambert. D’Alambert voleva importare il teatro e l’illuminismo nei salotti ginevrini. Invece Rousseau voleva allontanare questo pericolo di “corruzione”, lodando le tradizioni ginevrine.
Rousseau ruppe con gli illuministi. Ma in seguito Rousseau sarà scacciato anche dalle autorità di Ginevra.
Le Confessioni e i Dialoghi (Rousseau Giudice di J-J) sono differenti:
Nelle Confessioni l’Io di Rousseau è uno solo. Mostra tutte le sue debolezze ed ha solo una tendenza a scindersi in due personalità. Però rimane connessa la linea di continuità nel testo e vi è una ripresa minima dell’unità dell’Io;
Nei Dialoghi l’Io di Rousseau è scomposto in tre personalità (il giudice, l’accusato, l’accusatore = Rousseau, Jean-Jacques, il Francese). Questo metodo di scomposizione ha come finalità la “ricomposizione” dell’Io o del Sé;
Rousseau afferma nelle Confessioni : << Dirò tutto senza riserve, mi adeguerò alle Confessioni >>. Rousseau vuole squadernare tutte le pieghe della propria anima. Il racconto autobiografico è un discrimine filosofico, dato dallo scritto, che ricerca uno stato d’animo in modo da ricomporre tutta la sua vita.
Rousseau stabilisce un “patto con il lettore”, dicendo: << Non voglio ingannarti>>. Difatti Rousseau richiede fiducia al lettore (“dirò tutto della mia esistenza”), offrendo al lettore “tutto me stesso”, ovvero, tutti i propri lati oscuri.
Quindi la dimensione fondativa, nella scena letteraria di Rousseau, è il pubblico stesso, è un lettore rispetto ad un altro (in questo caso Rousseau) che accoglie il giudizio dell’altro (in questo caso Rousseau) oppure rifiuta il giudizio dell’altro (in questo caso il lettore accetta il giudizio di un altro che non è Rousseau). Quindi la finalità dei Dialoghi di Rousseau è il riconoscimento degli altri e dei propri lettori.
Secondo Rousseau, Montaigne ha nascosto parte della sua vita. Invece Rousseau si presenta come più vitale e più diretto nel modo in cui presenta la propria autobiografia. Ricordiamoci l’accusa di “falso sincero” a Montaigne. Rousseau cerca di mettere in evidenza un “sentimento dell’esistenza”: è un caos, è un bisogno, è un cercare di sbrogliare l’intera matassa del proprio vissuto e del proprio Io, gettando l’occhio sull’Uomo.
Rousseau vorrebbe “dare il chiaro e l’oscuro, il visibile e l’invisibile”. Rousseau mette in atto la “ri-trascrizione” di un vissuto di quel vissuto, rimesso in circolazione tramite la scrittura.
Il problema di questo metodo, adottato da Rousseau, è una vigilanza forte in modo da non nascondere se stesso. Questo è il senso dell’accusa a Montaigne: Montaigne si era nascosto, secondo Rousseau. Il problema di Rousseau è riassumibile in questa frase: << Ho necessità di ricostruire la mia identità e di farlo non celando il mio sentimento di vergogna >>.
Il leitmotiv di Rousseau è: << Io sono a disposizione dell’altro! >>. Esporsi, per Rousseau, è un motivo per cui l’altro (uomo, lettore, società ecc.) non avrà necessità di smascherarmi e di contrastarmi.
Quindi i Dialoghi e Le Confesioni sono una messa in atto di un cosmo sentito come riconoscimento da parte dell’altro. O meglio questa è l’intenzione. È quasi un bisogno di ricompattarsi.
Rousseau si “auto-accusa” e “auto-difende” contemporaneamente. Questo è il bisogno delle Confessioni. Rousseau sacrifica di dire tutto, ampliando totalmente i dettagli. Rousseau cerca di porre “tutto se stesso” dentro lo scritto, che dovrebbe diventare totalizzante e assoluto in tutte le diverse sfaccettature dell’Io. Quindi gli scritti auto-biografici di Rousseau sono il prisma dell’Io, che getta un occhio anche all’Uomo.
Rousseau “dirà tutto”. La Verità è come Totalità: ri-comporre, scomporre e comporre il sé è un modo di pensarsi come unità.
Rousseau sostiene l’ “Amor di sé” , in quanto è coincidenza di sé.
Il suo opposto è l’ “Amor Proprio”, in quanto è l’Ego elevato contro gli altri a termine di paragone, di confronto, di doxa, e nasce nella Società.
Questi due sentimenti (Amor di sé e Amor Proprio) vengono a ridefinirsi nel proprio carattere. Rousseau, in opposizione a Montaigne, pensa che noi siamo i pezzi (tipo Amor di sé, Amor Proprio, ecc.) che si ri-compongono (in base al nostro cuore, o in base al giudizio degli altri, ecc.) e l’unità non mai quella vera.
Perché tutto ciò? Innanzitutto noi “appariamo” nella Società. Questo significa che il mio sguardo verso di me è diverso dallo sguardo degli altri. Quindi il nostro quadro sinottico di un “Io” unitario è posto nell’ “apparire” e nel divenire, che si danno nella Società.
Che risultati ha l’ “apparire” nella Società? Per Rousseau, innanzitutto, è la “Disuguaglianza”. La “Disuguaglianza” nasce sullo sguardo e dallo sguardo altrui, dettagliando l’altro, paragonandosi all’altro. Quindi l’Altro scompone la figura dell’altro e dell’Io.
Insomma Rousseau un’interconnessione fra l’unità dei propri “Io”, ovvero, l’Io pensato da lui stesso, l’Io pensato dai philosophes, l’Io pensato dai ginevrini, ecc. Il suo metodo è davvero singolare, dato che ha bisogno di mettere a nudo tutti i suoi eventi, in modo da “ri-comporre” i propri “Io”. Ma come si fa questa operazione?
Si ri-costruisce il Sé dopo il suo squadernarsi. Insomma in Rousseau prevale questa massima: << Ciò che più attacca è ciò che più ama >>. Che vuol dire? Per Rousseau è fondamentale la relazione con gli altri, che lui dice di amare. Si tratta dalla paura della relazione con l’altro, che è una paura di perdere “pezzi di sé”. Difatti il contrasto con gli altri (e anche con Sé) è la croce e delizia del pensatore Rousseau.
Rousseau pensa: << Come faccio a presentarmi all’altro?>>.
La scrittura non è una modalità retorica di presentazione del Sé. Qui si tratta del “mio essere bizzarro e singolare”. È il mio ritratto. È la mia auto-biografico. Pertanto non è l’imbellettarsi retorico di un Io. Ma è esposizione di Sé. Il fine di Rousseau è ricondursi presso l’altro in modo tale da essere riconosciuto dall’Altro. Il tentativo di Rousseau è un esporsi, è un correre il rischio di uno sguardo giudicante.
Insomma l’Io di Rousseau è una “Camera Oscura”. È un seguire i ritratti che vi sono impressi, che nella scrittura diviene uno scrivere con il proprio sangue. È un guardarsi con occhi nuovi e assolutamente inediti.
Rousseau può ben dire: << Ti ho conosciuto dentro e fin dentro la pelle!>>.
Rousseau cerca di esporsi agli altri e di mettersi in rilievo. È sottoporsi allo sguardo degli altri. Lo Sguardo è una nozione giudicante. Lo Sguardo giudica con attenzione l’altro e la sua figura, valorizzando alcuni tratti rispetto ad altri.
Per Camera Oscura si intende un’immagine capovolta. Rousseau è in una Camera Oscura rispetto agli altri. Lo scopo di Rousseau è ridelineare la propria figura. Rousseau cerca di rimettere in piedi la propria immagine capovolta (dagli altri) nella giusta possibilità di visione diretta verso l’altro.
Rousseau cerca di ridefinire un “Ritratto di Sé”, non una “Ritrattazione di Sé”. Rousseau ne bisogno, perché sente una scissione di se stesso e una mancanza di riconoscimento dagli altri.
Rousseau ricerca una figura di Sé come un “tutto unitario”, in modo da ricalcare il disegno della propria vita come una riproduzione scritta della propria vita. Rosseau vuole e cerca di ricomporre la sua figura.
Rousseau cerca di “dipingere” doppiamente lo stato della propria anima. La “Confessione” è la rievocazione di una vita, storta dal pare degli altri. Riscrivere significa rivivere mentre la riscrivo. Insomma l’ “Io” vive, scrivendo tramite il ricordo.
Rousseau scrive il proprio vissuto, descrivendo “fenomenologicamente” di ciò che mi accade adesso e appare adesso rispetto a ciò che è stato.
Insomma l’oggetto di questo libro è il Cuore e il Sé. È la materia dell’indagine sul “Cuore umano”.
Rousseau adotta una risposta strategica della difesa del Sé: l’introspezione. Questo tipo di operazione di scrittura è curioso. Fa fuoriuscire l’intimo, ma al tempo stesso lo separa da sé: L’Io è scrivente e l’Io osservante. L’introspezione è una scrittura dialogica. L’introspezione è un guardare dentro che viene a delinearsi come una serie di episodi. La paradossalità del metodo introspettivo è di mostrarsi a “pezzi” o in maniera parziale. Quindi il risultato finale è un “puzzle”, una ricomposizione, un tutto interconnesso.
Insomma l’altro che io osservo è il me stesso osservato da me. L’operazione di guardarsi è un’operazione fatta in modo che io possa rendermi come oggetto della mia indagine. È un’operazione fatta dall’Io stesso che si confessa.
Ad esempio l’osservarsi senza scrivere è soltanto un osservarsi fra sé e sé (Sé pensato e sé pensante). Difatti fra la parola orale e la parola scritta c’è grossa differenza. Con la parola scritta il mio Io diventa un oggetto. Pertanto rende l’introspezione sempre differenza, in quanto rende l’osservato un oggetto di studio sempre differente da sé.
Tutta questa operazione di introspezione, sia di Rousseau e sia nostra, avviene in uno spazio comune: la Società. È il luogo della “frequentazione”. La Società implica un associarsi, un rapportarsi reciproco. Qui ognuno è in relazione con l’altro, ci si abitua a stimare differenti oggetti e a compararli.
La visione dell’altro è profondamente diversa dall’isolamento. L’operazione di comparazione avviene in Società. La comparazione è sempre diversa. In società, inoltre, non si può stare senza vedersi, siccome di è nello stesso spazio di visibilità costante. La Società ci “costringe” a stare in uno spazio comune, insomma è uno stare insieme. Ma questa necessità di vedersi fa paradossalmente in modo che non ci si possa vedere vicendevolmente. Si tratta della “Maschera della Società”, quella che ognuno porta con sé nell’Arena Sociale.
Perché? È proprio l’attenzione all’Altro, che mi spinge a questa impetuosa operazione. Con lo “Sguardo” comincia una certa comparazione con gli altri, si subisce una considerazione degli “Sguardi” differenti degli altri. Ma noi stessi siamo degli “Sguardi”, quindi accade anche agli Altri!
Lo “Sguardo” è un vedermi e un vedere
Lo Sguardo è un 1° rapporto di differenza fra me l’altro. Lo sguardo è un’operazione che ritaglia lo “Sguardo” dell’altro in pezzi della sua figura. Esempio: In stazione il Mio Io è visto da Me, dai passeggeri, dal conducente, che ognuno ritaglia una sua immagine di Me mentre io ritaglio un’immagine di loro.
Lo “Sguardo” guarda all’esterno, come oggetti, attribuendo valore, merito, bellezza o preferenza. Insomma lo sguardo << a forza di vedersi non può stare senza vedersi >>-
Lo “Sguardo” è “riflessione”. Lo “Sguardo” è la dimensione del giudicare, è un incominciare la frammentazione della figura dell’altro, che altrimenti sarebbe unitaria.
Lo “Scambio di Sguardi” inizia, secondo Rousseau, a “disuguagliare” i membri di una Società. Con lo “Scambio degli sguardi” inizia la disparità, la “Disuguaglianza”, che complica e istituisce una società in cui c’è gelosia e discordia.
Lo “Sguardo” è un vedere ripetuto, continuo, attento, che mette in rilievo.
Secondo Rousseau la prospettiva dell’origine della Storia umana, come emerge dal Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini, è proprio lo “Sguardo”. Lo “Sguardo” è una revisione di sé e dell’altro, è un cercarsi della società diseguagliante attraverso la comunità.
Con “lo Scambio di Sguardi”, per Rousseau, inizia la società, la società della Diseguaglianza. Insomma nascono i “Sentimenti” di odio, contesa, servitù. Ad esempio per Sartre: << Chi cede il passo all’altro è un servo >>. Lo “Sguardo” mi fa vedere l’altro e ciò che esattamente fa l’altro. L’altro diventa un oggetto in quanto altro vivente e altro soggetto.
Con la comparazione o riflessione, sorte dallo “Sguardo” verso gli altri, nascono sentimenti quali la vergona e l’invidia. Questi sentimenti stabiliscono sempre dei rapporti indirizzati all’altro. Prendiamo ad esempio la vergogna: può causare rivalità, valorizzazione eccessiva di altri, ecc. Insomma la considerazione dello “Sguardo” verso gli altri ricade sempre sulla dimensione di ciò che non è possibile avere.
Quindi lo “Sguardo” è la sintesi perfetta di ciò che avviene fra Essere e Apparire. Ossia fra ciò che Io Sono e ciò che Io appaio agli altri.
Se non appaio nello sguardo dell’altro io non ci sono!
Sembra di fare il verso a Facebook!
Ma l’Uomo Naturale si rivolge verso l’Amor di Sé. L’Amor di Sé è conservazione della propria esistenza senza andare a scapito dei propri avversari. È ciò che sono propriamente
Invece l’Uomo sociale o Uomo storico prova Amor Proprio, ovvero, ha sentimenti di lotta, di contesa e di invidia. È un non coincidere con se stessi, difatti, si è valutati e presi a pezzi dallo sguardo degli altri.
Quindi istituiamo una differenza fondamentale:
Amor di Sè≠Amor Proprio
Con l’Amor Proprio l’integrità dell’Io è interrotta. Facciamo l’esempio di uno Sguardo. << Io sono tu così come tu mi vuoi! >>. L’Altro ritaglia di me solo un pezzo che vuole vedere e non l’uomo nella sua integrità. Questo è il problema dell’Altro. L’Altro non mi prende per il tutto che sono. L’Altro vuole vedere ciò che vuole vedere e non ciò che io sono interamente.
Questo debito è la base della “paranoia” di Rousseau.
Ma perché Rousseau afferma in modo paradossale la “Dolcezza del Vivere in Comune”, se pensa la Società in termini negativi?
La “Dolcezza del vivere in comune è di non mettere il proprio Io in mostro per essere amati o riconosciuti dagli altri. Il problema di questa situazione è che noi partiamo dalle parti che dobbiamo ricomporre come le parti dello specchio che ha ricomposto (vedi Lacan).
L’Io è sempre un Altro. Dobbiamo ricordarci di essere se stessi come operazione di risveglio e di confusione e di sogno, sia nella nostra società, sia nel nostro io. Conta lo stare assieme con se stesso.

2° Lezione: La paranoia degli Sguardi: sentirsi barbaro nella società

Il sentimento presente di Rousseau è: << dipingerò doppiamente me stesso >>. Difatti dipingere se stessi significa attingere dal ricordo dell’impressione ricevuta.
Si può davvero ricercare un “tutto interconnesso unitario”? In realtà si tratta più di un bizzarro e singolare in se stesso.
Chi è il soggetto che ripercorre il ricordo dell’impressione ricevuta attraverso il sentimento presente?
Nella Società a forza di vedersi non si può più fare a meno di vedersi ancora. Gli uomini, infatti, nella società condividono uno spazio comune. La società è un vedersi continuo e necessitato, permettendo a qualsiasi persona di non fare a meno di vedersi. Questi sono i significati dell’ “Individuo Sociale” e dello “Spazio della Socialità”.
Rivedersi comincia con un guardarsi. Da Robinsoe Crusoe si passa a tanti Robinsoe Crusoe .

Il bisogno di socialità è proprio di “essere considerato” dagli altri. Si tratta del bisogno di unirsi. Questo bisogno non appartiene al cosiddetto e frainteso “buon selvaggio”.
La simultaneità fra il “vedersi” e l’indicazione di una formazione della società costituiscono un iniziale vincolo, che poi può stabilizzarsi in un legame sociale.
Il “vedersi” è una pluralità di vedenti reciproci, che presenta dei passaggi dalla iniziale “necessità” a un legame sociale:

Necessità: il 1° bisogno è quasi una costrizione a vedersi;

Legame sociale: è il 2° grado di socialità, dettato da una dimensione preferenziale. Il legame sociale diviene “bisogno dell’altro uomo”;

Quindi alla base della Società vi è l’ “osservarsi” e il “guardarsi”. Nella costituzione del vivere assieme vi sono presenti 2 significati:

Il 1° significato dell’ingresso in Società è una lettura sul piano soggettivo. Difatti dalla costrizione di vedersi si passa quella dell’introspezione intima;

Il 2° significato dell’ingresso in Società è una lettura sul piano inter-soggettivo e societario. Qui c’è l’eco al concetto di VOLONTà GENERALE.

È importantissimo anche il vissuto di Rousseau. Rousseau nasce a Ginevra.

A Ginevra era presente ovunque un “occhio osservante”, ovvero, il Calvinismo .
Lo “Sguardo” mira ad un primato: individuare le proprie o altrui mancanze nell’esercizio reciproco del “guardarsi”. Se si ci chiude allo sguardo degli Altri quasi si diventa una “Monade senza porte e finestre”, invece, se si guarda e si è guardati di solito subentra un giudizio.
Quindi, nell’ambito della Società, il “vedere” o lo “sguardo” è un considerare.
La dimensione dello sguardo può essere anche condizione di turbamento. Difatti crea disagio quando più sguardi ci vedono. In noi può determinarsi un “delirio del riconoscersi”, dettato appunta dal vedersi e dal guardare. Questi possono essere possibili risultati della “frequenza continua degli sguardi” che si scambiano nello stesso spazio.
Dove o quando inizia uno sguardo che non è più pacifico e che destabilizza?
Lo sguardo reciproco comporta una configurazione o idea su di un altro, ma anche su di sé. Pertanto ne consegue una formulazione di giudizio, in quanto valutazione e valorizzazione. Questo “sguardo reciproco” è legato anche ad una considerazione complessiva di sé.
Insomma lo “sguardo altrui” dà la possibilità della scomposizione e della composizione.
Pertanto la Cura di sé e lo Sguardo degli Altri sono decisivi per “riflettersi” su di Sé (introspezione), per vedere di “sé”, in quanto fase di scomposizione, composizione e ri-composizoine dell’Io.
La Cura di sé e lo Sguardo degli Altri è un << Io mi vedo >>. È un “vedersi ripetuto”.
La scelta della dimensione dello “Sguardo” è una “Coscienza Morale”. È la dimensione di essere esposto all’altro, di collocare il proprio “Io” nello spazio intimo dello “sguardo dell’altro”, in quanto occhio giudicante.
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Excursus Freud

Tutto ciò sembra richiamare ai concetti freudiani di Io, Es e Super-Io:

Io: è la parte organizzata della personalità. L’Io si trova a dover fare i conti con le esigenze di quei tre “padroni severi” che sono l’Es, il Super-Io e il mondo esterno. In altri termini, l’Io è l’istanza che si trova a dover “equilibrare”, tramite opportuni “compromessi”, pressioni disparate e per lo più in contrasto.
<< Spinto così dall’Es, stretto dal Super- Io, respinto dalla realtà, l’Io lotta per venire a capo del suo compito economico di stabilire l’armonia fra le forze e gli influssi che agiscono in lui e su di lui; e noi comprendiamo perché tanto spesso non ci è possibile reprimere l’esclamazione: “La vita non è facile!” >>

Es: è un termine tedesco per il pronome neutro della 3° persona singolare. È il “polo pulsionale della personalità”. L’Es è la forza impersonale e caotica, che costiuisce la matrice originaria della nostra psiche. L’Es è definito da Freud come un “calderone di eccitamenti ribollenti”. Nell’Es non esistono forme a priori spazio-temporali, così come le aveva individuate Kant. Difatti le pulsioni sono collocate fuori dalla sfera spazio-temporale. L’ES ignora le leggi della logica e il principio di non-contraddizione: <<impulsi contraddittori sussistono l’uno accanto all’altro, senza annullarsi a vicenda >>;

Super-Io: intendiamo la “coscienza morale”. Il Super-Io è l’insieme delle proibizioni, che sono state instillate nell’individuo nei primi anni di vita e che negli anni a seguire lo accompagno sempre, anche in forma inconsapevole. << Il Super-Io è il successore e rappresentante dei genitori (ed educatori) che avevano vegliato sulle azioni dell’individuo durante il suo primo periodo di vita >>;

N.B. L’Io e il Super-io non coincidono totalmente con il sistema conscio-preconscio, in quanto partecipano anch’essi, almeno in parte, del sistema inconscio:
<< grosse porzioni dell’Io e del Super-Io possono rimanere inconsce e di fatto normalmente lo sono. Questo significa che la persona ne ignora i contenuti e che occorre un certo sforzo per renderli coscienti >>
Il rapporto fra Io e i suoi padroni (Es, Super-Io, il mondo esterno) rappresenta un criterio fondamentale in moda determinare “normalità” e “nevrosi”.
Difatti nell’individuo normale l’Io riesce abbastanza bene a padroneggiare a situazione. L’Io dell’individuo normale fornisce parziali soddisfazioni all’Es, senza violare gli imperativi o le proibizioni provenienti dal Super-Io.
Ma quando le esigenze dell’Es sono troppo eccessive o quando il Super-io è troppo debole (o invece troppo rigoroso e poco duttile), allora tutte le soluzioni pacifiche non sono più possibili.
Un esempio? Se l’Es prende il sopravvento e travolge un Super-Io troppo debole, L’io allora è condotto a comportamenti asociali o proibiti. Il soggetto diviene un delinquente oppure un perverso.
Altro esempio? Il Super-Io troppo rigido può provocare rimozione, quindi alcuni ricordi sono inconsci. Allora in questo caso le istanze o pulsioni dell’Es, divenute inconsce, si manifestano con sintomi nevrotici.

Partiamo da una frase significativa:
L’Io è indebolito dal conflitto, interno dobbiamo aiutarlo. È come fosse una guerra civile, che deve essere decisa dall’esterno con l’intervento di un alleato.
Qual è la tecnica psicoanalitica? Come si scopre l’Es?
<<Interpretare significa trovare un senso nascosto>> (Introduzione alla psicoanalisi, cit., p.80). Freud individua, in una serie di elementi apparentemente casuali del comportamento di ogni individuo, gli inizi necessari per gettare luce sulla sua vita psichica. Così Freud individuava la presenza dell’Inconscio, fondamentale per la formazione della personalità.
Quindi Freud poteva scoprire le cause della psico-nevrosi in un conflitto fra forze psichiche inconsce. I sintomi delle patologie erano quindi “psico-geni”.
La scoperta dell’Inconscio segna la nascita della Psicoanalisi, ovvero, di una psicologia “abissale” o psicologia “del profondo”.
Freud sosteneva che la maggior parte della vita mentale si svolge “fuori” dalla coscienza. Difatti l’Inconscio è la realtà abissale primaria di cui il conscio è solo la manifestazione visibile. L’esempio più canonico è l’Iceberg: 1) la punta rappresenterebbe il Conscio, che è solo una manifestazione esteriore dell’Inconscio; pertanto il Conscio rimane legato all’Inconscio e non il contrario! 2) Ovviamente la dimensione abissale dell’Inconscio è rappresentato dall’Iceberg sommerso, che nel caso dell’individuo vedo un netto predominio, appunto, dell’Inconscio.

Freud analizza gli atti mancati (omissioni, dimenticanze) o i sogni, in modo tale che Freud possa giungere a << concepirli come indiizi di un gioco di forze che si svolge nella psiche >>. Quindi Freud vuole “raggiungere una concezione dinamica dei fenomeni psichici >>.
Questo tipo di procedimento ha una nuova valenza scientifica. Difatti sostituisce alla certezza assoluta una valida approssimazione. Freud scrive: << essere capaci di proseguire il lavoro costruttivo nonostante la mancanza di conferme assolute >>.
I sogni sono uno degli strumenti più importanti per cogliere i desideri nascosti del paziente. Però Freud si rivolge alla vita psichica del soggetto nella sua totalità, in modo da far emergere tutto ciò che rimane nell’Inconscio.
L’analista è colui che si pone accanto al paziente senza costruzioni sul paziente, ma in modo da far emergere le tensioni profonde che agitano la sua psiche.
Gerard Lauzun, suo biografo, riferisce: << Freud riusci a scoprire nell’essere umano la realtà di un continente perduto, complementare alla coscienza, e ne provò le caratteristiche e il funzionamento >>. Questo “continente perduto” scoperto, o riscoperto, da Freud è l’ES. L’Es è un “calderone di eccitamenti ribollenti”, una componente oscura e istintuale, sede di tutte le pulsioni inconsce.
Questa nuova concezione del soggetto metteva in dubbio il ruolo e il valore di quella coscienza che da Cartesio in poi aveva costituito il fondamento stabile dell’Io.
Osserva il famoso filosofo Paul Ricoeur: <<Il filosofo educato alla scuola di Cartesio sa che le cose sono dubbie; che non sono come appaiono; ma non dubita che la coscienza non sia così come appare a se stessa; in essa senso e coscienza del senso coincidono>>
Freud mette in dubbio Cartesio. Il dubbio di Freud porta all’insegnamento che le espressioni della coscienza devono essere decifrate, facendo riferimento ai contenuti inconsci in essa presenti.
Il rapporto fra l’analista e il suo paziente

Il metodo di Freud si basa sulla “libera associazione delle idee” in modo da decifrare i sintomi del malessere psichico. L’analista deve aiutare il paziente a raccontare con la massima sincerità tutto ciò che gli viene in mente. Proprio perché possono venire a galla tutti i suoi desideri nascosti.
L’analista diventa una figura di riferimento, addirittura può essere percepito come una figura genitoriale. Questo rapporto può avere risvolti positivi per l’attività di scavo dei materiali nascosti nel profondo della psiche. Ma può presentare dei rischi, siccome il rapporto di “transfert” può essere ambivalente. Con “transfert” si indica la trslazione o trasferimento sulla persona del medico di una serie di stati d’animo ambivalenti provati dal paziente durante l’infanzia nei confronti delle figure genitoriali.
La finalità dell’analisi terapeutica è <<una vantaggiosa modifica dell’Io, la quale si conserverà indipendentemente dall’esito della traslazione e persisterà nella vita>>.

L’Io è indebolito dal conflitto interno, dobbiamo aiutarlo. È come fosse una guerra civile, che deve essere decisa dall’esterno con l’intervento di un alleato.
Il medico analista e l’Io indebolito del malato debbono, appoggiandosi al mondo reale esterno, formare un partito contro i nemici, le pretese istintive dell’Es e le pretese di coscienza del Super-Io.
Il “conflitto interno” che lacera l’Io è quello che contrappone le pulsioni inconsce dell’individuo (l’Es) e la sua Coscienza Morale (Super-Io). Il sintomo nevrotico è la manifestazione di un desiderio che è stato rimosso dalla scena della coscienza, perché ritenuto sconveniente. Una volta rimosso, un impulso non perde la propria carca energetica, anzi si ripresenta sotto forma di patologia psichica anche a distanza di anni. Per “combattere” le pretese dell’Es e quelle del Super-Io è necessaria un’ “alleanza” fra il paziente e il medico.
L’Es, la parte oscura della personalità

Es, in tedesco, indica la 3° Persona del pronome neutro. Freud usa l’Es per indicare una parte della personalità umana mai completamente accessibile, che si rivela in modo indiretto e attraverso gli impulsi.
L’Es sfugge alle leggi logiche e temporali. Non conosce il principio di non-contraddizione (in quanto è un insieme di impulsi contrastanti) ed è la sorgente delle cariche pulsionali, che agitano la vita psichica e che richiedono di essere soddisfatte all’esterno.
L’Es non conosce il bene e non conosce il male, ma obbedisce solo al “principio del piacere”. Lo si nota bene nei neonati che vivono i loro bisogni in modo diretto e senza censura.
Le pulsioni dell’Es sono aggressive ed egoiste, tendendo ad una soddisfazione immediata e totale. Esse possono essere rappresentate come una certa quantità di energia, che preme verso una direzione determinata, cercando di travolgere tutto quanto si oppone a il suo percorso.
Porre l’Incoscio come origine della personalità dell’Io significa attuare una vera e propria rivoluzione nella coscienza dell’Io.
Ha osservato Giovanni Jervis: << dopo Freud il borghese non può più illudersi di identificarsi con la sua buona volontà: non si legittima più per come si presenta, sa che esiste una contraddizione, e forse una voragine, al di sotto delle apparenze, non può pretendere di convincere, né di convincersi, che ogni suo atto è uomo, in quanto espresso in buona fede, o confermato dal successo >>.
L’Es per Freud è una parte scura, inaccessibile. L’Es è il risultato di una pratica investigativa (analisi dei sogni e dei sintomi nei nevrotici) che ci permettono di affermare l’esistenza di un’ “istanza” o “funzione”, che è l’origine della nostra personalità.
L’Es è “caos, un calderone di eccitamenti ribollenti”. Qui i bisogni pulsionali trovano la loro espressione psichica.
L’Es è pieno di energia, ma non ha un’organizzazione. Viene mosso da un unico principio: il “principio di piacere”. L’Es p la sorgente degli impulsi biologici dell’individuo (Freud utilizza anche il termine “libido”, intendendo un’energia suscettibile di dirigersi verso le mete più diverse e in grado di investire gli oggetti più disparati.
L’Es sfugge alle leggi logiche, alle leggi spazio-temporali, in quanto L’Es non tende a organizzare le pulsioni istintuali in un insieme ben strutturato. Mira solo a ottenere un immediato soddisfacimento delle pulsioni stesse, incurante del principio di non-contraddizione. <<Le leggi del pensiero logico non valgono per i processi dell’Es, soprattutto il principio di non-contraddizione. Impulsi contrari sussistono uno accanto all’altro, senza annullarsi o diminuirsi a vicenda; tutt’al più, sotto la dominante costrizione economica di scaricare l’energia, confluiscono in formazioni di compromesso>>
Perché l’Es sfugge alle leggi del tempo? Perché gli impulsi dell’Es sono “virtualmente immortali”, possono riaffiorare anche dopo decenni. I desideri che sono stati rimossi rimangono incuranti del tempo, nel fondo oscuro dell’Es e dell’Io. Solo la terapia psico-analitica può riconoscerli e privarli della forza energetica, vera causa del disturbo nervoso.
L’Es non conosce giudizi di valore, non conosce il bene e il male, e non conosce la moralità. L’Es non è immorale, ma è amorale. La scelta di un suo obiettivo gli è estranea. L’Es agisce in vista di un principio economico o quantitativo, che è soltanto volto nel soddisfare il maggior numero di bisogni o di impulsi. L’Es è formato da “cariche pulsionali che esigono la scarica”.
Però alcune scariche di impulsioni egoistiche e aggressive possono incanalarsi verso vie “sane”, quali quella dell’Arte, della scienza e così via. In questo modo l’impulso diventa “Sublimazione”.
Se la caratteristica principale dell’Es è quella di essere inconscio è ver anche che l’Es condivide la caratteristica dell’Inconscio anche con l’Io e il Super-Io.
Secondo Cesare Musatti: << L’Es è un insieme di primordiali impulsi istintivi disorganizzati, è tutto inconscio. Ma L’Io non è costituito solo dalla Coscienza e dal Preconscio >>. Insomma l’Io e il Super-Io sono in parte anche inconsci. Ricordiamoceli a livello insiemistico.
La struttura della Psiche umana

Il povero Io serve tre padroni, severi, e si dà da fare per mettere d’accordo le loro esigenze piene di pretese. I tre tiranni sono: il mondo esterno, il Super-Io e l’Es
Freud cercò di studiare l’Io considerandolo un soggetto/oggetto. Egli individuava tre “istanze” o “funzioni”, che agiscono a livello conscio ed inconscio. Esse sono: l’Es, l’Io e il Super-Io.
Freud dimostra che dietro ad un’apparente semplicità della coscienza si celi un apparato psichico complesso. Quindi l’Io ha il compito di ricercare un “momentaneo” accordo fra le istanze pulsionali e le esigenze sociali, attraverso cui l’Io operi con meno sofferenze e il massimo di soddisfazione possibile. L’uomo da Freud in poi non si è guardato allo specchio allo stesso modo.
Il Super-Io è il “sostenitore delle esigenze della moralità” e rappresenta l’insieme delle istanze sociali che incombono sul soggetto.
L’Io ha “la vita più dura”, in quanto rappresenta la parte organizzata della personalità. È l’istanza che tenta una sintesi, sempre precaria, fra il mondo delle pulsioni e le esigenze della realtà.
Freud stesso disse:
<< In questa divisione della personalità in Io, Super-Io ed Es, non dovete certo pensare a confini netti, come quelli tracciati artificialmente nella geografia politica. I contorni lineari, come nel nostro disegno o nella pittura primitiva, non sono certo in grado di rendere la natura dello psichico, ma servirebbero aree cromatiche sfumanti l’una nell’altra, come nei pittori moderni >>.
Il Super-Io, ovvero la Coscienza Morale

L’indagine sul Super-Io porta Fred a sottolineare alcuni punti riguardo la Coscienza Morale. La Coscienza Morale non ha nulla a che vedere con “leggi naturali” o “norme assolute”. La Coscienza Morale non è da sempre presente nell’Uomo, ma compare durante il suo sviluppo psichico. La Coscienza Morale è legata a precisi condizionamenti da parte dell’ambiente esterno, a cui l’Io si adatta alla fine di un processo conflittuale.
Il Super-Io è la sede della Coscienza Morale e del Senso di Colpa. Il Super-Io è il “censore” delle nostre azioni ed è il “rappresentante di tutte le limitazioni morali, l’avvocato dell’aspirazione alla perfezione”.
Il Super-Io nasce come risultato dell’autorità esercitata dai genitori, per svilupparsi poi come interiorizzazione dei dettati di altre autorità, ma anche dei valori e dei modi di comportamento proposti dalla società.
Il Super-Io sono tutti i limiti imposti dai genitori. Questo è l’atto di nascita del Super-Io. Il Super-Io non è un’astrazione ma ha come origine un “fatto”, che è insieme biologico e psicologico.
<< Il Super-io impone all’Io inerme, che è in sua balia, i più severi criteri morali; ed è il sostenitore delle esigenze della moralità >>. Quindi il nostro senso di colpa è una tensione fra Io e Super-Io.
Freud, studiando il comportamento di malati affetti da “delirio di attenzione”, teorizzò la possibilità della presenza di un’altra istanza, ovvero, il Super-Io, coincidente alla coscienza morale. Quindi il patrimonio energetico del Super-Io è differente dall’Io.
Il senso di colpa è dato dalla continua tensione esistente fra Io e Super-Io. Proprio la periodicità del conflitto e della colpa in quanto senso morale dimostra come la colpa non è un sigillo divino impresso da sempre nel “cuore” dell’uomo.
La coscienza morale non è presente fin dall’inizio. Mentre l’uomo presenta già da bambino istinti di natura sessuale.
Inizialmente la Coscienza Morale/ Super-Io viene svolta dall’autorità dei genitori. Quindi i genitori premiano o puniscono i bambini in modo tale che il “principio di piacere” sia regolato in base al “principio di realtà”.
Il bambino prova un vero e proprio sentimento di angoscia di fronte alla minaccia di castighi, difronte alla possibilità di perdere l’amore. Questa rappresentazione della vita infantile si pone risolutamente in contrasto con la visione dell’infanzia come “età dell’innocenza, della purezza morale e della spensieratezza” (qui probabilmente ci sono accenni contro Rousseau!). Invece Freud dipinge il bambino come attraversato da intense pulsioni a sfondo sessuale, e come capace di sentimenti di amore, di odio, di angoscia e di infelicità che prefigurano le emozioni che vivrò nella vita adulta.
Solo dopo l’iniziale educazione dei genitori si forma un Super-Io concreto, “censore”, che <<osserva, guida e minaccia l’Io>>. Il Super-Io si sviluppa come sostituzione dell’autorità dei genitori. Prima le regole morali erano imposte dai genitori, poi sono state interiorizzate dal soggetto. Pertanto il Super-Io ha un “patrimonio energetico proprio”, addirittura avendo la capacità di “sublimare” le pulsioni istintuali in attività spiritali o disinteressate. Quando questa deviazione non riesce si giunge alla nevrosi o sofferenza psichica.
Il Super-Io non è solo un’astrazione ma è concretamente la “Coscienza Morale”, in quanto esprime un rapporto concreto fra Io e i criteri morali elaborati nel mondo esterno.
L’Io, ovvero, il “luogo” dell’equilibrio fra desiderio e azione

“Nel corso dei tempi l’umanità ha dovuto sopportare due grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di sé. La prima, quando apprese che la nostra terra non è il centro dell’universo, bensì una minuscola particella di un sistema cosmico che, quanto a grandezza, è difficilmente immaginabile. Questa scoperta è associata per noi al nome di Copernico, benché già la scienza alessandrina avesse proclamato qualcosa di simile. La seconda mortificazione si è verificata poi, quando la ricerca biologica annientò la pretesa posizione di privilegio dell’uomo nella creazione, gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale e l’inestirpabilità della sua natura animale. Questo sovvertimento di valori è stato compiuto ai nostri giorni sotto l’influsso di Charles Darwin, di Wallace e dei loro precursori, non senza la più violenta opposizione dei loro contemporanei.
Ma la terza e più scottante mortificazione, la megalomania dell’uomo è destinata a subirla da parte dell’odierna indagine psicologica, la quale ha
l’intenzione di dimostrare all’Io che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche.
(Introduzione alla psicoanalisi)
Freud mise in luce come l’Io è “servitore di tre padroni” (il mondo esterno, il super-Io e l’Es). La parte razionale dell’uomo, ovvero, l’Io, è solo una parte minuscola della componente abissale dell’Inconscio, ovvero, l’Es.
Freud pensava che la psicoanalisi potesse costituire una tappa fondamentale del cammino dell’uomo verso una maggiore conoscenza di sé.
Difatti il compito dell’Io è di operare una sintesi proveniente da diverse 2istanze” che si muove nell’Es, in modo tale che l’individuo trovi una strada di soddisfazione all’interno della società Dice Paul Ricoeur:
<<Ciò che vuole Freud è che l’analizzato, facendo proprio il senso che gli era estraneo, allarghi il suo campo di coscienza, viva meglio e insomma sia un po’ più libro, e se possibile, felice>>.
La caratteristica fondamentale dell’Io è la sua capacità di entrare in contatto con il mondo esterno, accogliendone gli stimoli e, nello stesso tempo, proteggendo le proprie parti più interne da sollecitazioni troppo violente. Qui viene utilizzata una celebre metafora: L’Io come “strato corticale” che circonda un “grumo di materia” per descrivere il complesso rapporto che lega l’Io alla realtà esterna. Quindi l’Io è l’intermediario fra l’Es e il mondo esterno.
L’Io ha il compito di esercitarsi in un’ “esame di realtà”. L’Io deve direzionare le pulsioni inconsce verso determinati oggetti esterni. L’Io riflettendo sui propri impulsi (viene detta “attività di pensiero”) si avvale delle precedenti esperienze. In tal modo il principio di piacere si scontra con il principio di realtà.
L’Io è una sorta di “sintesi”, un tutto organizzato, che sa porre in successione le proprie percezioni e operare una sintesi dei propri contenuti. A differenza dell’Es (caotico, slegato di scariche elettriche) l’Io riconosce coordinate temporali familiari.
L’Io è soltanto una parte dell’Es, ovvero, è la parte modificata dalla vicinanza del minaccioso mondo esterno. Il compito dell’Io non si esaurisce ponendo limiti all’Es. L’Io è soltanto la “facciata”, la parte più esterna dell’Es, di cui rappresenta la parte più esterna dell’Es. L’Io è solo la “punta” consapevole, in una sorta di 2cono” alla cui base c’è l’Es in quanto “calderone di passioni”. L’uomo però non reagisce in maniera meccanicistica, anzi, allo stesso stimolo pulsionale vi è un margine di autonomia nel comportamento dei diversi individui.
Il rapporto fra Io ed Es è quello fra il cavaliere e il cavallo. Qui c’è un parallelismo con l’auriga del mito platonico presente nel Fedro. Il cavallo/Es ha l’energia degli impulsi e il cavaliere ha il privilegio di determinare la meta e dirigere il movimento. Ma in molti casi il cavaliere si limita a guidare il cavallo, stando quasi a guardare.
<<Il povero Io serve tre padroni, severi, e si dà da fare per mettere d’accordo le loro esigenze piene di pretese. Queste pretese sono sempre divergenti. Nessuna meraviglia se l’Io fallisce tanto spesso nel suo compito. I tre tiranni sono: il mondo esterno, il Super-io e l’Es >>.
L’Io è sempre in precario equilibrio fra tre istanze diverse. Siamo molto lontani dalla soggettività del razionalismo o di Cartesio. Però siamo anche lontani dagli spaesanti contorni dell’irrazionalismo. L’Io sembra caratterizzato da instabilità e precarietà, ma anche dal coraggioso impegno del soggetto a trovare una forma di equilibrio.
A tal senso si esprime Gerard Lauzun: <<La psicoanalisi ci prende per mano per farci affrontare questa realtà ch’è veramente nostra, per farci capire e ammettere che siamo fatti di spirito e di carne, anima e corpo e che infine la nostra felicità e la nostra verità si riuniscono ed esistono l’una per l’altra >>
Quando non si riesce a trovare uno stato di equilibrio subentra l’angoscia, sintomo di una personalità che non ha saputo organizzarsi in modo organico. Il confine fra patologia e normalità è assai labile nel pensiero di Freud. Freud p persuaso che la ragione abbia la capacità di operare una sintesi fra le spinte contrastanti delle pulsioni e della razionalità, ma, sulla scorta della sua lunga pratica media, conosce altrettanto bene la difficoltà di una tale operazione.
Da una parte L’Io cerca di essere in armonia con l’Es, cercando di attirare su di sé la libido. Da un’altra parte il severo Super-io esige determinate norme di comportamento e punisce l’Io facendolo sentire inferiore o in colpa.

Pertanto:
<<L’Io spinto così dall’Es, stretto dal Super-io, respinto dalla realtà, L’Io lotta per venire a capo del suo compito economico di stabilire l’armonia fra le forze e gli influssi che agiscono in lui e su di lui. E Noi comprendiamo perché tanto spesso non ci è possibile reprimere l’esclamazione: “La vita non è facile!”>>
Se il precario equilibrio dell’Io si rompe, l’Io si ritrova in uno stato di angoscia:
Angoscia “reale” nei confronti del mondo esterno;
Angoscia “morale” nei confronti del Super-Io;
Angoscia “nevrotica” nei confronti dell’Es;
L’Io quindi è in continua mediazione fra le pulsioni dell’Es, della realtà esterna e il controllo del Super-io (Coscienza morale, che lo tormenta con sensi di colpa se non adempie agli obblighi societari). L’Io è strattonato di qua e di là, l’I deve impegnarsi in modo energico e concreto per conseguire una forma accettabile di equilibrio.
Qui l’Io è simile a Prometeo. Prometeo sfida gli dei sottraendo il fuoco per donarlo agli uomini, soddisfacendo il proprio Io. Mentre l’Io, invece, vive della Tirannie del mondo esterno, il Super-Io e l’Es, ma ricerca sempre un precario equilibrio fra le diverse istanze.
Perché questo lungo exursus? Ricolleghiamoci agli argomenti a pagina 32, connettendoli con Freud.
Per quanto riguarda la formazione di una società o di una civiltà, Freud ne ha discusso nel Il disagio della civiltà . Freud afferma che la civiltà implichi un “costo”, soprattutto in termini libidici . Nella società si è costretti a “deviare” la ricerca del proprio piacere, dirigendola verso prestazioni sociali e lavorative.
La civiltà o la società sono gli ideali prosecutori dell’opera paterna. Con opera paterna Freud ha in mente soprattutto la formazione del Super-Io, in quanto “Coscienza Morale” o “censore”, che sono l’insieme di proibizioni nate appunto ad opera dei genitori. In seguito il singolo Super-Io riceve la “pressione” di un Super-io collettivo, sorto proprio grazie alla formazione della società.
Questo Super-io collettivo incarna una serie di norme e divieti.
<< Il Super-io della civiltà affaccia severe esigenze ideali, il cui mancato conformarsi viene punito con l’angoscia morale >>
Freud non ha una considerazione negativa della società e nemmeno vagheggia a un ritorno al “primitivismo”. L’antropologia freudiana ha più contatti con Schopenhauer: è più realistica e pessimistica. A differenza di coloro che credono in una possibile felicità dell’uomo, Freud ribatte che la sofferenza è la componente strutturale della vita, che ci costringe a patire nel corpo e nella psiche, fino a giungere alla morte.
Freud addirittura scardina il “falso mito” che l’uomo sia <<una creatura gentile che vuol essere amata, e che al massimo può difendere se stessa se viene attaccata>>. Freud, piuttosto, osserva che l’uomo è <<una creatura tra le cui doti istintive è da annoverare un forte quoziente di aggressività>>.
Freud pensa che lo Stato civile è un male minore rispetto ad un’umanità al di fuori della società.
In un contesto di assenza di civiltà l’uomo sarebbe più pericoloso per il prossimo.
Ma Freud non è l’apologeta del “disagio della civiltà”, piuttosto, cerca di trarne un’analisi lucida. Freud non accetta i modelli estremi:
1) una società estremamente repressiva;
2) una società senza regole (destinata ad autoannullarsi);
Freud è favorevole a uno Stato, che non esclude regole e sacrifici, ma che cerchi nel limite del possibile, di ridurre gli spazi di repressione e sofferenza.
La Scrittura di Freud permette un’esplorazione della psiche fino ad arrivare ad uno studio antropologico della civiltà.
Freud cercava di spiegare plausibilmente le malattie nervose e le nevrosi di vario tipo tramite un metodo di indagine che parte <<da quei fatti poco appariscenti che le altre scienze mettono da parte come troppo insignificanti, dai rimasugli, per così dire, del mondo dei fenomeni >> (Introduzione alla psicoanalisi). Questo metodo permette di fornire un indizio a partire da cui è possibile mettersi sulle tracce di qualcosa di più grande. Freud come ben sappiamo arriva a distinguere le tre “istanze” o “funzioni” che interagiscono nella vita psichica: l’Es, l’Io e il Super-Io.
Freud non si limita ad indagare le dinamiche nell’inconscio del singolo uomo. Ma utilizza le proprie intuizioni psicoanalitiche per analizzare le origini della religione e della moralità.
Pertanto Freud scrisse i due famosi scritti L’avvenire di un’illusione e Il disagio della civiltà. Freud afferma:
<<Mi resi conto con sempre maggiore chiarezza che gli eventi della storia, gli influssi reciproci fra natura umana, sviluppo civile e quei sedimenti di avvenimenti preistorici di cui la religione è il massimo rappresentante non sono che il riflesso dei conflitti dinamici fra Io, Es e Super-io, studiata dalla psicoanalisi nel singolo individuo: sono gli stessi processi ripresi su uno scenario più ampio >>
Freud, nel Disagio della civiltà, spiega che la società p nata dalla necessità dell’uomo in modo da difendersi dalla natura e di rendere pacifiche le relazioni con i propri simili. La civiltà è un contrasto perenne fra le aspirazioni alla felicità del singolo individuo e le esigenze stesse della vita comune.
Se da un lato la società appare necessaria, dall’altro lato la società si rivela uno strumento di infelicità. L’infelicità nella società è dato dal sacrificio del piacere individuale che si scontro con il principio di realtà. Ovverossia il conseguimento dei desideri soggettivi viene posto sotto la verifica dell’attuabilità sociale.
Come ogni realtà umana, la civiltà presenta dei margini di perfezionamento. Ma la società non può mai annullare del tutto il “disagio”, che causa all’individuo. Questo “disagio” nel vivere sociale è il risultato della proiezione su scala sociale (Super-io collettivo) della figura paterna (il Super-io individuale) e del suo ruolo nella costruzione della personalità autonoma e responsabile dei figli.
Il testo di Freud, anche se presenta una complessità di argomenti, è in realtà provocatorio e insieme provocante.
Secondo Freud: << Se la civiltà impone sacrifici alla sessuale e all’aggressività dell’uomo, allora intendiamo meglio perché l’uomo stenti a trovare in essa la sua felicità >>
Cosa significa questo passo?
Le due pulsioni caratterizzanti la vita psichica dell’individuo sono la libido e l’aggressività:
La libido mira al conseguimento del piacere e all’autoconservazione:
L’aggressività: scarica all’esterno le tensioni interiori con moti distruttivi;
Questi due impulsi vengono fortemente limitati dalla civiltà. Questo è il motivo per cui è difficile per l’uomo poter conseguire nella società la propria felicità.
La repressione di queste due pulsioni non riesce a cancellare il disagio, perché sono componenti essenziali della psiche di ogni individuo. Ne consegue la nevrosi, caratterizzata come sofferenza fisica causata dall’incapacità di trovare un equilibrio fra gli impulsi e le tensioni interne e i condizionamenti esterni.
Riguardo alla libido, Freud aveva affermato: <<Da un lato l’amore si oppone agli interessi della civiltà, dall’altro la civiltà minaccia l’amore con gravi restrizioni. Da parte della civiltà la tendenza a limitare la vita sessuale non è meno evidente della spinta a estendere la propria cerchia >>.
Riguardo all’aggressività, Freud afferma: <<La civiltà domina dunque il pericoloso desiderio di aggressione di ogni individuo, infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare da un’istanza nel suo interno, come da una guarnigione nella città conquistata >>
Secondo Freud l’uomo “primordiale” aveva una liberta “pulsionale” maggiore, ma la sua sicurezza era costantemente messa a repentaglio. Da qui la straordinaria considerazione:
L’Uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza
L’uomo primitivo, che non viveva in società, era più felice perché godeva della libertà di estrinsecare le proprie pulsioni, ma appunto per questo la sua esistenza era molto meno sicura (Rousseau il posto di pulsione parla di cuore o di sentimenti del cuore).
Qui emerge la componente pessimistica del pensiero di Freud: l’uomo tende, per realizzare il proprio piacere, a strumentalizzare i propri simili e a renderli oggetto della propria aggressività. I valori e la moralità che caratterizzano la società contemporanea affondano dunque le loro radici in un’epoca del tutto priva di preoccupazioni morali, in cui i rapporti fra gli individui erano piuttosto regolati dalla forza.
In questo aspetto della teoria freudiana si può notare una consonanza con le posizioni espresse da Nietzsche nella Genealogia della morale.
Però per Freud, in un contesto “primitivo”, solo il capo godeva di una “libertà pulsionale”. Gli altri erano quasi degli schiavi. Quindi solo una minoranza godeva dei benefici della civiltà.
Quindi Freud non dà un connotato del tutto positivo al modello di Rousseau o dell’ “uomo di natura”. Freud osserva che solo i capi famiglia godessero della libertà di esprimere le proprie pulsioni e come gli individui vivessero in una situazione di tipo schiavistico.
L’uomo primitivo, inoltre soggiaceva a restrizioni di ogni genere, ancor più rigorose di quelle che connotano l’uomo civilizzato, costituite da numerosi tabù che regolavano i vari aspetti dell’esistenza e di cui Freud stesso fornisce alcuni esempi nell’opera Totem e Tabù.
Insomma Freud pensa che: << ci sono difficoltà inerenti all’essenza stessa della civiltà e che esse resisteranno di fronte a qualsiasi tentativo di riforma >>. Secondo Freud è giusto criticare la nostra civiltà se non è concretamente organizzata. La civiltà contiene in sé un aspetto repressivo che non può essere eliminato, pena il libero esprimersi delle pulsioni distruttive dell’uomo. La conflittualità, sia essa relativa all’individuo o alla società, deve essere nello stesso tempo accettata e “normalizzata”, cioè, spiegata e tenuta sotto controllo dalla ragione.
Nell’Avvenire di un’illusione, dopo aver affermato che non è una “colpa” essere bambini, ma che occorre diventare adulti per vivere in modo armonico, sia come individui, sia come membri di una società, Freud osserva: <<Devo ancora rivelare che intento esclusivo del mio scritto è quello di attirare l’attenzione sulla necessità di compiere questo passo?>>
Freud afferma nel Il disagio della civiltà: <<Oltre agli obblighi, cui siamo preparati, concernenti la restrizione pulsionale, ci sovrasta il pericolo d’una condizione che potremmo definire “la miseria psicologica della massa>>.
L’uomo civilizzato è sottoposto al controllo delle pulsioni, ma corre anche il pericolo della “miseria psicologica di massa”. Questa espressione era tratta dall’opera nello psichiatra francese Pierre Janett e che si riferiva all’impossibilità dei nevrotici di operare una sintesi tra i diversi aspetti della propria personalità.
Freud allude all’incapacità dell’uomo civilizzato di utilizzare il proprio senso critico per collegare i diversi aspetti della realtà in cui vive, Freud richiama qui l’attenzione sul pericolo di abbandonarsi in modo supino al comando di una dittatura (si noti come già nell’opera Psicologia delle masse e analisi dell’io, del 1921, egli avesse parlato dell’ambiguo rapporto che lega le masse al loro capo).
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Riprendiamo da pagina 32

A Rousseau non andava giù la questione del riconoscimento degli altri, dato che Rousseau non riusciva a sostenere l’immagine di sé, che era stata data dagli altri, nella società sia parigina e sia ginevrina.
Rousseau mostra un interesse indiscusso riguardo agli “Altri”. Rousseau, dato l’insuccesso delle letture pubbliche delle Confessioni, afferma quasi un “nessun mi ha chiesto spiegazioni per quello che è successo!”. Pertanto il volere di Rousseau è di dimostrare perché abbia assunto determinati atteggiamenti, poiché l’opinione pubblica si mostra totalmente indifferente a tutto ciò.
D’altra parte il pubblico sembra mostrare una certa sicurezza su ciò che pensa di Rousseau e ne trae una considerazione diversa.
La divisione dell’Io di Rousseau deriva proprio dalla relazione assunta fra l’Io e il Pubblico:

L’Io ha una certa immagine di sé. L’immagine di sé muta in base alle proprie personali considerazioni e anche in base alle considerazioni del pubblico;

Il “Pubblico” o “Società” ha diversissime (e forse infinite) immagini di Rousseau. L’immagine di sé (in questo caso Rousseau) è data dalla considerazione dello spazio comune (il “si dice”, il “si fa”), composta da tutti i diversi sguardi (che possono avere condizionamenti culturali, informativi, letterari ecc.);

Il pubblico viene presentato da Rousseau pienamente convinto. Pertanto Rousseau mostrava il suo orgoglio sprezzante, ma individuava questo orgoglio sprezzante anche in Rousseau. Rousseau percepiva soprattutto indifferenza. L’indifferenza è una scena pubblica dove c’è un Io, che percepisce gli altri tutti contro l’Io o meglio che lo isolano.
Rousseau reagisce a tutto ciò. Sente che il pubblico lo disprezza e lo svalorizza, considerandolo un superbo e un presuntuoso. Questa sprezzante considerazione è così radicata dove le singolarità non hanno logica di esistere.
Rousseau reagisce. Rousseau si contrappose al pubblico. Difatti Rousseau riprese un famoso verso di Ovidio (Tristia) già presente come epigrafe del Discorso sulle scienze e sulle arti. Il verso è:
<<Barbarus hic ego sum, qui non intelligor illis>>
<<Qui sono io il barbaro, perché non vengo capito da loro>>
Rousseau, pertanto, si pose in una “condizione del marginale”. Quasi come se affermasse: <<non riesco a capire>>. Tutto ciò fa scaturire un atteggiamento paranoico.
L’agire degli altri “appare” o è “velato” come un mistero incompatibile agli occhi dello stesso Rousseau. Rousseau non riesce proprio a penetrarlo. La paranoia di Rousseau lo spinge al proiettare all’esterno il suo modo di considerare, fino a costruire una giustificazione secondo le proprie ragioni.
Rousseau si dibatte fra il proprio Io (“considerazione singolare”) e la società (“considerazione pubblica”). Non dimentichiamoci il contesto di Ginevra: un “concistoro di calvinisti” , percepiti come un tribunale giudicante.
La paranoia comporta un’amplificazione di un dato di fatto. Rousseau estremizza l’indifferenza e l’opinione pubblica rispetto al giudizio che hanno sul suo sé. L’opinione pubblica “ammassa” le sue considerazioni e non si prende la responsabilità personale del giudizio. Ma agli occhi di Rousseau le ragioni del pubblico sono impenetrabili.
La pubblica opinione o convinzione di Rousseau è di auto-percepirsi in quanto “barbaro”. Rousseau non riesce a capire nessuna ragione comprensibile di questo mancato riconoscimento degli altri. Pertanto Rousseau percepisce soltanto “incompatibilità”.
Rousseau esponendo il proprio “Sé” percepisce che la pubblica ragione (la società) è presuntuosa e orgogliosa. Pertanto la società non sarebbe in grado di penetrare l’individualità (soprattutto il singolo “cuore” dell’uomo)
L’Io (in questo caso quello di Rousseau) espone le proprie ragioni in pubblico. Questa pubblica manifestazione delle mie ragioni dovrebbe far scaturire, secondo Rousseau, il disincantamento della “nebulosa giudicante del pubblico”.
Qual è il fine di Rousseau? C’è interesse affinché il pubblico cambi opinione e mi “riconosca”
Qual è il rischio? Potrebbe esserci disinteresse perché c’è la nuda esposizione di Sé.
Rousseau, percependo indifferenza, fu indotto a pensare che tutti erano complici di questo penoso stato sociale. Rousseau, però, asseriva:
<< Nulla è più lontano dalla mia volontà quanto l’essere ingiusto e ingrato nei loro confronti >>
Qui è un diretto richiamo al famoso “il solitario è malvagio” di Diderot (o “è il malvagio che vive da solo”), scritto nel Il figlio naturale nel 1757. Rousseau la prese come un’allusione personale a lui, che era così amante della solitudine.
Rousseau vuole dimostrare che il suo “Io” è sempre grato all’altro. Difatti il << chi volesse disingannarmi >> è un appello all’altro in modo da avere un rapporto positivo con la società.
La voce dell’Io si rivolge all’opinione, che viene da fuori e dalla società. L’Io spinge a confrontarsi con gli altri in modo da cancellare “l’ingratitudine del mio cuore”.
Rousseau provava indignazione e rabbia, fino al punto tale di percepirsi “straniero”, singolare, escluso, marginale, appunto, un barbaro.
Rousseau tenta allora la via del “riconoscimento” con cui potrebbe riaccostarsi ai suoi simili. Rousseau percepisce perdita di riconoscenza, ma ricerca la gratitudine del prossimo. Ricercando il prossimo Rousseau manifesta un “bisogno di socialità”, rispondendo in modo abbastanza netto all’accusa mossagli da Diderot.
È l’indignazione il vero motore “emotivo” di Rousseau giudice di Jean-Jacques. L’indignazione spinge Rousseau al gesto estremo: esigere un “Tribunale del Sé”. Il Tribunale del Sé ha la finalità di riposizionare l’Io all’interno del coro collettivo e di ripristinare il legame sociale.
L’indignazione, coincide in Rousseau, con l’assenza di speranza, ma anche con il desiderio di restituire me stesso a me stesso e probabilmente agli altri.
Rousseau cerca di “dire” la propria individualità e le proprie ragioni (riguardo errori, comportamenti, scritti, teorie) in modo tale da ristabilirsi nella società e cancellare l’indifferenza esistente fra il Noi-Società e l’Io-Rousseau.

3° Lezione: Come faccio ad autodifendermi?

Rousseau giudice di Jean Jacques ha come finalità di ridare dignità al “nome proprio” di Rousseau, tanto che J-J non ha più un cognome con cui identificarsi. Quindi bisogna ridare dignità a J-J.
J-J è l’oggetto del dialogo fra Rousseau e un Francese (rappresentante l’opinione comune). Insomma l’intento è dialogare per assumere le ragioni dell’altro interlocutore da cui parte un’articolazione dialogica fra due voci.
Importantissima è questa frase: “il mio modo di sentire è il modo di essere”. Significa che J-J mostra immediatamente il suo sentire, e non cela la propria identità, pertanto il suo “essere” è appartenere allo Stato di Natura.
Quando J-J afferma le mie ragioni sono in ascolto a voci contrari, ciò significa che il problema è di mettere dentro le ragioni altrui nel processo di decomposizione/composizione. La presenza di un altro mio interlocutore è la presa d’atto di un’identità che si scompone in vari momenti.
Tra il pubblico non c’è chi propone di ascoltare l’appello di Rousseau. Rousseau mostra come vi sia un pubblico che lo contesta. Difatti “la massa fa massa” quando è in silenzio (= questo era l’esito della lettura pubblica delle Confessioni) e non c’è più una voce singolare.
Gli effetti della calunnia sono di presentare la figura di J-J come anomale, irregolare e un “malvagio solitario”. Qui si richiama alla visione di Diderot sulla solitudine: il solitario è malvagio costituzionalmente alla propria natura.
Quando la massa tace si tratta di una “situazione spaventosa”. La voce si perde nel vuoto, l’eco del Sé diventa infinito. Quando tutti tacciono, l’Io si trova da solo a congetturare sul mistero e sulle ragioni nascoste e silenziose. Insomma l’Io sospetta degli altri dato che possono formulare un giudizio maledicente sul Sé, che si sente escluso.
In questa “situazione pericolosa” l’Io diventa il prigioniero di se stesso. All’Io non resta che congetturare poiché c’è rumorio di fondo, che ha le sembianze di una calunnia.
L’autogiustificazione di Rousseau sembra la classica richiesta infantile del 2perchè non mi rispondi”. Le congetture servono solo a tentare di sbrogliare l’ “Isolamento assoluto”. Aver colto la verità è solo un “districare” o fare uscire dalla mescolanza. Ma il congetturare sul perché di questo “silenzio” significa che non si riesce a districare la verità poiché si tratta di un movimento di pensiero fra me e me, pertanto non c’è corrispondenza veritiera.
Tentare di sbrogliare la matassa, significa trovare il filo giusto. Invece le congetture riguardo al silenzio hanno amplificato l’intrigo. Il filo rappresenta la ricerca della verità, difatti, questa matassa rappresenta il caos del divenire.
Il metodo di Rousseau è una “Verità di singolare”. Si tratta di ipotizzare una serie di ragioni in moto tale da sbrogliare l’intreccio, ma questo metodo sortisce esiti negativi. Congetturare di più significa continuare a non trovare le ragioni dell’azione altrui. La “Verità di un singolare” cerca di inserire delle ragioni in modo tale da sedurre gli altri e accettare questa proposta.
Rousseau pensa: << Come uscire dalla trappola?>>. Rousseau cerca di mettere in scena un altro se e un altro, proveniente dall’opinione comune. Però la finalità di Rousseau è cercare di sedurre il lettore.
J-J pensò che aveva subito un torto, ma non sapeva quando. L’effetto? La singolarità si isola, pensando che ha fatto tutti i tentativi per sbrogliare la verità. Ma non potendo discutere sui motivi specifici di questo “silenzio” e di queste calunnie, allora, l’unica via di uscita è quella parlare su J-J, poiché nessuno parla con J-J.
Rousseau immagina o pensa davvero un complotto di tutti contro uno. Questa è l’ipotesi generale comprendente tutti i motivi di possibili di ogni manifestazione di ostilità. I Dialoghi sono la scelta dell’Isolamento, della Solitudine in quanto percepita come una pratica di vita (Starobinski). Tra tutte le accuse possibili si deve trovare quella accusa che impedisce una pronta risposta: nei Dialoghi si afferma “la peggiore per me e la migliore per gli altri”.
Come procede Rousseau? Esaminare le ragioni dell’altro significa esaminare le ragioni del complotto. Rousseau cerca di evidenziare una delle accuse più forti per tentare di esaminare o di trovare il comportamento giusto per non essere messo al bando nuovamente.
Rousseau, in quanto, autore rischia un isolamento totale, in cui la singolarità assurge ad un Ego assoluto. Rousseau non accetta i personalismi della società difatti distingue fra “Amor di Sé” e “Amor Proprio”. Amor di sé è proprio dell’uomo di natura, mentre, l’Amor Proprio è attinente all’uomo sociale.
Rousseau riguardo alle sue “Confessione” afferma che spesso gli è capitato di arrossire. Rousseau gioca la carta della “confessione messa a nudo”. Tutto ciò significa assumere su di sé ciò che dice l’altro su di me. Si tratta di dare tutti i motivi, di assumersi lo sforzo di capire le ragioni dell’altro. Rousseau mette in atto un’effettiva pratica di scarnificazione, assumendo tutte le brutte figure e le brutture su di sé.
I primi principi della giustizia e del buon senso in Rousseau sono un mostrare chi si è. Questo significa piena immediatezza ed istantaneità del proprio apparire (che qui coincide con l’essere). Rousseau cerca di fare tutto il giro attorno alla propria figura. Pertanto Rousseau parla di sé in 3° persona.
Rousseau “tratta di sé”, perché le radici teoriche dei Dialoghi sono il tentare di produrre una “difesa di se stesso”. La difesa diviene insostenibile data la “distanza” degli altri. L’insostenibilità è troppa indegna per i suoi sentimenti.
Siccome l’Io di Rousseau coincide con se stesso, e quindi è un uomo naturale che prova “sentimenti naturale”, allora Rousseau tentare di difendersi.
L’andamento dello scritto è abbastanza ripetitivo, però, la sua pretesa è dovuta al fatto che nessuno risponde all’appello di riconoscimento. Rousseau cerca una visione del Sé dentro di Sé, ma che possa essere messa fuori dal Sé per mostrarlo al pubblico, che non lo condivideva.
Rousseau prova dolore, dato che fu senti un nuovo sforzo per riprendere questo scritto tanto spesso abbandonato.
Questo scritto è sia opera di purificazione e sia una forma di scrittura alquanto pensosa. Rousseau infatti afferma che scrive come se ogni idea così come gli veniva in menta senza ricordarsi di quel che aveva scritto prima. Questa tipologia di scrivere è un descrivere in fretta, senza tenere il filo del discorso. Però questo tipo di scrittura è penosa dato che Rousseau non vuole correggere il testo, poiché Rousseau ricerca una necessità di immediatezza. Rousseau vuole mettere in mostra il proprio essere e non il proprio apparire: questa è la strada del sentimento.
L’Io rappresenta l’essere più intimo di noi stessi. Nel caso della completezza dell’Io le parti non sono sentite in tutta la sua parcellizzazione o divisione. L’estraneità è invece chi mi prossimo dal di fuori e cerca di contestarmi, ma soprattutto cerca di scomporre l’Io che è tutto intero (caso davvero difficile che l’Io sia tutto intero).
Rousseau mostra grossa difficoltà di parlare di se stesso dato che lo deve fare “senza lodarsi e svilirsi; con giustizia e verità”. Questo procedimento di accettare se stessi in tutta l’idiosincrasia di se stessi p davvero difficile perché Rousseau lo deve fare da solo.
Se Rousseau avesse nell’ambito di questo pubblico l’attestazione della sua esistenza in realtà sarebbe un J-J qualunque. Ma quando inizia davvero il valore o meglio la necessità della giustificazione di sé? Quando l’Io viene marginalizzato dagli altri. Quando l’Io prova un’idiosincrasia nel contatto on l’altro. Quando l’Io è giudicato folle e singolare se non bizzarro o addirittura un mostro.

L’Io nella società può assumere una connotazione di un’esistenza anomale quando ci si trova in disagio nell’essere osservati dagli “Sguardi”. Se il mio modo di presentarsi è posto sotto una serie di sguardi, allora, l’Io può sentirsi inadeguato. Oppure l’Io può porsi orgogliosamente contro tutti, oppure, l’Io può porsi malinconicamente verso tutti.
Nel caso specifico di Rousseau si determina tale situazione. Se nessuno là fuori non riconosce J-J allora J-J non può nemmeno apparire in pubblico, poiché non si sente degno e si sente senza onore e stima.
La verità come viene a determinarsi? E la menzogna? E la finizione? La verità significa il coincidere autentico con se stessi?
Rousseau cerca di dire con giustizia ciò che è e cerca di farlo con un criterio giusto, adeguato. Rousseau pensa che nell’apparire fuori, e quindi in società, ci si nasconde. Pertanto è necessario presentarsi ciò che si è, però è imprescindibile mostrarsi fuori per avere la possibilità di essere riconosciuti. Questa è la spiegazione del giusto mezzo: <<non lodarmi eccessivamente e non svilirmi eccessivamente >>.
L’autodifesa è propria di un autore che non riconosce in prima battuta come fare a giudicare se stesso. Lo sguardo “strabico” e “riflessivo” degli altri scompone noi stessi. Ora come si fa ad auto-difendersi?
4° Lezione: Amor di Sé e Amor Proprio

Le passioni del mondo ideale (= i sentimenti naturali provati dall’uomo naturale) sono più vive e immediate delle passioni della società. I sentimenti naturali tendono alla nostra conservazione e alla nostra vera felicità. Rousseau identifica nel Cuore dell’uomo la disposizione di ogni “Essere”, in quanto manifestazione naturale (= nel caso dell’uomo della società questa disposizione è “incrostata” ed in potenza di divenire atto!).
Quindi l’uomo naturale tende alla conservazione e alla felicità di se stesso. Però, attraverso delle fasi né premeditate, né teleologiche, ma casuali, l’Uomo Naturale può trovare degli Ostacoli alla Trasparenza del proprio cuore. Quindi la Trasparenza dei Cuori e il “carattere rettilineo” del mondo naturale vengono sviati.
I moti naturali, più si procede verso la società, più vengono stornati da mille Ostacoli. Tutto ciò porta l’Uomo Naturale allo sviamento dei sentimenti naturali, percorrendo vie oblique e dimenticando la sua 1° destinazione. Ciò significa dissentire l’ordine naturale, approcciarsi con qualcos’altro rispetto al naturale. La Società si può ritenere una deviazione della via naturale.
Lo sviarsi dei sentimenti naturali in passioni fittizie, artificiose e riflessive avviene in un contesto sociale. La società è lo spazio comune o meglio l’arena, in cui si dà uno spazio di contese. Gli sguardi degli Uomini Sociali (Uomo dell’Uomo, lo definisce Rousseau) segnano un altro modo d’essere.
Se si vivesse da soli? Il problema è che si vive insieme e legati.
Per Rousseau lo Stato di Natura è un auto-conservarsi. È una condizione di innocenza e felicità inconsapevoli. L’uscita dallo Stato di Natura significa la perdita dell’innocenza. Non seguire la direzione “naturale”, significa una mancanza di vigore, determinando di conseguenza la possibilità di una deviazione.
Lo spazio sociale è il luogo delle preferenze, dei giudizi sugli altri, delle valutazioni. Lo sguardo sociale comporta delle valutazioni reciproche. Così si istaurano delle gerarchie, delle preferenze. Lo spazio comune sembra articolarsi in un senso verticale. La funzione degli sguardi è il discriminante della dissomiglianza, della discriminazione, delle valutazioni e delle preferenze, che ovviamente non corrispondo alla Natura.
L’impulso naturale ha due articolazioni:
1° Caso: l’Uomo Naturale ha la forza di adesione ai sentimenti naturali con gioia e immediatezza;
2° Caso: L’Uomo Naturale dimostra inconsistenza di sé e si approccia verso una via obliqua. Al primo ostacolo il Sé incomincia a deviarsi. Questa non è una risposta naturale;
Dal 2° Caso iniziano le disuguaglianze, le avversità, le ostilità, le distinzioni fra gli uomini.
Nello Stato di Natura ogni essere umano sente la prospettiva naturale tanto da seguire questa direzione dell’ordine naturale, in quanto connessione originale del Sé con la Voce del proprio Cuore. Si tratta, innanzitutto, di contentezza: l’Uomo Naturale coglie i propri limiti che lo contengono e si sente bene. L’Io è contenuto nel Sé. La felicità, insomma, è un contentarsi di se stessi e del proprio modo d’essere di ciò che si è. La felicità è pertanto contenuta nel modo d’essere naturale. Nello Stato Naturale ci si occupa di sentimenti o “obiettivi” connessi alla nostra felicità, in modo da confermare il proprio modo di essere. Quasi si ha come principio la “cura di sé”.
L’Uomo naturale è dolce e amabile per essenze, invece, quando l’Uomo naturale subisce la deviazione e gli ostacoli diventa subito iracondo, astioso, insomma, un Tartufo.
L’Uomo sociale cerca qualcosa al di là della propria contentezza, pertanto significa andare al di là del Sé. Ponendosi fuori di sé, l’Uomo Naturale non è più Uomo Naturale, ma diventa Uomo Sociale. Estrinsecando il proprio Sé si fuoriesce dallo Stato di Natura. In quest’ottica l’Io tiene conto di opinioni, doxa, onori, interessi personali. L’Io dell’Uomo Sociale si trova presso “fuori di Sé” e “dentro” gli Sguardi degli Altri.
Se l’Uomo Naturale fa prevalere i sentimenti “primitivi”, allora, vi è la contentezza di sé, vi è la cura di Sé, vi è un preoccuparsi del Sé in maniera. Pertanto l’Uomo Naturale mira ad una Cura di Sé, che dovrebbe raggiungere.
Ma questo obiettivo può sviarsi, affievolirsi. Insomma la “Natura” dell’Uomo si dimostra debole. Ai “Sentimenti primitivi” seguono le passioni astiose ed iraconde. Qui l’ostacolo genera solo maggiore ostilità, comparazione ed ira. L’Ostacolo alla Cura di Sé provoca ira e astiosità. Ci siamo: siamo nel regno dell’Amor Proprio. Ma cosa vi era prima in via “ipotetica”?
È L’Amore di Sé. L’Amor di Sé è buono, assoluto. L’Uomo Naturale è contento di Sé. L’Uomo Naturale ha come massima: mai commettere male verso gli altri. Anzi lo Stato di Natura è premorale, non conosce né bene e né male. Buono si intende qui come stato di innocenza.
Questo Amor di Sé, nella Società, diventa Amor Proprio. L’Amor Proprio mira a paragoni, costatazioni sugli altri. Il suo godimento è puramente negativo, difatti, l’Uomo Sociale per realizzare il proprio bene può commettere del male rivolto verso gli altri. L’Amor Proprio è il regno dell’astio e dell’Ira. Potremmo definirlo come la serie di passioni “cattive”, astiosi, ostili e soprattutto “riflessive” o “relative”.
Infatti l’Amor di Sé è un rientrare in Sé stessi, è un contentarsi di Sé.
All’ opposto l’Amor di Sé è sempre un rapportarsi o compararsi agli altri, pertanto è relativo. L’Amor Proprio è un valicare i confini del Sé, percependo l’altro come un ostacolo, procurandogli tutto il male possibile. Insomma si potrebbe adottare questa massima per l’Amor Proprio: Io sono migliore di ciò che vedo.

Narciso è “rammaricato” della propria forza, tanto che il suo modo d’essere diventa un “Volere di Più”. Narciso è la quintessenza dell’Amor Proprio. Narciso direbbe: Io sono il migliore.
L’Uomo sociale dell’Amor Proprio non è più un’Io, ma paradossalmente è un Tu, dato che è altro da se stesso. Quindi il godimento dell’Amor Proprio è negativo. Negativo nei confronti fra di Sé stesso, poiché estrinseca il Sé al di fuori di Sé, ma anche è anche negativo poiché tenta di negare il godimento altrui.
Nel Libro IV dell’Emilio viene espressa la concezione dell’Amor di Sé. L’Amor di Sé è scrittura nel fondo del proprio Cuore. L’essere naturale è connaturato in sé, infatti, il senso della sua esistenza è limitato e contenuto nel suo intimo esistere. Nell’Uomo Naturale il Cuore diventa l’Organo della Sensibilità.
Agire, patire, impulsi, tensioni. Sono le passioni che noi vediamo in noi stessi, ma le vediamo anche negli altri. Le Passioni (o meglio nel caso dell’Uomo Naturale preferisco utilizzare “Sentimenti” in modo da distinguerlo con le “Passioni” dell’Uomo Sociale anche da un punto di vista linguistico) sono Passioni naturali quando tali Sentimenti hanno come propria sorgente il Cuore, presente in ognuno di noi.
Pertanto i “Sentimenti” sono un tratto originale dell’Uomo Naturale. In questo caso sono “innocenti”.
Invece le Comparazioni fanno sorgere un nuovo modo di patire, proprio dell’Uomo Sociale. In questo caso si può commettere del male.
Il progetto pedagogico di Rousseau è quello di educare il fanciullo a vivere l’intima veste naturale. Rousseau considera le “Passioni”, provenienti dalla Società, come una sensibilità che cerca di soggiogarci. Insomma le “Passioni” non hanno una fonte interna, una sorgenza intima come quella del Cuore, ma provengono dalla comparazione con gli altri. Queste “Passioni” sono “fuori dal Sé”. Le “Passioni” sono un modo di sentirsi, che aprono un intervallo fra Sé e Sé. Le “Passioni” non appartengono al Sé.
Quando ci rivolgiamo “naturalmente” ai nostri “Sentimenti” ci appropriamo di noi stessi. Proviamo “Amor di Sé”: un sentimento positivo, naturale, assoluto, innocente.
Quando ci rivolgiamo per “Comparazione” agli altri, le nostre “Passioni” si rivolgono fuori di noi stessi. Proviamo “Amor Proprio”: una passione di continuo ostacolo, di incessante relazione e riflessione, una passione continuamente irrequieta.
L’Amor di Sé è istinto di conservazione. Questo è il suo primo obiettivo. Questa è il primo “Sentimento” dell’Uomo Naturale. L’Amor di Sé è un impulso a conservare il Sé, è uno sforzo a contenersi in Sé. È una ricerca della Cura di Sé. Invece le “Passioni” sono una modificazione, un’alterazione, un deviarsi dell’Amore di Sé.
La maggior parte delle modificazioni sono esterne al proprio Io. In modo paradossale possiamo definire l’Amor di Sé con dei termini spinoziani: è Causa sui . Nell’Uomo Naturale causa ed effetto sono sullo stesso piano. Il Sé è causa di Sé, dove la fonte dei Sentimenti è puramente interna.
L’unica fonte interna dei “Sentimenti, ovvero il Cuore, è completamente diversa dalle modificazioni del ventaglio irrequieto delle “Passioni”.
Difatti solo in “Me” si dà l’Amor di Sé. Invece l’Amor Proprio è uno “spazio” fuori da me, non riconosco che i “Sentimenti” si siano originati in me: l’Amor Proprio è un Sé modificato in vista di qualcos’altro.
Le “Cause estranee” o “Cause Esterne” provocano modificazioni nocive, derivanti e dipendenti da altro. Sono nocive perché producono una separazione, un intervallo, una scissione dentro di me.
Valery afferma: “C’è qualcuno che sente in me, ma non sono Io!”.
Questa affermazione ci ridà il carattere di estraneità dell’Io immerso nella società. Il carattere di estraneità è così evidente che rifiutiamo di sentire ciò che sentiamo.
Queste “Passioni” sono nocive perché cambiano il Sé, trasfigurando la propria Natura. Però, paradossalmente per Rousseau, l’Uomo non ha la tendenza ad essere cattivo. Ma sono le relazioni che noi stabiliamo e l’estrinsecazione del Sé e delle sue “Passioni” che ci fanno diventare “cattivi” e compiere male.

Con l’Amor Proprio proviamo un godimento tramite l’eliminazione dell’altro e del suo godimento. Insomma, con l’Amor Proprio, la “NATURA è in contraddizione con Sé”.
L’Amor Proprio, come ben si è capito, è un pervertimento dell’Amor di Sé.
Per Rousseau nella Società lo Stato naturale corre l’ovvio rischio di pervertirsi, comportando un successivo stadio di gerarchia, di valorizzazione, di distinzione, di disuguaglianza.
Le “Passioni” sono modificazione del Sé fino a produrre un intervallo fra il Sé e il Sé. Quindi tali “Passioni”, o meglio l’Amor Proprio, comportano una contraddizione e una scissione del Sé.
Quand’è che c’è dissomiglianza? La frequentazione degli altri genera un tipo di attrazione molto elevato, anche se la “socialità” dell’uomo si genera più per causalità che per dato innaturale. Quindi nell’ordine della Società gli Sguardi tendono a distinguere i vari Io e a differenziarli in base a disuguaglianze.
L’Amor di Sé, in quanto sentimento naturale si rivolge solo all’autoconservazione e alla felicità del Sè, viene modificato da cause esterne nella Società. Tutto ciò comporta l’ingresso in scena nell’arena sociale da parte dell’Amor Proprio. L’Amor Proprio è un volere il proprio Sé in contrasto vittorioso nei riguardi dell’Altro. Perciò l’Amor Proprio è un pervertimento dell’Amor di Sé.
L’Amor di Sé è istinto primitivo, è un sentimento primigenio, residente nel Cuore dell’Uomo Naturale. L’Uomo Naturale mira alla conservazione della specie. Dove la vita della specie si afferma solo se io affermo il proprio Io, se l’Io è in grado di vigilare sul proprio Sé e sulla propria esistenza. Solo così si conserva il sé. L’Amor di Sé è un vegliare su di Sé: è attenzione alla cura e all’esistenza di Sé.
L’Amor di Sé è rivolto tutto al proprio Sé, invece, la tyme dell’Amor Proprio mira al riconoscimento sociale e pone il Sé fuori di Sé. È proprio nell’Amor Proprio che si “mortifica” il proprio Sé, dato che la vita del Sé è scissa dal Sé.

ousseau, amor di sé e amor proprio Rousseau distingue tra due forme di amor proprio: l’amor proprio in senso lato, che chiama anche amore di sé (“amour de soi”), è un sentimento assoluto, naturale e buono per definizione perchè assicura l’autoconservazione dell’individuo ed esprime il suo diritto alla vita; l’amor proprio relativo (“amour propre”) è invece sempre negativo, in quanto, nascendo dal confronto con gli altri, si configura come sentimento sociale ed è quindi subordinato all’opinione.

La sensibilità positiva deriva immediatamente dall’amore di sé. È naturale che colui che si ama cerchi di estendere il suo essere e i suoi godimenti e di appropriarsi, coi legami affettivi, di ciò che egli sente possa essere per lui un bene. … Ma non appena questo amore assoluto degenera in amor proprio, e in rivalità comparativa, ecco che produce la sensibilità negativa; appena, infatti, si prende l’abitudine di misurarsi con altri ed uscire da se stessi per assegnarsi il primo e il miglior posto, è impossibile non provare avversione per tutto ciò che … ci impedisce di essere tutto.
(J.-J. Rousseau, Dialogues, II, O.C., I, pp. 806-807 ; trad. it. S.A., pp. 898-899)

5° Lezione: I vestiti e l’ansia di prestazione nella società

Amare se stessi è una modalità di amore. In questo caso l’Io e l’Ego sono la voce del Sé.
L’Io, però, si configura come una costruzione tardiva in un lungo processo di modificazione dei sentimenti.
L’Io o l’Ego sono il processo: 1) di una riflessione di me nell’altro; 2) di una ricongiunzione di me nell’altro; 3) di un ritorno su di Sé per via di un altro.
Il bambino nel suo lungo processo di formazione attiva i suoi sentimenti in base ai diversi rapporti che stabilisce. Questi sentimenti si svegliano via via che intensifica le sue dipendenze verso gli altri. Questi sentimenti si esprimono sul piano corporeo e sul piano del linguaggio.
Ritorniamo sull’Amor Proprio. È una “passione” mai contenta. Esige che gli altri ci preferiscano a discapito di altri. Dà vita al risentimento: un sentimento che pone un rivolgimento verso il proprio Io e gli altri. L’Amor Proprio è un’uscita dai limiti del Sé, poiché si relazione con gli altri. L’Amor Proprio è l’apparire delle preferenze. Dai vari confronti fuorisce un sentimento del Sé che vuole essere sempre di più. L’Amor Proprio vuole che gli altri ci preferiscano e crea una forma di “dipendenza”. Insomma l’Amor Proprio è un disconoscimento del Sé dato in relazione agli altri.
Dall’Amor di Sé scaturiscono “passioni” affettuose e dolci.
Dall’Amor Proprio scaturiscono passioni odiose e irascibili.
La condizione ontologica dell’Amor Proprio è la “Correlazione”, poiché le relazioni sociali stabiliscono determinati rapporti in cui gli Sguardi formano i diversi Io e li condizionano.
Quindi il Sé si espone nelle relazioni sociali. Esporsi significa dare una futura possibilità dell’Io con esiti negativi, ovvero, la stessa dissoluzione del Sé. Dai rapporti sociali si determina la dissomiglianza o meglio la disuguaglianza (o inuguaglianza).
L’Amor Proprio è diventare ciò che l’altro deve preferire a se stesso. Il tratto cattivo dell’Amor Proprio è un’eccessiva esposizione bisognosa dell’Io nell’orizzonte di soddisfacimento di bisogni esterni.
L’Amor di Sé non prevede mai la possibilità di paragonarsi all’altro. Qui c’è solo cura di sé e presenta anche pochi bisogni. I suoi sentimenti sono la necessità di conservazione e l’affermazione della propria esistenza a livello minimale.
Invece l’organizzazione societaria presenta una molteplicità di bisogni molto più alta. Qui, nella società, si inizia la “lotta” di paragonarsi all’altro. La radice dell’Amor Proprio è la perdita del sé oltre la misura della propria conservazione. Difatti l’opinione o la doxa impoverisce la mia esistenza defraudandola. È in questa maniera che l’Io incomincia a dipendere solo dall’opinione o dalla doxa.
Dall’autostima dell’Amore di Sé provato dall’Uomo Naturale si passa agli sguardi valutativi dell’Amor Proprio provato dall’Uomo Sociale.

Nel caso dell’Uomo Naturale la sussistenza unitaria dell’Io è data da un “guardarsi dentro”;
Nel caso dell’Uomo Sociale la sussistenza unitaria dell’Io è data da un “guardarsi fuori”. Quindi è più difficile raggiungere una certa unitarietà per questo Io sociale;
L’Uomo naturale è un uomo in rapporto con sé. Qui Essere e Apparenza coincidono.
Invece l’Uomo Sociale è un uomo sottoposto al gioco degli sguardi, ovvero, l’essere guardato dagli altri e il guardare gli altri. Qui si smette di apparire ciò che si è.
Nel caso dell’Uomo Sociale il metro di misura è esterno al Sé. Pertanto si introietta nel Sé un sentimento di tipo “esterno” che può avere effetti di svalorizzazione del Sé. [Facciamo un piccolo esempio. Un ragazzo bullizzato subisce gli sguardi astiosi dei suoi coetani e pertanto l’opinione dei bulli è introiettato nel ragazzo bullizzato, che potrà avere dei problemi di autostima].

Nelle Confessioni viene presentato che l’Io di Rousseau (e non solo lui ovviamente!) è dato anche dal suo modo di vestirsi. Un nostro detto è: l’abito non fa il monaco . Ma in questo caso è l’abito che fa il monaco. Nel senso che anche i nostri vestiti sono parte di come ci auto-rappresentiamo nella società e di come vogliamo che gli altri ci guardino. Come ci presentiamo in società?
L’Io di Rousseau assurge quasi a livello di dimensione “psicologica malata”, dato che è ossessionato dalla Società degli Sguardi. Ricordiamo non solo le sue manie di persecuzione, ma anche il suo background autobiografico siccome è vissuto in una realtà cittadina, quale quella di Ginevra, fortemente intrisa di conservatorismo e calvinismo.

La veste da Armeno di Rousseau ci spiega quanto sia importante la presentazione del Sé fuori di Sé in contatto con gli altri. Il 1° Sguardo degli altri si concentra su come stiamo vestiti. È una delle prime azioni che non solo gli altri compiono, ma noi stessi compiamo. Si sceglie un colore, una taglia ecc. Di solito si sceglie un determinato vestito poiché si cerca di cogliere lo “Sguardo benevolo dell’altro”. Il Sé cerca di attrarre la preferenza degli altri, ponendosi in un rapporto continuo di relazione con gli altri.
Pensiamo a quando ci guardiamo allo specchio prima di uscire di casa: non cerchiamo di attrarre anche gli altri su come siamo vestiti?

Guardandoci allo specchio prima di uscire rientriamo nel gioco/giogo dell’opinione altrui. Il nostro Io trasforma la valutazione “autoctona” del proprio Io in una valutazione estrinseca dell’altro connessa alla visione dell’opinione, della doxa.

L’essere in relazione con gli altri è l’aspetto costitutivo dell’Uomo sociale. Addirittura per Aristotele l’Uomo è un’animale politico e sociale.
L’Io deve essere studiato moralmente in relazione a tutte i suoi rapporti che stringe con gli altri. Lo Stato Naturale, per Rousseau, è uno stadio pre-morale in cui si ha l’innocenza di un Uomo naturale, che non conosce né bene e né male, e può essere paragonato all’età della fanciullezza dell’Uomo. Invece con morale indicheremo un successivo sistema valoriale, ove, i rapporti degli uomini sono relazioni di “costume” che vedono l’interazione di diversi uomini.
Da queste interazioni sorgono delle preferenze per terminati “costumi” e in seguito tali possono divenire costanti e diventare “consuetudine”.
Prendiamo il caso delle consuetudini dell’atto sessuale o di Amore nel caso dello Stato di Natura e dello Stato di Società.
Nel caso dello Stato di Natura siamo in presenza di un’ “Amore cieco” poiché l’Amore non è influenzato dagli sguardi degli altri. Difatti non possiamo scorgere gli sguardi degli altri, proprio perché qui l’Amore è solo pieno istinto. In questo stadio l’Amore non prevede la presenza della visibilità delle relazioni di comparazione. Qui l’Amore di Natura è solo un’attrazione sessuale, quasi indifferente. Qui, però, l’Amore è elevato a oggetto primo di una relazione sessuale ovvero l’oggetto d’amore stesso.
Nel caso dello Stato di Società siamo in presenza di un’ “Amore con il freno”. È un Amore che non ha più il contatto con la natura. Difatti questo tipo di Amore in Società è quasi regolato, frenato nelle sue inclinazioni naturali. È un tipo di Amore soggetto allo Sguardo degli altri. Quindi l’oggetto di Amore, che nello Stato di Natura è l’Amore stesso, invece, nello Stato della società trasferisce l’oggetto d’Amore in un altro al di fuori di noi. Questo “Amore con il freno” devia tutte le inclinazioni naturali presenti nell’Uomo. Qui l’Amore subisce quasi una scissione del suo significato originario: lo stesso “Amore cieco”/naturale viene neutralizzato poiché conta qualcos’altro, addirittura oltrepassando il dato fisico fino ad offuscarlo. Conta solo lo sguardo degli altri. L’Io è perduto. [Facciamo un esempio Berlusconi con Francesca de Pascale, che è interessata solo a Fininvest o Mediaset o ai suoi luridi soldi: l’esempio è calzante].

Così questa forma di Amore ha una “costituzione immaginaria”, cioè, nel senso che è posta fuori di noi, mentre, noi stessi calati nella società ci “armiamo” contro gli altri per difendere la propria figura sociale, che è in continua contesa e rivalità contro gli altri.
Nella società umana, per Rousseau, a rendere vera la relazione soggettiva sono i “Sentimenti” personali, che in realtà richiamano allo Stato di Natura. Difatti nell’umana società prevalgono pregiudizi continui elaborati dalla folla, che inducono l’uomo in errore. Tanto che l’uomo secondo Rousseau è distolto dal vero scopo della sua vita. In questa dimensione “pulsionale” della doxa si instaura una dimensione di guerra costante delle “passioni” (qui Rousseau sembra richiamarsi ad Hobbes nell’ homo homini lupo). Questo continuo marasma e costante rivalità inducono il saggio ad andarsene ad isolarsi. Il saggio così evita di incorrere nuovamente nell’errore.
Ma perché vivere in relazione con gli altri causa dei disagi? Il rapporto con gli altri stabilisce un’ansia di prestazione fortissima, dato che l’Io è soggetto al gioco/giogo degli Sguardi. Difatti l’Io è sempre attento a come debba rappresentarsi. L’Io relazionandosi all’altro deve alzare il tiro delle proprie pretese quasi in maniera incommensurabile e indeterminabile, poiché la continua comparazione agli altri e la considerazione degli altri (sempre in quanto nemici) producono nell’Uomo un’ansia continua di prestazione.
L’Io è sempre in riformulazione di se stesso, incessante trascendimento di se stesso, in modo da adattarsi alla doxa formulata dal pubblico. Questo è il vero problema del rapportarsi all’altro.
Rousseau spiega nelle diverse fasi del passaggio dall’Uomo Naturale all’Uomo della società come l’intersoggettività si dia più per motivi casuali, ma sono decisivi gli esiti del contatto con gli altri.

Ritorniamo al rapporto fra Rousseau e gli Illuministi.
Rousseau accusa gli illuministi di avergli voltato le spalle, dato che prima li considerava come degli amici. L’amicizia è un modo di relazionarsi all’altro dove non ci sono radici di contesa. L’amico prova Amor di Sé verso l’altro.
Invece nella società è fondamentale essere accolti. È fondamentale essere accettati e ben visti. È fondamentale apparire di essere (riusciti in qualcosa). L’Io insomma tradisce le sue origini. La società, pertanto, è sempre porsi come essere sempre in “prestazione”. Stare in pubblico significa sempre constatare l’altro. Difatti diviene importante addirittura il sentimento del “ridicolo”, oppure, divengono importante gli stessi vestiti.
Ma l’esperienza di Rousseau in società è un’esperienza fallimentare, dato che il suo bisogno di comunità (specialmente una comunità di amici) e la continua ansia di individualità lo condurranno in realtà alla solitudine e a un rigetto della società. Rousseau doveva dimostrare con il suo esempio la “negazione della negazione”, cioè, doveva negare la società, poiché a sua volta la Società negava la Natura.
Quindi l’Io è in pieno disagio nei “giochi” di esibizione dell’Ego o dei vari Sé, pertanto può non voler aderire a questo “Stato di Società”. La risposta di Rousseau, come è espresso nei Dialoghi (pag.23), è la scelta della solitudine. Questo atteggiamento è giudicato come saggio da Rousseau in quanto si tratta di isolarsi dallo scenario “bellico” della società (ovvero lo scenario del turbine delle passioni velenose). Questo atteggiamento di isolamento consiste nel << impazienza nel posto in cui l’ha messo il caso >>. Insomma Rousseau diviene il “teorico” dell’inazione, della passività.
Perché si è saggi? Il granello di saggezza è quello di uno sconfitto, ovvero, quello di tornare ad interessarsi a Sé. Ritirato e senza impazienza significa l’uscita dalla condizione sociale e ritornare alla situazione originaria senza alcuna aspettativa. Di nuovo Rousseau diviene il teorico dell’inazione.
Quindi possiamo sintetizzare:
L’Esposizione dell’Io allo sguardo dell’altro significa sfidare gli altri ed essere sfidati a propria volta. Quindi siamo dentro la società;
L’Isolamento e l’inazione pongono l’Io fuori dallo Sguardo degli altri e in una condizione di cessazione delle passioni violente. Quindi siamo fuori dalla società

6° Lezione: La Comunità degli Amici

L’uomo della società individua auna disposizione a voler far male gli altri. Quindi è un uomo “debole” se si confronta all’Uomo della Natura, che guarda soltanto al proprio sguardo, alla propria “contentezza”. L’Uomo della Società è debole poiché è sopraffatto dal turbinio delle passioni avvelenate dell’Amor Proprio.
Invece l’Uomo della Natura è innocente, poiché non ha intenzione di nuocere. Pertanto il male si palesa solo quando si instaura una relazione con gli altri. L’odio e la furfanteria sono estranei all’uomo naturale.
Fra Uomo naturale e Uomo della Società vi è una differenza che può essere spiegata con la presunta “colpevolezza” dell’Uomo Naturale e la malvagità dell’Uomo Sociale:
La presunta “colpevolezza” connatura l’Uomo Naturale quando deve agire per la propria auto-conservazione, ma non si tratta mai di volontà di nuocere l’altro (= nuocere gli altri è proprio della costituzione debole dell’uomo, che si esprime perfettamente nell’Uomo Sociale). L’Uomo Naturale prova un “primitivo” Amor di Sé: qui l’Uomo Naturale tenta di preservare la propria costituzione singolare, mai a danno dell’altro, mai con l’intenzione pregiudicata di nuocere gli altri. Quindi l’Uomo Naturale agisce nei limiti della propria conservazione;
La malvagità dell’Uomo Sociale prevede un’inversione del Sé al Proprio. Il Sé indica un sentimento di unitarietà della propria esistenza, proprio dell’Uomo Naturale. Ma con il passaggio nella Società, prevale il Proprio, in quanto la nostra esistenza ha voglia di primeggiare sugli altri e continua a paragonare il Proprio con i Propri degli altri. Qui ne deriva contesa, lotta, ma soprattutto malvagità;
Possiamo concludere che:
Il sentimento dell’Amore di Sé è un Sentimento/Passione Primitiva. Da qui la definizione di colpevole
Il sentimento dell’Amor Proprio è una Passione Sociale. Da qui la definizione di malvagio
L’Amor di Sé è un trattenersi nell’innocenza, è compiere una colpevolezza involontaria.
L’Amor Proprio è un trattenersi nella malvagità, connessa all’idea di voler far male l’altro, spinto da una passione velenosa di primeggiare sull’altro. Pertanto l’Amor Proprio è perversione dell’Amor di Sé.
Cosa succede quando l’Amor di Sé entra casualmente in società? L’Amor di Sé chiede di essere valorizzato e di essere di più, quindi si snatura.
Si è malvagi poiché ci si confronta con gli altri, in una situazione di continua comparazione delle preferenze dei diversi Proprio. Il Proprio dà “spettacolo” di Sé nella Società, fino a produrre un Gioco incessante di Valorizzazioni.
In Società si presenta un conflitto permanente, un continuo esibirsi del Proprio sé. Quindi il Sé non viene mai vissuto. Difatti quelli che vogliono apparire si agitano nelle loro presentazioni di Sé. Difatti quelli che imboccano la strada inversa, ovvero quella di “rientrare in sé”, si rifiutano di partecipare al gioco/giogo delle preferenze.
L’Amor Proprio non raggiungerà mai un obiettivo prefisso. L’Amor Proprio insegue la Vanità in quanto Felicità, dando un’eccessiva a valorizzazione al Proprio.
Invece il Sentimento Primitivo dell’Amor di Sé mira solo alla conservazione della propria vita, mentre, la felicità nello Stato di Natura consiste nella concretezza della propria esistenza e al soddisfacimento dei bisogni naturali. Quindi l’uomo di natura non conosce passioni artificiali (proprie della società) e non ha desideri che vadano oltre la stretta necessità.

La vanità si sviluppa in seno alla Civiltà, alla Società. Non si tratta solo di narcisismo. Ad esempio ha grande importanza l’abito, poiché in Società si deve esibire il Proprio sé prima di presentarsi agli altri. L’Immagine del Proprio, che il Proprio vuole diffondere, deve conservarsi anche all’esterno e agli altri. L’esibizione del Proprio Sé con altri Propri è la ricerca incessante di una conferma e di un riconoscimento proveniente dall’esterno. Quindi le passioni fittizie, sorte in seno alla Società, sono le radici di ciò che ci pervertono. La radice di ciò che ci perverte è il nostro modo di rapportarsi agli altri Proprio, manifestando malvagità nei loro confronti.
Dalla cellula sociale della famiglia fino alla Società il Proprio si cerca di fuori e cerca il riconoscimento degli altri. La Vanità e l’Orgoglio si originano quando compare lo Sguardo degli Altri. Essere smentiti dagli altri mi “inviperisce”. Pertanto il giudizio degli altri ha un enorme “valore relativo”, difatti, può destare orgoglio, rabbia, vanità. Ma se l’altro non mi degna di uno sguardo può produrre depressione di Sé.
Rousseau si sente come un barbaro non capito in patria. Si sente straniero in patria. Difatti l’epigrafe del testo riprende un verso di Ovidio: Barbarus hic ego sum, quia non intelligor illis.
La felicità dell’Uomo Naturale è una felicità nell’intimo sentire. Quindi queste coscienze si agitano poco per stringere relazioni di buon grado. Qui la felicità non è il giudizio dato dall’opinione delle altre coscienza, ma è, invece, l’adesione totale all’esistenza e alla conservazione del Sé. Il Cuore è contento: qui essere felici significa contentarsi dei propri limiti, di avere la capacità di stare nella propria esistenza.
Rousseau era scisso proprio fra il Sé e il Proprio, fra due figure molto differenti. Rousseau era scisso fra la stima di Sé e la stima del Proprio ricevuta dall’altro.
L’Isolamento è sempre un’esistenza solitaria. Questa è la scelta di Rousseau. La volontà di isolamento, però, paradossalmente si evidenzia su chi a delle volte ha la volontà di eccellere sugli altri. Quindi la situazione di Rousseau è davvero paradossale.
Essere stranieri in patria significa sentirsi messi in disparte.
Rousseau afferma che noi siamo costituiti davvero in maniera così singolare, poiché non mostriamo ciò che siamo davvero ma ciò che appariamo. In noi si creano dicotomie e giochi fra Essere/Doxa, Essere/Apparire che formano il nostro Io.
La Felicità per Rousseau si consegue soltanto nell’intimo sentire. Ma in società questi cuori come fanno a riconoscersi? I Cuori si riconoscono essendo individuabili da chi è fatto dalla stessa maniera. Questi Cuori si esprimono diversamente dagli altri, dato che gli altri inseguono solo l’approvazione del Proprio sé presso gli altri. Questi cuori quasi si “de-socializzano in società”, ovvero, il loro essere di natura è presente in società. Ma come si può realizzare tutto ciò?
Rousseau propone un grande progetto: l’Educazione negativa, espressa nell’Emilio. Rousseau propone una diseducazione sociale e la ri-appropriazione del Sé. Rousseau cerca di evidenziare la necessità dello Stato di Natura anche se la sua radice storica è lo Stato Sociale. Quindi Rousseau si propone che << nel mondo dell’Apparire si debba vedere il mondo dell’Essere >>.
Rousseau è come se giustapponesse la Comunità degli Amici fra lo Stato di Natura e lo Stato Sociale. La Comunità degli Amici non è una società di dissimiglianti, anzi i loro Cuori si riconoscono fra di loro. Anche nella Società i simili di Cuore hanno la possibilità di riconoscere. Ritorna il leitmotiv della questione del Riconoscimento. Gli esseri simili si riconoscono per i loro tratti singolari. Questi tratti singolari, per Rousseau, sono il Cuore e il Sentimento Primitivo dell’Amor di Sé, che si danno nell’immediatezza del sentire. L’Uomo sociale si rimpossessa del proprio Sé in questa maniera e non lo dimentica neppure nella Società a contatto con gli altri.
Questa Comunità di Amici è formata da individui che si individuano per un segno: il tratto comune del Cuore e del Sentimento Primitivo del Sé. La Comunità degli Amici, dei “Fratelli” è una “Comunità” a parte, che si de-socializza.
Ma perché non si può essere amici fra esseri sociali? Perché c’è rivalità?
Il segno che io riscontro nel mio simile nella Società è percepibile proprio perché si basa su un sentire allo stesso modo. C’è qualcosa che io individuo nell’altro (= sempre il leitmotiv dell’altro). Ciò che di particolare ha questo segno è che non si può contraffare: arriva ai Cuori degli altri e risulta immediatamente vero quando è percepito.
Quindi qual è questo segno distintivo secondo Rousseau? Da cosa riconosco il simile?
La maniera così singolare così come sono fatti gli “indiziati” (pag.26 di Rousseau Giudice di J-J) è che appiano come sono. Le loro singolarità appiano fuori così come sono identici dentro. Modificare il loro animo è impossibile. È impossibile che non si dia a vedere, è impossibile occultare un Cuore sincero. Qui c’è immediatezza di sentimenti e di idee, difatti, non c’è scissione fra Ragione e Sensibilità. Le loro singolarità sono coerenti con sé stessi, sono somiglianti più con Sé.
Addirittura Rousseau ribalta la massima cartesiana (Penso, dunque sono), sostituendolo con “Penso, dunque sento”. Negli amici l’essere razionale ed essere sensibili coincidono, qui c’è perfetta corrispondenza, perfetta coerenza.
L’impronta degli amici è “qualcosa che si è impresso”. Non si ha una vera e propria nozione fissa della propria impronta, poiché la ricerca di questa impronta nel proprio simile produce continuamente delle “atmosfere diverse” con gli altri. Solo coloro che la conoscono, che la percepiscono, che la sentono immediatamente, che ne sono personalmente improntati possono riconoscersi in quanto “indiziati”, in quanto Amici. Non si può sfuggire da questo stimolo, è << difficile da ostacolare, è impossibile imitarlo, e si fa sentire in tutto ciò che produce >>. Questi soggetti sono intimamente impressi della coerenza fra Ragione e Sentire. L’Io sente questo modo di essere e come esso si mostra.
Essere “iniziati” significare aderire a una costituzione singolare e non comune, e soprattutto significa essere i possibili membri di una “Comunità di Amici”. Questo segno, ovviamente il Cuore, non si può contraffare, esso risulta vero dal momento in cui viene percepito.
Gli Amici sono gli Abitanti del Mondo “Dis-incantato”: sono delle singolarità, che si avvicinano molto di più all’essere naturale, contrapponendosi all’Uomo Sociale, ma sono comunque calati nello Stato Sociale.
Gli Amici assumono un comportamento diverso, un diverso modo di essere. Gli amici si individuano con semplicità, data la loro diversità dei modi d’essere. Gli amici sono diversi dalle maschere dell’Uomo sociale, che si cela, che si nasconde, che ottenebra la realtà, facendola piombare in un’assoluta Apparenza.
Il segno dell’Amicizia presenta i tratti di un’idiosincrasia, di una iper-sensibilità. Il segno dell’Amicizia appare immediatamente come Essere, ovvero, è un “incisione così singolare che viene fuori in modo evidente”.
Il Segno dell’amicizia agisce immediatamente alla sua fonte. Si tratta di mostrarsi di come si è davvero, di ciò cono. È il nostro Sé, il nostro essere che si mette fuori in corrispondenza di Cuore con il proprio simile. Questi sentimenti sono proprio dell’Uomo Naturale.
Ma cos’è il Cuore? Il Sentimento? Il Sentirsi?
Il Cuore è il motore, il nucleo, la parte più intima del proprio sentirsi e del proprio Essere. Insomma il Cuore è senza di cui non si è ciò che si è.
Nell’essere sociale c’è una costrizione a non potersi esprimere perché manifestare ciò che si è significare esporsi a tutti gli altri, a tutti gli uomini comuni. È proprio in questo caso che il sigillo o l’inciso di due Cuori non corrispondano, dato che hanno una maniera di esprimersi verso l’altro puramente differente. Questi due Cuori (uno ovviamente non lo è) non si riconoscono perché non hanno lo stesso sentire, hanno modi d’essere completamente differenti e non hanno una radice comune o una fonte comune.
I due Cuori simili, i due Amici hanno un contrassegno corrispondente. Questa è la linea che si stabilisce fra due cuori simili. Il Riconoscimento avviene solo quando c’è la scoperta del proprio simile: questa è una sensazione immediata. Questo contrassegno non può essere imitato: l’imitazione è un comportamento contemporaneamente di simulazione e di dissimulazione. Invece due Amici si distinguono, si riconoscono, si individuano, si sentono tali.
L’Amico risulta vero nel momento in cui è percepito. Questa è la Corrispondenza dei Cuori. Questa è la corrispondenza del Simile. È immediatamente vero perché in Te risuona il Me e perché anche in Me si riverbera il Tu.
Nel caso della riforma morale di Rousseau vitam impendere vero significa essere fedeli alla propria costituzione primitiva. L’Amor di Sé è il luogo della verità, poiché è il luogo del Sentimento. Qui non ci sono verità logiche, ma verità di Sentimento. Il vero è nel sentire, è nel Sé, è nell’autenticità del Sé non nella perversione dell’inautenticità del Proprio Sociale.

L’iniziato distingue subito il suo fratello, dato che è manifesto questo segno ed è inciso nel Cuore. Quindi l’Amico non può essere un imitatore, non simula, ma si riconosce per questa evidente idiosincrasia.
Il Sentimento è la cifra della Verità: non si può contraffare. Il luogo della Verità non è contraffabile, è immediato, sfugge ad ogni mediazione, non è gestibile.
Imitare è il modo della convenienza e di appartenere al mondo delle maschere sociali. Essere amici significa essere accettato senza sforzi, senza la lotta per il proprio prestigio, per il proprio riconoscimento.
Entrare nella Comunità di Amici significa non partecipare più allo spazio delle maschere. Lo “smascheramento” è si attua quando vi è una corrispondenza di Cuori e Sentimento fra due Uomini.

7° Lezione: Il Regno dell’Amor Proprio

L’Io coincide con il sentimento stesso dell’esistere: è un sentirsi in vita e voler continuare a farlo.
Nell’Amor Proprio l’Io si è “sradicato” dall’esistenza, poiché pone la propria attenzione sul mostrarsi o sull’apparire in rapporto agli altri. L’attenzione dell’Io qui mira al fatto che siano gli altri. L’Io qui fa più attenzione allo Sguardo degli altri, ne è condizionato e soprattutto vuole primeggiare sugli altri.
La Società, insomma, è una relazione di sguardi. L’Io in Società ragiona in questi termini: << vedere ciò che l’altro fa temendo che gli altri possano opinare su di lui >>.
Il Proprio sé, in Società, è colui che si mostra in modo tale che gli altri lo notino e lo pongano al centro dei propri Sguardi.
Nella relazione sociale l’Io cerca di porre un’attenzione smodata sul Proprio Io. Cioè ricerca maggiore piacere per sé, maggiore onore per sé, maggiore valorizzazione per sé, maggiore piacere per sé.
Nel caso dell’Uomo Sociale, che prova Amor Proprio, il Sé diventa il Proprio, ovvero, è come se il Sé fosse uscito dall’immediatezza naturale per riflettersi sull’esterno, ed essere a sua volta essere riflesso dall’esterno.
L’Io in questo caso ha due possibilità di risposta: 1) diventa orgoglioso e superbo; 2) diventa schiavo, dipendente, umile.
La vera sorgente dell’Onore e dell’Orgoglio, quindi della Vanità, è l’Amor Proprio. L’Io si auto-percepisce e valuta la propria dignità come se non potesse essere toccata, svilita o macchiata da nessuno. L’Orgoglio è un sentimento compiutamente “relativo”.
Nell’Amor di Sé la smodata attenzione del Proprio non vi entra mai, pertanto non entra mai nell’Uomo Primitivo.
Nell’Amor Proprio l’Io fa caso soltanto al proprio Io, più di ogni altro. L’Io pone un’attenzione eccessiva del Proprio Io, ma al tempo stesso è soggiogato dallo Sguardo altrui. L’Io diventa il “Proprio”. Nell’Amor Proprio si ha una distanza enorme dall’immediatezza dell’esistenza naturale. Nell’Amor proprio l’Io porta fuori il Proprio sé. Quindi il movimento del Proprio è un trarsi fuori. Nell’Amor Proprio la relazione speculare degli sguardi fa fuoriuscire il Proprio.
La raffigurazione del Sé, nell’Amor Proprio, diventa la “cosa più Propria” dell’Io fino a coincidere con la parte più intima del Sé.
L’Onore può coincidere addirittura con una parte del proprio corpo. L’Amor Proprio è la sorgente vera e propria dell’Onore. Ad esempio il rispetto è una relazione di “intimidazione”, comportando una gerarchia nel rapporto.
Insomma la nostra immagine pubblica di se stessi nella società è fondamentale, poiché è quella che noi passiamo e trasmettiamo agli altri.
L’Amor Proprio è la “passionalità” velenosa, artificioso che scaturisce dal rapporto con l’altro, ma noi possiamo addirittura identificarsi su come pensano gli altri su di noi. Il ritratto dell’Io può essere rifratto dal di fuori, comportando una scissione del Sé.
Questo Proprio sé viene quasi concepito alla stregua di uno spazio di proprietà che non può essere sfigurato dagli altri nella Società. L’Io si duplica in se stesso (mentre nello Stato di Natura coincide con se stesso): 1) coincide con la raffigurazione che Io do di me stesso; 2) coincide con la raffigurazione gli altri hanno di me.
L’Io della Società è una “Superfetazione” (aggiunta superflua) del Sé. L’Io sociale non vive un’esistenza naturale, ma è un’esistenza per gli altri, purché l’altro non mi ferisca. Nella società lo Spazio del Sé è recintato nella relazione degli Sguardi, in quanto bisogno artificiale.
Nell’Amor Proprio l’esistenza dell’Io può essere provocata dall’offesa, da un male esterno, che procurano all’Io della Società un malessere. Invece nell’Uomo Naturale si compie “male” solo inconsapevolmente, quindi prevale più una colpevolezza inconsapevole.
Quali sono quindi i due tipi di coscienze per Rousseau?
Da una parte abbiamo la Coscienza Estranea in cui predomina l’Amor Proprio, e di conseguenza ne scaturiscono paragoni e valorizzazioni esterne.
Da un’altra parte abbiamo la Coscienza Interna in cui predomina l’Amor di Sé, e di conseguenza qui l’unico spettatore del Sé è proprio l’Io.
Ma quando avviene la “violazione” dello spazio altrui? Ovvero la violazione dell’altra esistenza?
Nel caso dell’Amor di Sé non c’è alcuna intenzione di violare l’altro.
La violazione diventa stupro quando è intenzionalmente progettato l’inesistenza dell’altro in quella determinata situazione, proprio perché l’altro gli fa ombra. L’offesa nasce nel regno della doxa, dell’opinione, pertanto si mostra insolenza e sdegno (mentre nell’Amor di Sé non è presente alcun progetto malevolo).
L’Esistenza naturale ricerca il proprio piacere naturalmente e fugge il dolore, mentre, l’Esistenza sociale si colora dello “sdegno”, dell’insolenza e dell’orrore.
L’Amor Proprio vede ciò che crede di voler vedere. L’Amor Proprio è un sentimento relativo che nasce nella Società. L’Amor Proprio è la considerazione di noi stessi con la finalità di nuocere l’altro intenzionalmente. Pertanto la Società diventa il luogo di contesa, di lotta permanente.
L’Io della Società è una Superfetazione del Sé, in quanto amplificazione dell’esigenze eccessive della “propria cara persona”.
L’Onore, la Dignità, il rispetto sono tutte dimensioni del Riconoscimento sentito come valorizzazione dell’esistere fuori di Sé. Questo è proprio il regno dell’Amor Proprio. Invece il registro dell’esistenza naturale è completamente opposto.
Difatti l’Amor di Sé è un puro sentimento in cui non entra affatto la riflessione. Ogni esistenza va in direzione di un “Benessere”, che nel caso dell’Uomo Naturale tale ricerca non danneggia l’altro, mentre, nel caso dell’Uomo Sociale tale ricerca nuoce l’altro.
Nel Puro Sentimento dell’Amor di Sé non c’è riflessione (intesa qui come preferenza o comparazione) è solo la maniera di esistere in quanto tale nel suo modo naturale. Questa maniera di vivere è un modo assoluto, è sciolto da, è autosufficiente, pensa solo al Sé e non è in contrasto con l’altro.
Questo sentimento puro dell’Amor di Sé può degenerare nell’Amor Proprio. Qui si sente l’esigenza di confrontarsi. Si sente l’esigenza di apparire ciò che non si è. L’Amor Proprio rifiuta la naturale conservazione del sé e quindi non è espressione del vivere in quanto esigenza naturale. Ma l’Amor Proprio nasce da un’esigenza sociale e culturale nelle varie frequentazioni, dandosi in uno spazio comune della Società.
L’esigenza di confrontarsi è la radice stessa del Sentimento relativo dell’Amor Proprio, che nasce nella società. Questo tipo di sensibilità è una sensibilità negativa. Si tratta di uscire da se stessi per tentare di primeggiare, prendendosi il miglior posto. L’Io diventa criterio e valore per cui l’altro deve accettare le mie pretese.
I bisogni presenti in Società sono il bisogno di misurarsi, di primeggiare, di avere il primo o il miglior posto. In questi sentimenti vi è un moto di avversione verso gli altri. Questo scambio reciproco dell’avversione si dà proprio nella Società.
In modo paradossale l’ingresso in Società per Rousseau significava l’ingresso nel Regno dell’Amor Proprio, del Paradiso Perduto, della lotta, della contesa, della “guerra di tutti contro tutti”. Paradossalmente il bellum omnis contra omnes per Hobbes corrisponde allo Stato di Natura, mentre, per Rousseau corrisponde allo Stato della Società.
Tutto ciò che essendo e contando qualcosa nello spazio in cui sono io ci impedisce di essere il tutto. Pertanto si evidenzia la lotta per l’indipendenza della propria vita.
L’Amor Proprio ci manifesta che l’altro ci spinge a rivaleggiare fino alla morte. Questo sentimento è sempre irritato e scontento, tanto che si ricerca una preferenza sugli altri fino al punto che il sentimento dell’inferiorità avvelena quello della superiorità. L’Uomo sensibile e “umorale” si conduce presso gli altri. Il nostro Sé è un Sé proiettato verso un’altra figura.
Tutto ciò produce uno spazio di disuguaglianza, dove lo sguardo dell’Altro condiziona il sentimento dell’Amor Proprio e collocandosi nella Società. Mentre lo spazio dell’uguaglianza vede la presenza di un unico spettatore, prefigurando il naturale sentimento dell’Amor di Sé e collocandosi nella Società.
L’Amor Proprio è un tipo di sensibilità negativa.
L’Amore Naturale è un tipo di sensibilità legata all’Identità Naturale. L’Uomo Naturale è vive una solitudine esistenziale, ed ogni sua parte dell’Io è connessa in modo unitario al Sé.
Invece l’identità Sociale vede la presenza della Vanità, dei primi moti d’orgoglio, dell’Amor Proprio, quindi della doxa, dell’opinione e della valutazione.

8° Lezione:

J-J ha la necessità di dire tutto, o meglio, di dirsi tutto: intus et in cute . In J-J si evidenza una coincidenza di Vita e Verità: questo è il suo tentativo, soprattutto coincide con il progetto delle Confessioni. J-J cerca di non apparire, ma attraverso la questione su come si vede, cerca di esprimere chi sia.
L’Uomo a cui pensa è ovviamente è ovviamente quello naturale, però in Società. Difatti è un uomo che agisce in maniera organica passivamente, mentre, agisce in maniere morale attiva. Questa è la Sensibilità Fisica-Organica passiva e la Sensibilità Morale attiva. Questo tipo di Uomo non sa riflettere, insomma, fa fatica a “flettersi” due volte su di sé, e questo è il Regno dell’Amor Proprio. L’Amor di Sé, invece, è assenza di una doppia flessione con il proprio Sé, anzi è coincidenza con il proprio Essere, con il proprio intimo soprattutto con il proprio Cuore.
Lo Sguardo sull’esistenza degli altri nel mondo sociale fa percepire Amor Proprio, che nell’Uomo genera un riflessivo sguardo al Proprio sé con una continua ricercatezza del Proprio sé da esibire a tutti. Da qui sorgono vanità, i primi moti d’orgoglio, tenendo presente la doxa comune, l’opinione degli altri, la valutazione della Società.
Non solo la società è uno spazio di continua lotta, ma anche nello Spazio Intimo dell’Io possono generarsi delle tensioni negli spazi interiori. Difatti il Gioco/Giogo degli Sguardi istituiscono la dimensione dello Stare in Comune, ovvero la Società, e certamente tali Sguardi producono in noi tensioni diverse. Diverse sono le reazioni dei singoli, diverse sono gli sviluppi esistenziali dell’Uomo Naturale e dell’Uomo Sociale.
Nell’Amor Proprio l’individuo mostra un’eccesiva cura del Proprio Sé, tentando di primeggiare o di far prevalere il Proprio sé in ogni occasione sociale. È un continuo “confrontarsi” con gli altri. Questo è un tipo di esistenza in cui l’individuo deve porsi sempre fuori di se stesso. Il suo agire è un’esteriorizzarsi, è un portare fuori se stesso, è riflettersi negli altri.
Nell’Amor di Sé l’individuo rientra in sé stesso, ascolta la voce del proprio Cuore, e ah una cura “interessata” solo all’attenzione della propria esistenza. Questo è un tipo di vita più contemplativo. Qui gli individui comunicano con la corrispondenza dei Cuori.
Per Rousseau è tutta una questione del movimento del Sé.
Inizialmente l’Io ha una “frequentazione” di se stesso nel proprio corpo. È un conoscere se stessi . L’Io è la “nazione”, lo spazio, in cui l’esistenza coincide con il proprio Sé. Questo io mentre vive ha una natura inflessiva e mostra un’intima estraneità al parere degli altri.
Quando c’è l’ingresso in Società, quando si stabiliscono rapporti con gli altri, allora possiamo certificare la presenza di un Prima e di un Dopo. Alcuni possono addirittura assumere un temperamento bilioso, astioso e di forte contrasto.
Il grande progetto delle Confessioni sbatte sull’astiosità o sul silenzio proveniente dalla Società. Il fallimento della proposta di Rousseau (la lettura pubblica delle Confessioni che viene accolta con grande freddezza e sospetto) è di non riuscire a sostenere di essere un Io intero, ovvero, una composizione di parti in modo unitario.
L’Io di Rousseau presenta tratti paradossali, fortemente contrastanti. L’apatia, la pigrizia l’indolenza coincidono con il suo “sogno” di esistere solo con se stesso (o nel caso migliore in una “Comunità di Amici”), in cui la sua esistenza si comprende nella sua totalità. Il suo animo allontana ogni incombenza, ogni dovere. Ricerca il non fare nulla. L’immobilità del corpo, ricercata da Rousseau, in quanto esistere felice si contrappone all’Uomo Sociale che esce fuori sé, ed è in continua agitazione, turbolenza, difficoltà. Però lo stesso Rousseau dice di avere un carattere “ardente”, sensibile all’eccesso di tutto ciò che lo affligge, ponendolo in un’eccessiva agitazione.
L’Io di Rousseau (come anche il nostro probabilmente!) è completamente squadernato ponendosi in una continua composizione tensionale antitetica fra l’agitazione e la ricerca dell’assoluta mobilità. Tutto questo piano è rinviato soprattutto ai sentimenti che può provare un Io.
Il carattere di Rousseau si stanca spesso. La dimensione della sua sensibilità è continuamente “ostacolata”. L’Ostacolo è quando ci si para qualcosa davanti, qualcosa che non ci permettere d’avere. L’Io, nel momento in cui si mette in atto e incontra un Ostacolo, diventa egli stesso ostacolo di Sé.
Il ragionamento di Rousseau si pone tutto sul piano della Sensibilità come Umore. Il suo animo è in assoluta pigrizia e contemporaneamente in assoluta agitazione. L’Umore è la “secrezione” del Cuore ed è il barometro di ciò che sentiamo davvero.
J-J pensa che il suo “Cuore” è sensibile, ma non crede che in alcune situazioni possa non bastare a se stesso, come ad esempio il contrasto con i philosophes illuministi. Quindi J-J cerca di porre la propria attenzione all’Uomo piuttosto che agli uomini. J-J dice di amare gli uomini, ma perché li rifugge? Questo è il Leitmotiv dell’incontro/scontro con lo Sguardo degli altri. Rousseau è alla ricerca estrema di Amici, di Cuori dove risiede l’Essere, l’Uomo Naturale, la Voce del Cuore. Rousseau ricerca un Uomo Naturale, che è inconsapevolmente colpevole, ma che non è malvagio. Questa è la domanda di amicizia di Rousseau. Gli altri, invece, in Società hanno inserito continue incombenze, sdegno per ogni forma di apparenza.
Quindi questo tema riguarda individualmente le nostre esistenze!
Rousseau dimostra tutta la sua (ma anche la nostra) difficoltà di relazionarsi pubblicamente. Rousseau continua a confrontarsi e a raffrontarsi. Rousseau addirittura giunge in posizioni di difficoltà che si “corporalizzano”, soffrendo ad esempio di incontinenza (anche in modo paradossale, celebre è l’episodio per cui rifiuta la pensione reale da Luigi XV per l’esibizione dell’ Indovino del villaggio, proprio per problemi di incontinenza). La difficoltà è di assumere se stesso come personaggio pubblico, quell’Io che la Società ci richiede/impone/necessita di fra valorizzare e di tentare di tenerlo stabile. Verso tutto questo Rousseau preferisce arretrare.
Rousseau mostra all’ altro di non essere auto-sufficiente a se stesso nel rapporto sociale, in cui si trova in forte disagio. Tutto ciò genera una tensione fra il Sé e il Sé, che lo porta ad allontanarsi dalla Società e lo porta a ricerca un’esistenza “naturale”.
L’organo “sensitivo” per eccellenza per Rousseau è il Cuore. La Voce del Cuore ci può far capire che proprio nel nostro Cuore ha sede l’Amicizia. L’Amicizia è il luogo di espressione dei sentimenti immediati, è la risposta immediata alla consapevolezza che non si può bastare solo a se stessi, dopo l’ingresso in Società. Rousseau ha negli occhi, quando pensa a tutto questo, il suo rapporto con Diderot e Voltaire, che vengono considerati dei traditori, ma che a loro volta accusano di ciò Rousseau.
Rousseau autodefinendosi come un uomo sensibile è esposto anche alle “passioni velenose” dell’Amor Proprio, soprattutto degli altri, che gli procurano agitazione perché si è colpiti, perché si è toccati.
Quando vi è un “eccesso” di sensibilità, allora, questa è la cifra chiave dell’Amor Proprio. In questa situazione l’Io ha un’attenzione esacerbate del Sé, fa fuoriuscire il proprio Sé, include tutti come giudici del Proprio Sé.
PARANOIA di Rousseau si dimostra come timore che qualcuno trami contro di noi. Quindi tutto questo fa soffrire l’Io, squadernando il suo Io. Rousseau ha come risposta la “solitudine” del paranoide, tendendo all’isolamento quasi contro tutti.
È il Francese, in Rousseau giudice di J-J, che spiega a Rousseau (giudice di J-J) il complotto. Quello che c’è di più opposto al complotto è la Comunità degli Amici, che vivono degli immediati sentimenti e del Cuore. Difatti, all’opposto, la Società si basa sulla ricerca dell’onore, di presentarsi come personaggi che vogliono primeggiare, di come aumentare la propria reputazione di sé.
Le relazioni e la collettività, in qualche maniera, “degradano” il vero Io dato che nella società è fondamentale il “concorso” degli altri.
Lo strepito del mondo fa arretrare i Cuori sensibili, conducendoli all’isolamento. L’Io nell’isolamento può deporre la propria maschera. La dimensione di un Sé isolato è quella della ricerca dei propri simili, è l’espressione di uno spazio dell’intimità con l’altro. Conseguire un’intimità con il simile comporta un forte isolamento, dato che gli altri vengono percepiti come ostacoli.
Quindi Rousseau è il cantore di un’esistenza dolce, senza conflitti, senza clamori. È un’esistenza che non affligge, opponendosi a tutto ciò che è proprio della Società, ovvero, un vivere fuori di se, un dipendere da, un relazionarsi a qualcuno.
Il nostro vero Io per Rousseau si dà nell’ammissione all’altro della propria verità (che in Rousseau coincide prettamente con la Sensibilità del Cuore) agli altri, preferibilmente simili. La Verità di ogni Io è nello spazio di condivisione con l’altro. Perché da una parte può determinare la verità dell’Io naturale (corrispondenza di Cuori), da un’altra parte può determinare la verità dell’Io sociale (i moti di orgoglio, la riflessione, la doxa, il primeggiare, il fuoriuscire da sé).
Però quest’ammissione non è pacifica. Perché il Concorso altrui prevede che il nostro io venga riportato agli altri, presentando la negazione della Natura. Il Proprio sé, in questa condizione mira solo al godimento del Sé, mentre, Rousseau mostra esigenza di riprendersi il proprio Io e di ripresentarlo all’altro. Rousseau inquadra proprio la problematicità dell’esistenza: una tensione fra un ex (uscire fuori di se: il regno dell’Amor Proprio), un inter (essere in relazione agli altri: la Società), un dentro (rientrare in Sé stessi: il regno dell’Amor di Sé e del Cuore sensibile).
Nel caso dell’Uomo Sociale si evidenza la tristezza del Proprio sé, che si rovescia fuori di sé e si rovescia sull’altro o danno dell’altro. Pertanto l’Uomo sociale non riesce più a godere l’esistenza, continuando a palesare un bisogno dell’altro. Rousseau, perciò, pensa che soffre di meno i mali dell’esistenza se non li vede, avendo come risultato l’isolamento, la solitudine.
Lontano dagli occhi, lontano dagli Sguardi, lontano dai “Cuori agghiacciati”, Rousseau cerca di ritornare in Sé. Ciò gli consente di guardare gli uomini sotto la prospettiva dell’Uomo Naturale.
Rousseau è il cantore dello Spazio dell’Amicizia. La Comunità degli Amici è pacificata sul piano delle tensioni sociali. Con questa teorizzazione Rousseau mostra un estremo bisogno di non perdere gli amici. Per Rousseau la Comunità degli Amici e l’Amicizia sono il piano dell’Esistenza più autentico dell’Uomo. Nella Comunità degli Amici c’è un’immediata corrispondenza dei Cuori, poiché i Cuori riescono a stabilire una contiguità istantanea, che consuona in entrambi gli Amici.
Ma il problema principale è proprio la “costruzione della relazione”, è proprio la modalità intersoggettiva degli uomini a causare problemi! Nella Società si nasconde la complessità di cui ognuno è, ovvero, si appare soltanto. Invece l’Amicizia permette agli amici di riconoscersi in quanto si rassomigliano. Ma potrebbe insinuarsi il “germe” del giudizio, quel sentimento riflessivo, che scava una distanza interiore all’interno dell’Io quando entra in contatto con un altro [Facciamo un esempio un amico può pensare di essere migliore dell’altro, quindi non c’è più amicizia].
L’Amicizia prevede uno scambio relazionale e in alcuni casi può dissolversi. Quelli che Rousseau considerava i suoi amici, ora sono diventati i suoi “complottisti”. Secondo Rousseau allontana questi presunti amici, in quanto sono uomini che tengono conto della doxa della società. Questi presunti amici pensavano solo a “sostenere” in pubblico la propria figura.
Rousseau, quindi, esplica la necessità di esprimere la sua natura “amicale”, in un gioco libero e immediato di riconoscimento reciproco.
Il rapporto con gli Enciclopedisti fu davvero particolare e difficile. La distanza teorica e pratica era palese. Voltaire veniva rappresentato da Rousseau come malefico, famosa è l’accusa mossa da Voltaire contro Rousseau nel libello anonimo I sentimenti dei cittadini. La Paranoia insorge quando il nostro Io è sottoposto al giudizio degli altri, e l’Io può commettere errori di valutazioni fino ad arrivare a manie di persecuzione. La struttura paranoide è data una disfunzione fra lo spazio interno ed esterno del proprio Io. Il problema di Rousseau è il conflitto che si genera fra la figura di cui Rossueau sente di essere e di ciò che scrive di Sé con il tentativo di coniugare questo Io con il rispecchiamento fra Vita e Verità, che Rousseau pensa sia infranto dal parere di Voltaire.
L’Io è posto sotto molteplicità dualità. Da una parte l’Io ricerca una costruzione della propria identità, pratica che è necessaria fare quotidianamente. Dall’altra parte l’identità che ricerca la propria autenticità nel Sé può essere dilaniata se protende verso la tyme, l’onore.
Rousseau considera Voltaire alla stregua di tutti gli altri. Difatti potremmo riassumere per il pensiero di Rousseau, che non si è sempre se stessi con sé e gli altri, così come Dorian Gray e il suo ritratto. Insomma lo “specchio” o il “ritratto” che noi portiamo in Società è solo apparenza, che ci è ben mostrata dalla contraddizione che c’è fra il mio ritratto intimo di Me e il mio ritratto esterno fuori di Me.

L’Amicizia dimostra un’esibizione di un tratto generoso dell’Io, come un dono reciproco fra due Io, i cui cuori consuonano nell’altro.
Invece essere cattivo un imprigionarsi nelle manie del Proprio sé.
Però noi non possiamo fare a meno del nostro vero Io in quanto vivente in Società, poiché siamo calati in questa realtà. Quindi il nostro Vero Io è dato dal Concorso altrui. Ma che ruolo devono avere gli altri? Il fallimento di Rousseau consiste che la richiesta di Riconoscimento fatta agli altri viene smentita dagli altri.
Rousseau qui mostra paradossalmente molto orgoglio. Pensa che l’altro debba esserci, in modo da dover attestare la sua esistenza. Ma pensa pure che è l’unico che si conosca intimamente e nessun altro al mondo può comprenderlo.
Il godimento della nostra esistenza sociale passa quindi per il “concorso altrui”. Valorizzare gli altri significa disarticolare in Noi tutti i pensieri degli altri e le relazioni esterne. Insomma la Voce dell’Altro può entrare in me. Può confermarmi, può giudicarmi, può dividermi. Entrare in contatto con un’altra esistenza può davvero dar vita alla possibilità anche di essere manipolati o controllati. Nel caso dell’amicizia la Voce dell’Amico si palesa come somiglianza assoluta con l’altro.
L’Amore Assoluto del proprio Io degenera nell’Amor Proprio. L’Amor Proprio è una sensibilità negativa: è un misurarsi con gli altri, è un’avversione per tutto ciò che ci supera o che ci “comprime” o che ci impedisce di essere tutto quello che vogliamo. Quindi l’Amor Proprio diventa Abitudine di Commisurarsi e di Misurarsi. L’Amor Proprio è un uscire da se stesso nello spazio pubblico divenendo un “Proprio” sé. Il Proprio si vuole rappresentare a se stesso e agli altri come il primo e il migliore. È giocoforza sentire l’altro come antagonista, poiché l’altro mi impedisce di essere come voglio e quasi mi toglie il tutto.
L’Io, in questo caso, non è intero. Dipende da altre parti che non sono nel Sé. Se sono presenti gli altri il mio Io si trasforma in un Proprio che pretende di essere il primo e il migliore. Quindi l’Amor Proprio è un sentimento di Amore Assoluto compiuto nel Proprio sé, sempre irrequieto, che gli altri possano percepire come Avversione o come Conferma del Sé. Il Proprio sé è in costante attenzione solo del Proprio sé connesso a quello che pensano gli altri.
Nel caso dell’Amor di Sé il mio stesso Sé è e appare allo stesso momento. Questo Sé prova un sentimento unitario di stesso e non ha alcun termine di misura o commisurazione che si presenta di solito nello Spazio Sociale.

 

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